La Difesa delle Lavoratrici - anno III - n. 22 - 22 novembre

Un iiorno di scuola Nella vit.a d't m fanciullo vi può essere una so ffere~z:1 che gii altn difficilmenbe· capisco– no e m1stu·ano e che può diventare decisivJ. p er il suo tempe r.unento. La min· tristezza ri ~a l-e al giorno in ui è mru·ta mia n1adre. ~Ii direte : - S'intende, v'è un do lore più graYe che possa. colpire la vita d' un ra– gazzo? - ... \s ete ragione. ma io as~ocio quel ter ri– bile ricordv ad un altro ramnrnJ·ico che mi ha lasciato nell'animo una profonda traccia di rancore, per mio p.1dr2. Io ero un })OYero ragazzo. I figliuoli del ricchi ha 1 1no tante cose che li distraggono e lì rjcreano e. forse n.:>~ h!.3'llno c.ome noi t utta per loro. la 1namn1a . .:\la per me 1-~ m:unma ,era tutto! ra,nica. la confidente più sicura e più indulgente. la compagna cU giochi. :'\on a,·endo de:11ri per oomp..::rarmi g-iocatt.oli mi tagh1va e cucint dei pupazzi grotLscl""!i che ern.no la mia gioia, mi con – t3.Ya sto r ie lunghe e alleg re. e p3.reva, po– Yera donna, che solo la ;:;ua fantasia, in m az– zo ai crucci e ai dolori d'ogni specie. conser– vas.:e per me una ,·e.1a gaia ed inesauribi le. Si abi:aya in una camer~t sola. Chi non ha ,·ist-o le ca.3e ,·ecc!1i-e della città. nei vicoli o,;.~uri. le ;,-ecchie c&:e cadenti. senz1 sole e senza luce. non ha un ';dea di quello che ::-ia la tri.sbezza delle cose, e come diano p er riftes._--0, a tutto un po' della loro timta me• h:::1conica .. ..\n.:he il r·so e il gioco, in que ll a poYera casa, perdeYano d'inLe nsità e di g2..iezza. La gioia sembri3.,-a fuo ri di pos to. Ricordo mia madre che agucchiava, in .silenz:o. \"ic:no slla fine.stra e stentav:3.• ad infilare l'ago. nelle ore più chiare . tanto la luce enfraya scarsa nella nost ra c1m2.retta. Ricordo che quanto sentirn il ba,bbo salir e le scale mi dice Ya: - Sta· molio. mo'to buono. il babbo è tr iste e crucc:ato. gli affa ri vanno ma le. Qua.rido entrava il babbo anc he la mero – ma mutava. s~ oc:cupava di lu i, con do l– cezzs.. e no n osasa 1Aù ride re con me. Ylia mad re, da gioYinett.a, non ave ,1a co ,o sci uto la mise ria. mi pa rl arn di un a gra n de fatto– ria piena di sole, ài un gia rdi no e d i un pra to doYe g-iocarn da piccolina, idolatrata da: genitori, tenut a come UTl3. s ig-nori na . lì ! TI.3.irimon.io con mio padre era stato un le;ame inàubbiarrtente d 'amore, ma sfo r– tunato. Egli aYeva ha mania dei grandi af– fa.ri e si rovi:-ia~.-a pe rchè gli mancavano la persev eranza. la forza, forse l'egoismo -degli uom ini che arricchiscono. Così ogni combinazio :ie nuo,·a assottigLia– V"B. n picco lo pa trim onio su o e di mia ma– dre. ci ridu c~Ya a ,i vere in am bienti sem– pre più mise rab ili. Quan do andammo ad abitar e r_ella came ra sola , dello sq uallid o cason e popol ar e mi a ma dr e com inciò ad in tristire . a p erd ere la sal ute . Tante ml i;, di notte. ,·- e.ni va a baciarmi e io sent ivo, n ei cap elli. la sue la,,<TJ'imecalde e silen– 'Ziose·. Quando s'am malò io d iventJai un pic– colo in fermie re. par eva ch e soi o ìa mia com pagnia le d,;sse un po' di confo rto. Ep – pure mi -guarda.va .e pian geva. Certo il presen time nto della morte dove– 'Ta farl e senti re tutto lo st ra~io dJalla povera creatu ra che lasciav a sola, nel la vita. t: n giorno Zia Te resa, una sorella del bab bo, yolle condu rmi in casa sua,, mi d is– sero che la ma m ma aveva bisogno di qu iiete. Io non ,·olev o anda re per·chè avevo l'o– sc,uro intuito che non dovevo la.sciarl a quel giorno. ~ essa mi disse : - Va, va, pove ro Ferr ucoio! APP E:><DICE Pagine di vita l'n mattino in casa non c'era eh& un soldo d i pane pei bimbi. :\oi non _si ma:igia\"a da v-entiquatt r ore. Egli mi mandù a chiedere due 1,uoi rJiccoli crediti: uno d:.dl'avvocato, uno di.t. on gian ~igrrnre di Desio che avev_a.l'ufficio i.1. Milano. A Desio égli prestava servizio quandrJ era chjamato. P er rne era penosb:-;imo, il chied~re, ma egli non aveva \'0luto andare. Pioveva a dirotto: n0n mi sentivo bene: presi il coraggio a due mani e rfopo un lun;:tù cammino, mi r,_resen tai. Per quanto umile ed accorata la rrw1. rfo– mandh, ebbi una rispostaccia. Soffor:ai i sin– ghiozzi éd U'-'cii e m·acci~1:,i al secondo t;.nta– ti\"O Ebbi una risnosta pJU cùrte<:e, ma nega– th'a· perchP si paiava, d·uc;o, rtlla fin~ d~l tri- mt~~~ r,otevo tornar a casa a mani vuote? Vag-avo come c:marrita. ~i si avvicinò uu s1- gn Ore e mi dis<:e parole che non compresi. UJ guardai sbalorilita.. .. Un pen~iero mi attra,·erso 11cervello· I miei bambini avrebbero patita la fame ! Quel sig-nore fece l'atto ~i ~orgerrni il brac– cio. - !\o, no, signore, gr1da1. - Siete sfinita, si vede, egli aggiunse: la strada è tutta pozzangl1ere: accettate il mio aiuto. - Grazie no; balbettai impau rita. E infilai •qu asi di c~rsa un'altra via. M'imbattei in un LA D.FES A DELLJ;; LA \'ORATRICI E ffi'entre mi facev13i un bao.io mi dissa an~he qualche n~tra p,a,rola p;an o piano IJ1erchè nessun o sen tisse. Mio pad r e mi accompagnò fuori per pa r– lare a Zia Tere~a e mi domandò Che li disse la n-uamma? - l\ulla - ,·isposi. :Ila il babbo e.api che m•enLivo e disse con colle ra : - Sei uno scimu n ito. Quando rnii ,ricondussiero a casa, alla mattina, la mam m a era· mo r ta. I dolori tr0ppo gr~mdi non :::ono fa tti pel cuor e lei piccoli e forse, il mio 1non eb be La, vi– ::.ione complela della sciag ura perchè, r i– cordo bene di i.1\'e r avuto questo pensie ro : -- Quando usc.iranin o LuLli e mri lasc ieran– no .solo con la mamma, come gli alt ri gio r– ni, ella mi pal'lerà. Oarto, ell::t mi deve sen– tire, e poi non potru lascÌ11:r~il suo b.1m1bino senza parlargli. ~!io padre che non a.\'cva anco ra par- lalo mi disse : - Ferruccio, è Lard i, va. a scuola . Lo gua.rdaj mera vigli:ato e risp osi : - Papà, oggi non vado a sm10la. - Perchè non vuoi an dar e? Io devo u- sci re per il di sb rigo di pratich e pel ftnne– ra le, che vuo i far e in casa ? - Faco:o compag nia ;alla mam ma . - La mamma non ha bisogno più di ' compagnia. - 1 I'i prego, papà, lasoia mi a casa. Il bl3ibbo dove va aver, perdu to la test., u.Hrim·enti av rebbe capilo che an che il do– lore rl'un bimba va rispettato . Egli non se.. 1tì quanta preg hien:1 e qu ant o sconfort o Yi dove,·a esse re ,niella mia voce . - Senti, mi disse ru,· itdain ent e; Le ne vai e non t.e lo fia,i r idfre perc hè oggi non è gio r na ta di e.apri cci. Ahimè! la mamma non pu teva aiire con la sua y,x,e doloe e conc.ilriante : - Accontenta lo, povero b 1rmbin o! È tan– to plceo lo !Plerchè non gli vuoi da.ire qu esto con forto? Pr esi la ear bella .e )guard a,i ·a,nc-ara la mamm a. P a reva che i suoi occ1hi mi cùioesse ro : - Re sta, mio po,·ero ba1nbino , ,non sai che .abbiamo (l.mora po-::he or:e per ri ma~ ne re ins iem e? Io d1ssri alla mn.mma pjruno piano : - Oh, mamma! Il papà non vuoTel - Ghe cosa br onto li? - domand ò mi o padr e. - Te ne vai -0 non te ne va i? .