Controcorrente - anno XXIII - n. 53 - primavera 1967

tutti la quistìone, ma non avevano detto nè sì nè no. Carlo temeva che i rapporti tra i due giovani e i comunisti si inasprissero e mi mandava lassù a dir loro che avrebbe inviato al più presto altri compagni di G.L. per consolidare la loro autorità nella brigata. Carlo pensava possibile una nostra valida propaganda politica proprio li, fra quei partigiani. Accanto al suo grave messaggio portavo le parole di affetto degli amici e - inesprimibile - il sorriso tenero di una giovane donna. Non volevo dimenticarmi di nessuno, non volevo dimenticare una sola parola delle molte che mi erano state affidate e cercavo di ripassarle mentalmente sebbene la fatica cominciasse e fiaccarmi. Camminavo da tanto tempo, la vaJ!e dietro di noi era ormai laggiù lontana e la salita seguitava lenta e faticosa nel grande bosco in ombra; ora anche la mia guida taceva e tutt'e due guardavamo attenti dove posare, un passo dopo l'altro, il piede stanco. Finalmente, ancora nel bosco, l'incontro con due sentinelle e altra slrada su un morbido tappeto di foglie, poi una radura in parte ingombra di tende e baracchette in torno ad una casa colonica. Il comando era al primo piano della casa. Mi accompagnarono dal comandante Giorgio, un "grande pisano" mi aveva detto la guida durante il cammino, e io salivo le scale contenta. Giorgio era un pisano come me, ci saremmo intesi subito, avremmo subito "ragionato". (Mi traversò la mente l'immagine dei nostri Lungarni, con la gente appoggiata alle spallette, intenta a "ragionare"). Nient'altro descrive meglio il tono fondamentale del carattere pisano come la parola "ragionare" che usiamo per dire parlare, conversare e che predispone a un'intesa amichevole, senza sospetto. Il "Comando" era una grande povera stanza dal pavimento di legno, il soffitto di grosse travi che sostenevano tegole mal connesse, qualche panca, un tavolo, delle sedie, ammucchiati in un angolo alcuni materassi. Al tavolo sedevano un uomo tarchiato, non più giovane; al mio entrare alzò la testa a guardarmi. Oh, Dio!, un occhio vagò ,·erso il sof"fitto mentre l'altro si posava sconcertante su di me. Non mi aspettavo un pisano strabico, aveva una barbaccia lunga, un basco lercio, una camicia da soldato mezza aperta. Inoltre mì annunciò che nè Gianni nè Sandrino erano in brigata. Tanta fatica per nulla! Ma aggiunse che in serata sarebbero rientrati. Ed ebbe l'aria di significarmi che avevamo "ragionato" abbastanza, il colloquio era finito. Leggermente a disagio sedetti fuori della casa per aspettare i miei an1ici. Alcuni partigiani camminavano sfaccendati per la radura e mi sbirciavano di sottecchi, altri passavano trasportando roba, ma con l'evidente scopo di danni una occhiatina. Anch'io li guardavo incuriosita. Non ero mai stata in un accampamento, per me tutto era nuovo, ma avevo pensato a qualcosa di più guerresco e di più suggestivo. Non conoscevo nessuno, mi pareva che loro si sentissero impacciati e io scontenta. Finalmente, attorniato da altri cinque o sei partigiani comparve Sandrino. Irriconoscibile, magro e sporco come non avrei saputo certo immaginare. Al mio grido affettuoso gli lessi sul viso la sorpresa, la commozione ma più forte il desiderio di dominarsi. Come era cambiato in questi pochi mesi il mio antico raffinato amico di Firenze! Nell'abbracciarlo vidi che polvere e sudore gli avevano formato sul collo strane incrostazioni nere: "Quando sei sudicio Sandrino!" gli dissi ridendo, anche lui rise. Poi, fattosi di nuovo serio disse, un po' impacciato, passandosi la mano nei capelli biondi e fini, che gli dispiaceva, ma doveva con qualche compagno far saltare un ponte per impedire in quella notte il passaggio a una colonna di camion tedeschi. La strada era lunga. Era venuto a prendere l'esplosivo necessario, doveva andar via subito. Cercai di non mostrare la mia delusione; lo accompagnai alla baracca deposito dove l'addetto era un ragazzone russo biondissimo dall'espressione molto dolce e giovanile. Sandrino lo chiamò con il nome di una città, la sua mi spiegò, poi a cenni e strani monosillabi s'intese con lui e a lui mi affidò. Il russo cominciò a parlarmi, ma alla dolcezza e gentilezza del suo idioma io mi limitavo a sorridere. Evidentemente voleva fare qualche cosa per me e non sapeva come: andò in un angolo, ne tornò con una bracciata di paracadute, alcuni di seta altri di tela bianchi verdi gialli e voleva darmeli. Non so se riuscii a fargli capire che sarebbero stati pericolosi in città, ma non sembrò CONTROCORRENTE - Boston, Spring 1967 33

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