Controcorrente - anno XXIII - n. 53 - primavera 1967

LA DONNAE LA RESISTENZA DI MARIA LUICIA CUAITA (3) (Continuazione del numero precedente) V. LE CORNATE Scesi a Poggibonsi nel pomeriggio; pioveva. Prima di prendere l'autobus per Volterra dovevo lasciare ad un compagno certa stampa clandestina. Poggibonsi era deserta. Soli pochi giorni prima un feroce bombardamento aveva mirato alla stazione rimasta intatta, mentre attorno e più lontano enormi mucchi di macerie, case a metà crollate, buche profonde e pali divelti rendevano il paesaggio irriconoscibile e tragico. E' in me il ricordo desolato di quel paese distrutto e deserto sotto la pioggia fitta, l'angoscia di quel mortale silenzio. Dopo lunghi giri mi ritrovai davanti alla casa dove abitava il compagno. Anche quella casa era stata colpita, un'enorme fetta era caduta, con sgomento riconobbi lassù in aria le mattonelle bianche e azzurre della cucina; l'acquaio era divelto, ma sopra era rimasto attaccato un porta-~a:pone, una povera vaschetta d'alluminio dalla quale penzolava un cencino rosato. Le sole cose che mi capitò d'incontrare furono un uomo che spingeva un carretto e un cane. Di nuovo alla fermata dell'autobus aspettai ancora sotto la pioggia, sola nel morto paese, sconvolta e sperduta. Più tardi, a cena nella casa ospitale del compagno di Volterra, nella stanza calda attorniata dai visi allegri e paffuti dei suoi bambini e da quello dolce della moglie, la sosta a Poggibonsi mi parve irreale come un sogno. ,La mattina dopo c'era il sole. Partii presto insieme con la guida che doveva accompagnarmi alle Cornate, da Gianni e Sandrino alla 23.a brigata Garibaldi. La mia guida era un operaio sui quaranta anni, chiacchierava volentieri. Era scultore in alabastro, raccontava della crisi in cui si dibatteva questa industria e dei suoi progetti futuri, avrebbe creato una grande cooperativa, esportato in America le "opere d'arte" per le quali i volterrani erano famosi. Io lo ascoltavo distratta, ai margini del mio pensiero intravedevo i busti di Dante e Beatrice, i lumini, le minuscole torri traforate; pensavo a Sandrino, a Gianni, a crune li avrei trovati. Ripensavo alla loro fuga da Firenze quando le S.S. esasperate di non riuscire a catturarli avevano messo una grossa taglia sulle loro teste. Questo era avvenuto poco tempo dopo il lancio di armi che gli americani operarono sul Monte Giovi, lancio lungamente preparato, lungamente atteso e del quale eravamo fieri. Max, Gianni e Sandrino insieme ad altri compagni lo avevano ricevuto e avevano trasportato una gran parte delle armi a Firenze con l'audacia loro propria ma che in quell"occasione si sarebbe potuta definire sfacciataggine. Poi una parte di quelle armi così preziose e indispensabili, alle quali era affldata la nostra forza e la nostra sicurezza, ci furono rubate. I nostri sospetti si erano orientati e precisati su un partigiano, un certo Paolino; dunque le nostre armi erano state rubate da altri compagni che operavano al nostro fianco contro lo stesso nemico, che condividevano i medesimi rischi e credevano negli stessi ideali, anche se da un altro punto di vista politico! I comunisti erano organizzati e mettevano nella lotta tutta la loro serietà e preparazione insieme con un voluto cinismo; avevano poi spesso nei confronti degli altri partiti, un'aria sorniona e attenta che faceva pensare come fossero in attesa del momento di prendere il mestolo in mano. Il furto ci aveva lasciati pieni di amarezza e di rancore. Con questa amarezza e questo rancore Sandrino e Gianni erano andati a Volterra e poi sulle Cornate proprio in una brigata comunista. Da notizie recenti avevamo appreso che anche il partigiano Paolino era stato costretto a rifugiarsi nella medesima brigata e quando Sandrino lo aveva riconosciuto gli era saltato addosso. Erano corse parole gravi: i comunisti avevano composto con 32 CONTROCORRENTE - ]Joston, Sprinu 1967

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