Critica Sociale - Anno XXI - n. 16 - 16 agosto 1911

CRITICA SOCIALE 243 mo conoscerlo e possederlo., soltanto per un atto di fede, soltanto per la nostra commossa speranza, che diventa pertezza, del suo pieno avvento; e quindi lo conosciamo e possediamo come ideale, come mi- raggio, come sogno, come mito. Fuori di ciò, socia- lismo non esiste. Fuori di ciò, non esiste azione socialistica ». E, se voi quindi non riducete, come giammai po- trete, i e fantastici miraggi » alla sola nozione della fatalità automatica del socialismo; se voi non intro- ducete in essi, quasi a farne la selezione, dei sofistici « distinguo i (chè, allora, l'ideale, sebbene a scarta- mento ridotto, vivrebbe ancòra, e il socialismo non sarebbe tutto e solo azione); se voi, invece, nei « fan- tastici miraggi », comprendete, come dovete, la vi- sione del proletariato vittorioso in un trionfo di rige- nerazione sociale, la visione- dei socializzati mezzi di produzione e di scambio, la visione del lavoro umano redento ed arbitro dei propri destini; se voi riassu- mete in quella esPressione tutta quanta la vostra fede in un avvenire di libertà, di giustizia, di fratellanza umana, in un avvenite di gioconde attività produttrici e di feconde esplicazioni dell'essere, tutto quanto l'ideale fulgente pel quale avete palpitato e combat- tuto, tutti i vostri sogni, tutti i vostri fremiti, tutte le vostre speranze, tutto il vostro socialismo; se, nei e fantastici miraggi », voi proiettate tutta quanta l'ani- ma vostra di credente; e quei (miraggi o poi affer- mate che sono, per fortuna, irrimediabilmente eva- porati, e cioè, nei vostri e miraggi », la vostra fede e il 3Mstro socialismo; e sostenete ancòra che il so- cialismo, il vostro e nostro socialismo, vive nell'azio- ne, e nell'azione vivrà, e non morrà: io vi domando allora di qual socialismo qui intendiate mai di par- lare, e per quale ragione mai voi non riconosciate e confessiate la crisi profonda in cui si dibatte, presso tutti gli spiriti pensanti, la grande idea che tanti petti scosse e inebbriò. Nella procella della vostra (ch'è anche nostra) crisi interna, voi credeste di trovare un'esteriore ancora di salvezza: l'azione; e ad essa vi appigliaste con tutte le vostre forze, scambiando il socialismo col movi- mento proletario, la vostra• fede con la obbiettiva a prassi o operaia. Così credeste, tramontato l'ideale, di erigere su una base più concreta la vostra nozione dell'avvenire, di adagiare su un letto puntellato di fatti la vostra inconfessata a anima smarrita ». Vuota- tosi lo spirito dell'ormai inutile ingombro della fede, voi incaricaste l'azione, la nuda ed edonistica azione, di sopportarne il fardello; ed aveste così l'illusione di riempire quell'azione di un socialismo che non era più in voi, di « legarle i un socialismo che in realtà non viveva più. Ma non vi accorgeste che l'azione, di per sè, non ha anima e non ha voce; che solo chi ópera le trasfon- de l'anima propria e la propria voce, le dà un nome, le dà una volontà, le dà una vita, le dà una mèta: le dà il socialismo. Non esiste azione socialistica se non proceda da socialisti: non essa dà l'impronta agli uomini; sono gli uomini che la dànno a lei: e pro- clamare l'inutilità del miraggio socialistico significa affermare la inefficacia d'un'azione operaia inspirata al socialismo. - Ma voi mostrate, per un momento, di arrestarvi perplesso dinanzi alle estreme conseguenze del vo- stro processo logico. Dite che l'azione è tutto; ma avete già detto che il Sindacato sarà assolutamente nulla senza il socialismo. Ma che è mai, allora, que- sto socialismo, se non l'idealità, che avete ricono- sciuta, di fronte alla sovrana azione, superflua e dan- nosa? O che cosa può esser mai siffatto socialismo, se non quell'anima del movimento operaio, della quale voi non avete ammesso la crisi, nel momento stesso in cui ne accertavate la benefica morte? E la morte — badate — è molto più che una crisi: e, se io ho creduto in un risveglio, voi non avete potuto sperare in una resurrezione: e ne avete an- che gioito. Perchè — avete affermato — oggi i miraggi » nuocerebbero al socialismo. Oggi, cioè, l'ideale gli nuocerebbe. Oggi, insomma, il socialismo ucciderebbe il socialismo. Meglio, dunque, che sia morto. Solo così può... vivere. Vivere nell'azione, nella quotidiana, tormentosa, utilitaria ed utile azio- ne. A quest'azione — e ai suoi successi — voi avete guardato con fiducia, ve ne siete inorgoglito, e avete gridato forte: « Ecco, qui è la vita: la vita del so- cialismo. L'ideale é morto: non è socialismo!» Avete così negato la crisi del socialismo, per pro- clamarne, nella morte, la vita! • -*** Contro le insidie del pensiero astratto, dell'ideale, voi avete scoverto un « contravveleno l'azione. Non ci dite però .come e perchè questa possa essere e chiamarsi socialista. Ma noi lo sappiamo: l'azione è incolore, se non riceve un colore. Oppure, se non si riporta, per, definirsi, alla... anàmnesi individuale di chi la fa. La.nostra azione, quindi, sarebbe oggi so- cialista, perché noi fummo un giorno socialisti. socialista, in virtù di una presunzione di coerenza, in virtù di una latente forza d'inerzia. D'impronta socialista, oggi, non ne riceve più: è il passato, sono le « sante memorie o che operano il miracolo di que- sta invisibile trasmissione d'anima. Dopo la scom- parsa degli apostoli della prima ora, nessuno avrà più niente da trasmettere alla propria azione. Ma è quest'azione stessa — voi dite — che genera il pensiero, l'idea; e poi se ne feconda. — Ebbene, io credo che qui siate in errore, che confondiate tra loro due fasi di tempo successive: quella della ge- nesi del pensiero e quella in cui il pensiero reagisce sulla realtà storica. Oggi il pensiero, l'ideale socia- listino, è già stato espresso e si è già sviluppato dalla vita, cioè da una propizia a situazione » storica; oggi esso è già un dato per noi; oggi, invece, si tratta del secondo momento della sua esistenza, del momento in cui esso dà l'impulso vittorioso alla realtà che l'ha generato: e quest'impulso, appunto, è ora fiacco, debole, tende all'esaurimento, minaccia di ar- restarsi paralizzato e di spegnersi. La questione è, dunque, un'altra, nè può essere spostata. Quale pensiero, quale anima, del resto, erompe mai, e può erompere, dall'odierna nostra azione? Di azione, quest'ora non è poi del tutto sterile, per noi: la vita proletaria e la vita politica ne récano, bene o male: non più, come una volta, larga, piena e talora infeconda; bensì minuta, frastagliata, fram- mentariamente opportunistica ed utile. Ma il pensiero dove è? Sarà un ideale? O sarà, inveCe, la piccola teoria della piccola' pratica quotidiana? E che rap- porto, allora, avrebbe mai questa greve precettistica con la grande idea che tramonta? No. L'ideale è già nato e vissuto un tempo. Oggi vive l'antidoto: l'azione. Riconosciamolo insieme. Ma riconosciamo mire che,

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