\ llora usc ii. Come ogni ,ricordo di que l gior no è chi a- 1 o ne lla m iru mente! \'i di nel ballato.io 1ilga rofano che la mam– ma quando era sana, ina ffiiruva ogni maitti– na . l fiori era no ct·un rosa pallido, un po' int risti ti, perchè l'autunno era inoltrato. - 'fornanldo, pen&ai, me tterò i ga rOfirnni nel let to della m1armma. Soe.ndenclo le scaùe una vecchia m i fece una carezza. e mi disse. - 11 S<ignore dovrebbe lasoiarla la llliLm– :na ai figlioleLti com e te, o qu a nto mai Prend~ ;-seli insieme con le.i. F uori -un fru ttiven td olo copr iva· con un painno lino ururubella caldaia di cas Lagne ar– ros to, fragranti. - Nessuno - pensa i - ora m i da rà un soldo 1,er compe rar mi le castagne. Il bab– bo è serio e crucc iato e no n m i vuol bene come la mamma. Camminando 11apa; Btnalda popolata di scolareLti .aUegni mi pa r eva di esse re come un picco lo can e r ,a.nd agio che-ven iva qu al– chie volla ad uggiolar e vic ino alla mia por– t,t, e la _m ammn . mi di ceva an che quand o il panie era scarso : - Daglien e un po', F errucci o, La fame c:a,tliva. Che giornata triste a sc uola! Ero tant o distrat to che la maiestra mi chia miava sem – pre. Io sentivo la sua voce, con1e un so– gn o, ma pens a-va: - La ma mm a ha tante cose da dirmi, è in oa.sa sola e c,erto m \J.speLta. Gua rdavo fuorl dai vetri il cielo grigio e non sent ivo più nulla, più nulla 1 tr ann e le ulti me parrole della mam ma , queUe che non avevo voluto ripet ere al babbo : - Domat tina, Fer.i:uc('.io, qwando saremo soli, io ti dov rò parr ar e; tu capirtri la tu a marnma perc hè io e te abbiamo un cuor e solo. La maes tra mi pre se pe,r un bra ccio, mi scosse, mi sg r.idò, ma io non le dissi chie la ma,mma era morta. Allora lei, che pure er a una creat ura. mite, s'i nq uietò, e mi dis– se, coITle- il babbo : - Sei -uno scimunito. P er la tor tu ra di quelle ore interminabili i'1 ho odiato semp re, la scuola. Ahimè! Quando torn ai ,a casa trovai la Zliai Te– res a tutta sola che m'aspettava; la mamma l'ave vano porbata via. Il ritorno del figlio dalla guerra. conoscente, un r,ittore che non avevo più visto da rf'.olti anni . .\li fermò. :-.:on so come potè ricorioscermi. - \'oi?! - rni disse. - Siete molto camb ia– ta.! mi sembr: .1.te abbattutissima. Posso esservi utile in qualche cosa? Son passati sei anni da allont. Hicordate? Salite un momento nel mio studio? Vedrde molti lavori nu ovi. Salii. .\Ii ch.iese della rnia vita. Gli raccon– t~i hl'eveme11te. Mi conforto con parole buone; insistette perch(~ accetUissi un prestito. Ricusai rE:cisamentR, rna. quell'incoHtro rni aveva fatt0 tiene, mi :1ve\a calmata un po. A <:a<:.:i, :JtJr,r:1cci:tii miei Limbi e piansi lun– g-r1menteg1rn,r<la ndo Beppi con palese ranco re. Egli l',·a :1.vvilito, inetto. Alla sera l'avvoca to rw1nd1J il dena.1·0 ù si tirù inn:.1.nzi. fo c;r'.r-ivPvo qua khP discorsù per nozze, per fm1eral1, qu:dchr~ corri~pondenza, tutto ciò che capitava, fra una far.:cenda e l'altra. Egli ri– prese il Fi110 lavoro. :v!a intanto io disperavo rJerchi~ m'ero occorta. d·esseré :mcora incinta f'd avevo ,ive ~offoreou~. Il mNJiro raccornan– <J:'1.v:1 pa,.e r,d nssolutù ripOYJ, ma avPvr1 due lJirnt,i: il rnaµ-giore di due anni e mezzo, non r,otevo rir,o~are: in una casa c'i; sempre molto da fare. AtJfJrtii, rna tion mi fermai a letto neppur un'on1._ Egli uc;civa :tlle sei. Quel mattino mi prepa.ro qualche cosa perché non mi levassi, ma era impossibile Cùi due piccini: essi abbi– sognavano di ture. Fu cosi che alla notte, io fui colta da dolori spasmodid e si credette mo– rissi. Fu chiamato anche mio fratello. Ma poi passò: e il giorno dopo, aneora