nessuno. Risposta: "Tanto lo vedono, lo capiscono da sè, il pericolo". L'opinione pubblica e la stessa "Nazione" lamentavano, nei primi giorni dopo la piena, che non si fossero mandati altoparlanti per le strade, non si fossero azionate le sirene, non si fosse suonata la Martinella. La giustificazione ufficiale di questo mancato allarme si può riassumere nella dichiarazione di Bargellini: si sarebbe provocato "un inutile macello''. Forse Bargellini ha ragione, e forse no: è di(ficile valutare le conseguenze di un eventuale (ma non necessario) caos automobilistico; certo è però che il numero degli affogati sarebbe stato inferiore. Comunque. nelle varie ore di tempo a disposizione l'autorità poteva, anzi doveva, provvedere per lo meno ad un avvertimento selezionato. Si dovevano cioè richiamare medici e infermieri negli ospedali; avvisare i farmacisti perchè non avvenisse - come poi è avvenuto - che la città restasse con pochi medicinali; inform'are i parroci, i quali, conoscendo il tessuto compositivo delle loro zone, avrebbero potuto evitare che tante persone anziane venissero sorprese, sole, nel sonno; e così i direttori dei musei, delle biblioteche e degli istituti scientifici, mettendoli in grado di organizzare la difesa di quanto a loro affidato. Si dovevano avvertire le fabbriche e le officine in cui sostanze esplosive o tossiche avrebbero potuto risul · tare (come poi a volte risultarono) pericolose per l'incolumità e la salute pubbliche. Soprattutto, mettere in stato di preallarme le varie categorie di dipendenti comunali. i vigili del fuoco, l'esercito e i carabinieri. "Ma se fosse stato dato l'allarme", è stato domandato al Procuratore capo della Reoubblica, dottor Nicola Serra, che ha ordinato l'inchiesta della Magistratura fiorentina sulle eventuali responsabilità nel disastro del 4 novembre, "non sarebbe stato peggio? Non si sarebbe creato il panico?" "Certo", ha risposto il magistrato. "ma io parlo dell'allarme alle forze dell'ordine. per metterle in condizione di affrontare il pericolo. La caserma del battaglione corazzato di Rovezzano è stata allagata e gli anfibi che erano lì per la sfilata del 4 novembre si sono capovolti. Non sarebbe accaduto, se fosse stato dato un ordine d'emergenza". Ma l'ordine non fu dato. Tutto fu lasciato al caso, nella supina speranza che le cose andassero a posto da sè. Cosi, all'ospedale psichiatrico di S. Salvi, con la farmacia allagata e con centinaia di ricoverati in preda all'agitazione per l'acqua che aveva raggiunto i quattro metri, ci si dovette arrangiare con le scorte di medicinali dei reparti ai piani superiori; all'Ospedale Meyer i prematuri nelle incubatrici rimasero varie ore senza energia elettrica; a S. Maria Nuova in venti minuti si dovettero mettere in salvo i malati del piano terreno trasportandoli su delle materasse. A Montedomini, la casa di riposo per vecchi, c'erano dei sorveglianti e un ispettore per salvare tutti i ricoverati del pianterreno. S. Giovanni di Dio (a poche decin<' di metri dal!' Arno) rimase per ventiquattro ore con venti bottiglie d'acqua minerale e dieci polli per duecento ammalati. Che si sappia, in nessuno di questi istituti era stato inviato neanche un soldato che potesse aiutare a sgombrare i degenti dei locali minacciati. Lo stesso vale per i musei. La direttrice degli Uffizi fu avvertita solo dope le 7, a parecchie ore da quando l'Arno aveva cominciato a straripare a pochi metri di distanza. Il direttore della Biblioteca Nazionale era stato avvisato la mattina quando in piazza Cavaleggeri l'acqua era già alta. Al Museo Archeologico, uno dei van ti di Firenze. nessuno ci pensò. Nessuno p<>nsò alla Galleria del!' Accademia, al Museo dell'Opera ciel Duomo. al Museo Bardini (anch'esso a due passi dall'Arno), alle numerose, importantissime biblioteche. L'imprevedibilità delle proporzioni della piena è l'arma che le autorità oppongono all'accusa cli non aver messo in stato di preallarme la città, o almeno le forze disponibili (sulla confutazione di questa tesi si articola soprattutto la denuncia per omissione cli atti d'ufficio e per omicidio colposo presentata dall'on. Terracini contro il prefetto). "Noi tutti siamo stati in giro l'intera notte fra il 3 e il 4 novembre" precisa ancora Bargellini. "Abbiamo visto l'acqua arrivare fino a un me~ro. ~i!_IS?uw. di noi aveva visto nella sua vita m1gha1a d1 piene. Ogni volta, giunta a una certa al· tezza l'acqua aveva cominciato a decrescere Pensavamo che sarebbe stato così anche stavolta Quello che invece è successo dopo è stato' apocalittico, imprevedibile, ci ha tra\'olto tutti". Sarebbe facile rispondere con la sana massima: meglio aver paura che buscarne. Tuttavia il mito fatalistico del "diluvio", il mito-paravento dell'impotenza dell'uomo contro le forze scatenate della natura va distrutto su un piano diverso e ben più serio: la piena su Firenze non solo era prevedibile, ma era stata prevista. Già verso le 20 del 3 novembre l'Arno aveva travolto gli argini a Poppi; la situazione nel Casentino andava facendosi sempre più seria, come informava la piccola centrale de La Nussa, in costante contatto con la diga de La Penna fino a che gli addetti non dovettero abbandonarla precipitosamente. A titolo indicativo e in attesa che vengano rese note le rilevazioni dello Ufficio Idrografico Centrale di Pisa, sembra si possa parlare di una precipitazione (arr?- tondata semmai per difetto) di 150 mm. m tutto il Casentino nelle ventiquattro ore che vanno dal primo pomeriggio del 3 al primo pomeriggio del 4. I rilasci di Levane, la diga più a valle, alle 19 del 3 erano ancora di 120 mc. al secondo, ma verso le 23 erano già saliti a 1.000 - una quantità d'acqua mai fino ad allora neanche Rvvicinata -; e nel giro di un'ora si avev~ un altro salto fino a 1.600. Prima delle .1 si superavano i 2.000 al secondo e dalle 4 CONTROCORRENTE - Boston, Spring 1967 9
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