imperniava il messaggio che non ero riuscita a trasmettere. Non avevo avuto modo di parlare con i miei amici e mi chiedevo se non avrei dovuto tentare con più impegno una conversazione con gli sconosciuti. Rifacevo mentalmente la scena del mio ar• rivo, quella dell'attesa, quella della cena e non vedevo come e quando avrei potuto avviare il discorso. Rivedevo i loro ,·olti abbronzati dal sole chiusi e gravi, ma d'una concentrazione che si applicava ora per ora, attimo per attimo, all'azione immediata. Sentivo che qui le parole perdevano peso, erano superflue. Ciascuno cli questi uomini portava necessariamente nella guer· ra la propria indole, la propria educazione, il proprio modo di aderire alla realtà del momento. Sandrino nel modo incerto con il quale si era passata la mano nei capelli, mi aveva dato la misura di quanto gli dispiacesse an• darsene, ma anche di quanto per lui contasse l'impegno con i compagni, l'esempio, e il puntiglio di mostrarsi duro. Era au• dace, generoso, timido e schivo come a Firenze. Gianni invece eccessivo, incurante dei pericoli, teatrale come al nostro incontro, e impulsivo come dimostrò poco dopo con quella sua pazza corsa a cavallo per il giovinetto malato. Giorgio ne aveva sorriso, tuttavia - questo comandante duro, crudele, ove fosse necessario, e senza un rimpianto - era preoccupato della vita dei propri uomini, del loro cibo, del loro son• no, così come Io aveva scoperto il tono con cui al ragazzo che ci aveva portato la cena chiese: "Chi deve ancora mangiare?''. Goloso doveva essere un altro di quegli uomini che ora dormivano pesantemente accanto a me; lo rivedevo nell'atto di allun· gare la mano a prendere un grosso pezzo di agnello. L'aveva afferrato, riaprendo poi le dita e lasciandolo quando Giorgio aveva detto "C'è una donna, che si serva prima", ma riafferrandolo subito al mio: "No, no, non importa" e aveva riso gof!o: "Ormai l'ho toccato". Non staccò mai gli occhi dal tegame fino a che lo afferrò per ripulirlo avidamente con un gran pezzo di pane. Ma chissà quanta fame aveva patito in quei mesi. A volte il problema del cibo delle scarpe delle coperte dei medicinali era stato così tragico da far calare a valle i partigiani come tant; lupi affamati e braccati. Chi aveva resistito a quei disagi non era già un eroe? Di nuovo sdraiata vidi da un foro del sof• fitto sopra di me una stella. Contemplarla mi dava consolazione, mi calmava. Forse mi addormentai un poco guardandola e il cigolio della porta all'entrare di Gianni mi fece sobbalzare. Lo chiamai in un sussurro, mi venne vicino scavalcando gli uomini e si sedè pesantemente per terra con un sospirone. "Se io fossi un medico sarei un grande diagnostico, anzi lo sono lo stesso!". "Certo, certo", runmisi accomodante. "Ho salvato quel ragazzo da morte sicura. Ave\"a la bronco-polmonite, l'ho lasciato che non aveva più febbre!". "Così subito? Broncopolmonite? Ma sei sicuro?". ''Sicurissimo!" Sorrisi con tenerezza, già per lui non esi· stevano dubbi, tutto diventava sicuro grande straordinario, specialmente le cose fatte da lui! E poichè lo lodai congratulandomi, il suo viso stanco assunse un'aria beata, quasi si sentisse nascere in torno al capo una bella aureola. Impossibile non volergli bene! E mi sembrò di volergliene molto, proprio per quella sua fanciullaggine. Lo tirai per una manica: Lo tirai per una manica: 11Gianni", ero ansiosa di trasmettergli il messaggio che portavo, "dobbiamo riuscire a convincere questi uomini delle nostre idee". '"Ma sono già comunisti". "Ma non lo saranno tutti, e poi dobbiamo tentare lo stesso, e poi dobbiamo insegnare loro, a tutti, anche a quelli che non hanno idee chiare, ad amare la giustizia essendo giusti, la libertà essendo liberi". Dio mio, come era banale, dove avevo letto quella roba? Non era cosi che aveva detto Carlo, e veramente, n1ai nememno io! Ricercavo febbrilmente le parole di Carlo e le ritrovavo confuse, inesprimibili, avrei pianto. Annaspavo, imploravo: "Gianni, senti, la nostra non è un'astrazione ideale. Da questa guerra, da tutto questo male, deve maturare una coscienza ... non bisogna lasciare inaridire ... ". Oh Dio che cosa non bisognava lasciare inaridire? Quale smarrimento! Il quadrato della finestra si era fatto quasi bianco• rosa, nell'alba: vedevo gli zigomi di Gianni illuminarsi e il gran naso affilato, gli occhi CONTROCORRENTE - Boston, Spring 1967 35
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