sola, fui co– stretta ad alzarrni e fare almeno le cose ne– cessarie. Cosi, di giorno lavoravo, alla notte ero in uno spas imo. Il medico s'impose. - Bisogna portar via questi ragazzi asso- lutamente e costring erla al riposo, se non vo– lete uccide rla. Arturo fu mand ato al paese ov'eravam o pri– ma e Rina in un villaggio vicino a Lecco. pres– so una famigli a di contadini, per un a tenu e rata mensile. Mio marito aveva scritto una lettera insolente e minacciosa a mio fratello, rimproverandolo di vivere ne l lusso colla spo– sa , rnentre la sorella mancava di tutto. Mio fratello vernrn da me e mi disse: Rila, io faccio per te quello che vuoi, ma abbandon a quell'uomo: egli t' ha ridotta in questo stato ; sarà sempr e così, se rima ne con te. Abbi la forza di allont:rnarlo; non vederlo mai più . lo pe11serò a farti gua rire: tu hai bisogno di far una vita tnwo uilla per rrualche tempo, di non pensar più, di non soffrir più. Hcppi sepne della condizione chiesta da mio frntcllo e disse : Tntanto arcetta; dopo vedre– mo. fo ti lascio la ('asa com'è e me ne vado... sai, dove? A caccia.! Fui in\'itato eia un amico. Addio ! E poi'! gli chiesi. Bisogna. accetta re lealmr 11te, o rin 1sarr. E i himhi? - fo tm1to pensa tt guarire ch'è la cosa più import: rnte. Ai bimbi per ora penserò io, poi ne ripar lf•rerno. Se v11oi vende r tutto qui, tal– lo pu1·r: ti sPrvirà per le prime spese. Ero troppo indebolita per pensare. Egli mi ba<'iò e Sé 11eandò. E fu cosl che ci separammo dopo otto anni di vita com1ine. In f'a,mpagna, presso a.Ila mia a.mica, ove mio fratello m'avea mandata a guarire, pres – s J al mio bimbo adorato, mi rimisi lentamen– te. Facevo lunghe passeggiate col mio picrino e mi pa reva di vivere in sogno: torn avo bim– b.i con lui; giocavamo, ci rincor revamo pei Junghi viali, andavamo ad ascoltare lo scro- In vita mia ma i ho passato una noll.e in una solitu dine più tetna e più sinis tra . Ebbene, lo credete? Sono pa ssati gli an– ni1 ho a,· uto gior ntl cLl fielicità e d'or goglio , ho amato wncora , ho sofferto, <lliltri occhi si sono chiusi nell a mia e.a.sa per seinpr e, nan ho più la fiJJuci.a ingenu a che m,i face va spe1~ar e di rive dere la mam ma , panso, or– mai che è ,·i va, solo nel 1nio cuo re e che non può più ~-entirrrij, mm, non p.osw pen– sare a lei, setnza riv ede.re i suoi occhti fi ssi e c,hiari, che pa reva mii gua rda sse ro ancora, dopo 1TLOrta,1e se.nza risem tirm i in cuo re le s lesse paro I e : - Hjmani, m io pove ro biannbin o, abbia – mo 111ncora poche ora da passu.,r e inslem e. E semp re mi r isorge, dopo twnti anni, un pens ie,ro di ran cor e per mio pad re ch e non capì il mio pov1ero desid e,rio di bim bo de– eolato . ìW. P. B. Cassa Nazionale di Previdenza per la vecchiaia e la invalidità deglioperai Gina . - Che cosa c'è di nuovo Maria? A– vete uTia faccia tutt'alt ro che all egra . liari a. - Sì, altro che aHegria ! Vengo adesso dalla Congr egazrione dri Oar.ità e non h0 ricevuto n eppur e un cent esimo dopo ave– re perso twto Lemp o a girar e gJi uffici, av,ere passa.te ore e ore là, nelle anticam ere ad no&p-ettare impi egati, delegati per ra.cco– m :1.ndarm i. Ivii han no nisposLo che s,iamo in troppi a domandar da nar o, che ci sono di queHi più disgraziati amcora cti me. . Già le solite scuse. Sap ete p erchè non m'~aJTino da to ni en te? P,erch è nori era ra ccom.an.d!ata dalla P a,rrocchia. Chà io non son capace d : str ofin armi a.ne gonn e idei pr eti. Non son o u·n-im postona io, e- intanto patisco la fam e. È inutile , quando Sri diventa vecchiie e non si può più lavorare sairebbe meg lio mo– l'i I'le. Gin a. -· ...