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Emilio Lussu

La nascita di Giustizia e Libertà

Pubblicato in Aa.Vv., Dall’antifascismo alla Resistenza. Trent’anni di storia italiana (1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da Franco Antonicelli, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1973, pp. 173-177

Ecco la mia breve testimonianza. Bisogna riandare a qualcosa come trenta e più anni fa: estate 1929. Contrariamente a quello che credono molti anche tra quanti si occupano di problemi politici, Giustizia e Libertà, cioè il movimento rivoluzionario antifascista repubblicano e democratico, come si definiva, non fu costituito a causa della fuga da Lipari. Sì, la fuga da Lipari, della quale il freddo e perfetto organizzatore tecnico dalla Francia e dalla Tunisia è stato il qui presente Tarchiani, è stata certamente un fatto clamoroso, nel suo genere direi unico, ed ebbe in quel periodo molto stagnante all’interno una immensa ripercussione e in Italia e all’estero. Peraltro, tirate le somme, una fuga è una fuga e, per ispirarmi al re Borbone, a scappare siamo buoni tutti. La fuga non servì che a liberare alcuni di quelli che saranno fra poco i protagonisti di una più vivace attività politica, fra cui il grande scomparso Carlo Rosselli.
Ma Giustizia e Libertà, in realtà, esisteva già in formazione un po’ sparsa in varie parti d’Italia. A Firenze, attorno al gruppo "Non mollare” di Salvemini, erano i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Nello Traquandi e altri. A Milano, attorno a Ferruccio Parri e Riccardo Bauer che avevano avuto già un’attività democratica culturale, erano alcuni giovani intellettuali e socialisti provenienti dal partito socialista. A Torino, attorno ai giovani venuti con "Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti, fra cui il più in vista Carlo Levi, erano quelli che erano stati allievi di Augusto Monti al liceo D’Azeglio, e qualche altro intellettuale e operaio. A Roma, era notevole, anche numericamente, il gruppo giovanile repubblicano, con Baldazzi, Gioacchino Dolci, Fausto Nitti, Giuseppe Bruno, Dante Gianotti. E poi la parte più attiva del Partito Sardo d’Azione, di cui Piero Gobetti parlava già nel manifesto di "Rivoluzione Liberale”, che aveva, con Francesco Fancello e Stefano Siglienti, un centro continentale a Roma, collegato a Firenze e a Milano. E infine qualche isolato liberale o democratico, come A. Tarchiani e A. Cianca già in esilio, e qualche altro isolato in più parti d’Italia. V’erano certamente, e in città e in provincia, centinaia di isolati o piccoli gruppi, ma si ignoravano tra di loro e noi stessi li ignoravamo.
Giustizia e Libertà come noi la costituimmo dopo la fuga da Lipari nei mesi di agosto, settembre, ottobre del 1929, si riferiva a questi vari gruppi e ad essi si legava. Ci univa tutti una comune totale rivolta morale, ideale, politica e sociale contro il fascismo e i suoi sostegni. Eravamo, può darsi, animati da quello spirito che traspare dalla esposizione sintetica politica che ci ha voluto fare oggi il professor Bobbio. Mentre a Parigi la Concentrazione, già costituitasi nell’aprile del 1927, si poteva considerare attraverso gli elementi che la formavano - i due partiti socialisti, uno riformista, l’altro massimalista, il partito repubblicano, la Confederazione generale italiana del lavoro, la Lega dei diritti dell’uomo - una specie di continuazione dell’Aventino, noi di Giustizia e Libertà non lo eravamo. E questo è fondamentale. Questi gruppi che ho elencato cosi affrettatamente poc’anzi, pur avendo partecipato all’Aventino e avendo riconosciuto all’Aventino una superiore e utile intransigenza morale di fronte al fascismo, avevano sempre negato all’Aventino stesso la giustezza della sua posizione polemica verso il fascismo. Mentre l’Aventino giocava tutte le sue carte antifasciste sul re, noi era sul popolo, e solo sul popolo, che fondavamo le speranze della liberazione. Mentre i continuatori dell’Aventino, uomini e maestri di vita morale a tutti noi di qualunque partito -cito fra i massimi, Turati, Treves, Modigliani, Buozzi, Baldini-, credevano, anzi ne erano sicuri e il presidente Nitti rafforzava questa fiducia, che Mussolini sarebbe caduto fra un mese o fra due, noi calcolavamo ad anni: cinque, sette o dieci, "se ci va bene”. Noi credevamo solo ed esclusivamente nella coscienza e nell’azione del popolo: solo il popolo sarà il protagonista della liberazione. E demmo a Giustizia e Libertà la definizione di movimento rivoluzionario antifascista, per la libertà, per la repubblica, per la giustizia sociale. Eravamo, cioè, la stessa espressione conciliativa e riassuntiva delle correnti politiche che avevano dato vita all’Aventino, ma potevamo esserne considerati come il superamento, non la continuazione.
Eravamo socialisti, repubblicani, democratici, liberali, l’avanguardia, per i quali la lotta al fascismo continuava, ma con altri mezzi: l’Aventino era stato legalitario, Giustizia e Libertà era rivoluzionaria. I comunisti erano usciti dall’Aventino poco dopo la sua formazione e dopo le leggi eccezionali; in Francia, formavano un partito a sé, staccato dalla Concentrazione con cui non avevano che rapporti polemici. Io non saprei dirvi quale sarebbe stato il corso degli avvenimenti se dell’Aventino, prima, e della Concentrazione dopo, avessero fatto parte i comunisti. Eravamo due formazioni staccate, autonome, di cui quella comunista tendeva permanentemente all’organizzazione in Italia.
