Critica Sociale - Anno V - n. 3 - 1 febbraio 1895
CRITICA SOCIALE 47 che una potenza ingenita ogni essere trascina, agita e stanca di moto in molo, assidua, inuorata, e dalla colpa il franca; scpper ebe quanto mostrasi por te1-rae mare in varia forma o scorza è cieco impulso, è inlerpreto lampo di quella eterne, unica forza i seppor che l'un nel multiplo, il multiplo nell'uno si risolve; che del pensier la cellula ò pari in fondo all'atomo di poi ve i che il nume ario o semitico C mctaforo, o mito; la natura simbole(!:giata,l'anima che dà form1 a se stessa e a la paura ; o che, superba favola. d'a1'i barbogi, or spauracchio irriso, in bocca al cantastorie è finito l'inferno e il paradiso. Mi accorgo che, a rorza. di spigolature, il poema del Costanzo farà lo spese del mio arlico:o. Ma. perchè ri– correrci all'arido riassunto por un·opera cosl viva. 1 Il brano che ho riportato contiene la dichiarazione di fede del poeta ateo e demolitore. Egli ha un concetto dolo– roso, ma virile, della esistenza; nl)n lo stoico annichi• limeuto leopardiano, non la ironica rassegnazione del )fanzoni. Il poeta moderno ha sollevalo il manto della misericordia di Dio, e vi ha scoperto sotto l'anlroporagia sociale. Ma non fugge inorridito, non si piega a un de– stino oscuro: egli sento che il destino ciascuno lo porla in sè, che l'uomo forte deve lottare. Il programma di guerra dell'eroe della somtta ha strofe vibrate e ner– vose. Più cb~ una volta, provvido il nume, a vh•er mai non ci destina ; ma basta un'ora, un altimo di gloria o di vendetla, orgia divina. :\la pria però che im·olucri informi n'abbia la gran madre in grembo, pa.ssiam fra questi gamberi d'uomini comodi saetto un nembo. Il canto ierzo è una specie di epicedio per le vittime. Alcune di queste furono amicizie personali del Costanzo, il quale, malgrado il dolore della comune sconfitta, non cela, nè a se stesso nè ad altrui, la vanità di una lolla isolata. I poveri eroi gridano, inascoltati, fincbè stridendo arrocano o scoppian, come le cicalo o i grilli. Non archi, non piramidi i! nome lor tramandano al futuro, ma un ver..o, una bestemmia, un tratto di matita in qualche muro! La. fino di questi eroi è comica e compassionevole. Ebro di sé, di rosea giovinezza e speranza, ognun di voi al mondo, come un turbine ruggi: su, vocebio g._,suila,a noi 1 Ma riso ai vostri ali.biti lampi, o rigide lamino d'acciaio, questo vecthio carne6ce, il mondo, questo gran burattinaio. Ei, come in altri secoli, del V08lrosangue abbeverar le zolle avria potuto, e l'anima suggervi, immane polipo; ma volle solo una falda a l1i1bilo strapparvi, e, conci in si comico stato, lasciarvi su pel trivio liberamente n battere il selciato. e n C o B1arco Lo scrittore non irride ai vinti. Egli è anzi commosso davanti a. tanto sciupio di forze e di entusiasmi. Che pollini d'imagini, quant'o,•oli d'idee nel germe raso 1 quante farfalle angeliche SOl'J dì vermi in bozzolo rim'.lsol Ma, dopo aver svelato la vanità délle piccole chimere, la strofa si solleva indigna.la contro i gretti, i cinici e i gaudenti. Pcrchè obliosi i go1nili ani mnrmi del catr~ sciupan costoro'/ perché alla ciarla s:;ionJono l'aureo tempo ed in odio lianno il lavoro? Ma, o quanti, macl'i o liviJi da la rame e dal gelo a voi da,•anti, non &'lnOscesi a chiedere l'onesta sr::izia del lavoro, quanli 'I Come! pensate ai cavoli pereh'abbian terra cd acqua ed aria, lutto ... e non vi cal de l'anima, di questo flore dall'eterno frullo? Dunque il Costanzo è socinlista senz'altro, alfcrmer3. qualcuno. Egli è poeta anzitutto: invoca la lotta con– tinua contro gli elementi in stagnazione, e non si chiudo in un programma. Por lui l'individuo sensibile, di na~ tura eletta, è sempre pioniere e vittima.. Ah, che la sloria è l'arJua via del Calvario, e quei soltanto vive che in quelle roecio o pagine il proprio noJ1e col suo sangue s~rive. Ed eccoci all"ultimo canto. Qui abbiamo due brani, ve– ramente inspirati e potenti. Uno è il saluto funebre a.I ribelle dell'epopea garibaldina, e non so trattenermi dal riportarlo intero. Alberto! E a lo non vahero le cicatrici, questi fior divini cbo raceogliesli intrepido da l'Alpe estrema a gli ultimi Appcnuini. A to, sollo la plumbea pioggia, non valse, fra le ostili squa lr~, là sul Volturno, perdere la man, sostegno do la veccliia m:idro. ~ un di per chiassi o bettole li vidi, eroico rapsodo o tapino, tra sceme plebi e garrulo trascinar la berluccia e l'organino. Ti vidi in mezzo agli u\11\i ruggir, garibaldino impenitente, l'inno che fra' purpurei solchi al trionfo ti guidò sovente; l'inno che tutta Italia seoter vedesti dal Cenlsio a Sellia, come se in ogni sillaba, o in ogni nota ardesse una scintilla. Ma poi cbo, avara e gelida, la palria riso de' tuoi numi, poi che sonò indarno il memore inno de le tue marcio e de gli eroi, cinto di rugbo o d'italo cicatrici la fr,mte, unico serto, in grembo al padre Tov~re lo no andasti a dormir, p0\'Cr0 Alberl,! Dopo questo nobilissimo saluto all'amico, il poeta si congeda dai suoi eroi, tli cui riconosce la missione breve e limitata. Essi, usciti in luce dall'oscuro ambiente, ove cieche serpeggiano le radici dei popoli e del mondo, de,·ono ritornarvi. Nessuno ha speranza di vincere il tempo e di incatenarlo alla propria. fortuna. E qui jl
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