\ vete torto ·Maria : l1 a vecchiaia non sar ebbe poi così tr emenda se ci si pen– sass,e a tempo. Vedete, io e mio m 3.rrito ab– biamo pa~ ato per v,en ticinque amni una cer– ti sommetta alla Gassa Nazionale di Pre vi– denza per la vecchiaia e l'inv,aJidità degli op erai . Negli annri di magra, qw3Jiltdole cose a ndavano poco bene davamo solo sei lir.e a. testa, il minimo vol uto dai r egolarrnenti, negli anni ne i quia:li l•e cose andavano me– glio si pag1:wa cLi più , dodi ci opp ure venti– qu attro lire al l'aTino, tutlo quello crua si po– teva .Quan do io avrò oinquanta cìnq ue anni e mio marit o ne av rà ses santa av remo una pensi-onetbai. Non sarà gran che ITl)3J almeno sa rà ass;c u rato l'affitto di una stanzetta e una scodella di mri1rnestr a . Non avr-emo biso– gn o di anda re a pregar .e la pa.rrocchia e la congregiazione per av,er.e un pezz o di pane. Mari a. - Dite davvero? E dove andavaç e a pagar,e que l denaro? Gina. - Qui " Milano si paga in un uffi– cio appos ito che è su ll'an golo 1:J!iVio Brolefr to e via Cusantl. Ne~ Jjruesi invece si va paga ne a lla cassa posta le. Maria. - E si~te certa che non vi mJam– geramno poi il denaro, che sul pjù bello non vi diano più n.ippure il becco c:li un quat– trino? Ne ho viste ùanl,e dii que lle Società fallire, o perchè il cassiere scappava con tutto il dana ro, o perchè al mom ento buono di pagar ,e J.e pos.i~ioni salt avano fuo r i m ille im brog li e miessuno rioeveva ndent e. Gina . - Certo questo è succe sso perch è quell e erano Società pr,v ,ate che adop ena,– rn no il danaro depo sibrutoper delle specu– laziorni, ·l:e ,quali natUTalment e<, potevano anda.r bene ,o mal e. Là non c'era nessuru~ ga- scio c_i_ell 'acqua al mt11ioo, ci arrampica vamo su per una viuzza erta ed erbosa e quan,d/egli giun geva più pre sto. batte va le manine; rac– coglieva tanti fiori per la sua mammetta! vo– leva conosce re il nome di tutto: il suo cica– leccio mi pareva una musica. Er a in queUa età, nella qua le i bimbi son tanto graziosi ! Quante cose buone io gli insegn aYo! Nell'in– certezza dell'a vvenire buio e gravoso che mi atlencleva, quall'oasi di pace mi recava una inte nsa dolcezza e, una tener ezza vivissima semp re più mi legava a quel birnbo sì caro. Non volevo pensa re. <( Devi vivere una vita vegetativa per lungo tempo, se vuoi trova r la forza di ritorn are in sah1te ", m'::svea n•<'roman dato mio frat ello. E procuravo cli seguire a suo consiglio, per– (;be 11n JJrerne, a u. 1100 vivt::re alle spa lle di ness;uno, di poier lavorare, ed anche perchè a.vevo paura di pensa r al doman i. avevo pau - 1·a.delle mie riflessioni. dei miei ricord.i e vi– ,·e\·o della gio rn ata. In quel tempo, anc he per allontanare il pensiero da ciò che mi att er– riva, m'occupavo della vita che ferveva intor– no a me. i\Ii fermavo volent ieri a. conversare con alcuni operai dello sta bilimento che ivi ~orgeva sull'Olona e, udendo le loro misere condizioni, mi chiedevo perchè si rasse gna s– sero e non fossero solida li e risoluti ad otte- 11ere miglioramenti economici e maggio re ri– :;petto da chi dirigeva il lavoro. Quanto buon senso trovavo in quei poveri popolani, eppu – re, anche. quanti pregiudizi! Io li tr attavo fra – ternamPnte, ma rico rdo ch'essi si vergogna – vano di salutar mi, qu an do li incontr avo, so~ lo perc hè io ero una donna e il fatto sarebbe stato notato. (Continua ).

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