Per definire il movimento di Giustizia e Libertà credo che dobbiamo fare uno sforzo di memoria. Discutemmo quasi due mesi a contatto con tutti i gruppi d’Italia e, a Parigi, non avevamo che riunioni permanenti. Si deve dire "Giustizia e Libertà” o "Libertà e Giustizia”? Sembra una cosa da nulla, eppure fu un continuo scambio di lettere clandestine, inchiostri simpatici, cifre, messaggi, tutti i nostri gruppi in Italia in movimento, e discussioni vivacissime a Parigi o a Saint-Germain-en-Laye, dove abitava Gaetano Salvemini, per breve tempo in Francia. "Giustizia e Libertà" o "Libertà e Giustizia”? A nessuno di chi si occupa di cose politiche sfugge la differenza. La corrente liberale democratica era per "Libertà e Giustizia”, la corrente socialisteggiante era per "Giustizia e Libertà”.
Dopo lungo discutere, finalmente -e mi pare di ricordare che vi fu una manovra per ottenere la maggioranza- trionfò "Giustizia e Libertà". Ora io non rido più, e neppure sorrido, quando leggiamo che, durante la presa di Costantinopoli, i saggi erano riuniti in assemblea a discutere impassibili da che parte giusta venisse la luce sul Monte Tabor. Eh, c’è una bella differenza, perché se sul Monte Tabor la luce viene dall’oriente, si ha una civiltà, ma se viene dall’occidente, se ne ha un’altra. Una parola messa prima o messa dopo, un avverbio o una virgola non possono mutare totalmente il significato di un pensiero politico o filosofico? E ben per questo che io dicevo al tanto compianto e vecchio amico Adone Zoli, che la DC, quando si parla di "apertura a sinistra”, mette la virgola subito dopo "apertura”, sicché "sinistra” viene a parte. La discussione, dunque, era stata lunga.
Ma ci buttammo subito dopo con frenesia nell’organizzazione. Niente organizzazione all’estero. All’estero, solo quel minimo di legami necessario per i rapporti con l’Italia. Tutta l’organizzazione è in Italia ed esclusivamente in Italia. La rivoluzione antifascista si fa in Italia, non cade dall’alto e non viene dal di fuori. O sarà un prodotto della nuova coscienza del popolo italiano o non sarà niente. La rivoluzione è in Italia ed è italiana. All’estero, in Francia, principalmente, dove era la massima emigrazione politica, la divulgazione dell’antifascismo politico, i rapporti con le correnti democratiche degli altri paesi, qualcosa di associativo, e questo lo faceva assai bene la Concentrazione. Tutto il resto in Italia, solo in Italia. Queste erano le nostre premesse politiche. Quello che distingue Giustizia e Libertà, come movimento rivoluzionario in quell’epoca, è precisamente la coscienza che dal di fuori non si fa nulla, che dall’alto non si deve attendere nulla e che tutto si costruisce in Italia. E ponemmo in forma drastica e pregiudiziale la questione istituzionale: cioè, la rivoluzione sarà fatta dal popolo italiano, sarà contro il fascismo, e contro la monarchia, per costruire una democrazia repubblicana. Ponemmo cioè, quando ancora molti attorno al re speravano interventi miracolosi, il problema della repubblica, e in termini di assoluta preclusione ad ogni altra soluzione.È chiaro che, parlando di questi problemi, io sarei portato a svilupparli, ma mi fermo, perché, dal punto di vista cronometrico, la mia testimonianza si chiude qui. D’altronde io stesso sono in corso di chiarire parecchi dei problemi di fronte ai quali si è trovato il movimento di Giustizia e Libertà, di cui io ho parlato solo del primissimo periodo; lo sviluppo successivo è complesso. Giustizia e Libertà seguirà tutta la situazione nazionale e internazionale: è presente in Spagna, e Carlo Rosselli è stato ucciso perché fu un grande protagonista del primo intervento in Spagna. Dopo la caduta di Mussolini, Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione si fondono pur non essendo la stessa cosa, come i più sostengono, e si proiettano in una situazione politica generale differente. Giustizia e Libertà si costituiva quando il fascismo era all’apogeo del suo trionfo, mentre il Partito d’Azione si organizzava quando il fascismo cominciava la parabola discendente.
Molte cose occorrerà ancora chiarire, per vedere quali erano i limiti di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione, per spiegarne la scomparsa dalla scena politica, dopo aver scritto una pagina che è fra le massime della democrazia italiana moderna, ed essere stati fra i fattori più determinanti e decisivi della lotta politica culminata nella Resistenza. E voi a Torino e nel Piemonte ne avete una larga testimonianza. Per il problema istituzionale, poi, mi permetto affermare che, senza questa decisa e pregiudiziale istanza repubblicana, che noi demmo fin dall’inizio del movimento rivoluzionario, non si sarebbe arrivati alla repubblica. Ma tutti questi chiarimenti io li vado elaborando e spero prossimamente potrà uscire un mio lavoro, editore Einaudi, precisamente su Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione.
Come vedete, un uomo politico profitta sempre di una grande assemblea come questa, per farsi pubblicità.
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