Controcorrente - anno XXIII - n. 53 - primavera 1967

alle 7 si arrivava addirittura ai 2.100. Già prima della mezzanotte, dunque. si sapeva che un disastro stava per abbattersi su Firenze: dato infatti che la portata del Ponte Vecchio è di circa 2.000 mc. al secondo, le deduzioni si presentavano piuttosto facili. C'era da tener conto, d'altra parte, che a valle delle due dighe si sarebbe aggiunta l'acqua degli altri bacini, tra cui quello notevole della Sieve. La previsione di un evento eccezionale se non catastrofico è confermata dal fatto che da Levane un tecnico telefonò ad un amico fiorentino abitante sul Lungarno Colombo per avvertirlo che l'Arno sarebbe straripato (e l'amico riusci cosi a salvare quasi tutto). Resta comunque che la direzione della diga fu in costante contatto con l'ENEL cli Firenze durante la notte dal 3 al 4 per tutta la giornata successiva; e l'ENEL riferiva al Genio Civile. Allo stesso ENEL, tra le 2 e le 3 chiese le ultime informazioni il Genio Civile, che a sua volta era in contatto con la prefettura. Anche l'Ufficio Idrografico di Firenze era al corrente della situazione. Nonostante questo, però, nessuno pensò a interpellare il guardiano dell'idrometro di Formicina, sulla Sieve, e cosi un importantissimo dato di giudizio sulla portata dell'alluvione venne a mancare. Sembra veramente impossibile che il Genio Civile non fosse informato delle condizioni di un affluente così importante: il detto secolare "Arno non cresce se Sieve non mesce'' dovrebbe pure esser noto a tutti gli uffici responsabili. Per fortuna non ci fu esatta corrispondenza di tempi tra il massimo di piena dell'Arno e quello della Sieve. Va tenuto presente infatti che a Levane i maggiori rilasci si verificarono tra le una e le 9, mentre a Fornicina il massimo livello (sette metri) fu registrato alle 15. Considerando che in tempo di piena l'acqua impiega quattro o cinque ore a percorrere il tratto compreso fra le dighe e Firenze, e meno di due ore tra lo sbouco della Sieve e Firenze, si deduce che i due massimi di piena non si sovrapposero sulla città. in quanto risultarono sfasati di almeno due o tre ore. E' da tener conto però che alle 6,30 il livello della Siete era di quattro metri e trenta, cioè appena un metro sotto quello della massima piena precedente: già questo avrebbe dovuto far capire che la situazione non poteva se non peggiorare. E infatti, alle 12, la Sieve era a cinque metri e trenta, cioè appena un metro sotto ulteriore balzo di due metri. Da tutto ciò si può concludere come non sia esatto quanto è stato scritto da qualche rotocalco, e cioè che la colpa della inondazione sarebbe soprattutto della Sieve. In realtà, non c'è dubbio che la "colpa" fu sia dell'Arno che della Sieve. Anche senza una piena straordinaria e con un accrescimento inferiore a quello che si verificò realmente, l'Arno avrebbe inondato Firenze. Lo straripamento infatti era cominciato parecchie ore prima che la piena della Sieve raggiungesse la sua massima altezza. Quando ciò ebbe luogo, nonostante che a monte di Pontassieve la portata cieli'Arno cominciasse a diminuire, a Firenze l'acqua continuò a salire. Vi furono dei momen li cli pausa nel ritmo di accrescimento, ma non dei cali sia pur temporanei nel livello. Rimane da spiegare come mai non sia stato preso alcun provvedimento adeguato a quelle che dovevano essere le informazioni in possesso del Genio Civile e della prefettura. Conoscendo i massimi rilasci a Levane era impossibile non arguire che in città sarebbero arrivati per lo meno 3.000 mc. al secondo. Poi questa cifra venne largamente superata, ma già 1.000 mc. in più di quanto può passare dal Ponte Vecchio sarebbero bastali a devastare la città. Per tali calcoli, seppure approssimativi, non erano necessari dei calcolatori elettronici. Delle due l"una: o i dati forniti erano incompleti, oppure a Firenze si interpretarono con incredibile, colpevole leggerezza. Pare comunque che andare a guardare la piena volesse dire, per le autorità fiorentine, fidarsi dei propri occhi più che dei dati tecnici disponibili. La citta' giorno per giorno 3-4 novembre. Anche se la popolazione viene lasciata nel sonno (e molti non si risveglieranno) c'è chi ha vegliato, ed al primo apparire delle acque - fra le 2 e le 4 - si sostituisce alla forza pubblica dando l'allarme ai vicini quando ormai campanelli e telefoni sono inutilizzabili. Poche ore dopo, al farsi dell'alba, ci si rende conto della realtà. Le persone che si erano offerte a dare l'allarme si coagulano ora in gruppi di intervento e operano salvataggi con mezzi di fortuna, barche e galleggianti messi insieme in modo avventuroso; ad essi si uniscono drappelli di militari e di pompieri. Ma i soldati, con tanto di moschetto e impacchettati nelle loro divise, si trovano o nelle caserme allagate, come a Rovezzano, oppure già ai loro posti per la parata, alti sui carri armati del 4 novembre, sull'attenti di fronte allo obelisco di piazza dell'Unità mentre l'acqua sale. I salvataggi con zattere e barche sono perciò soprattutto opera di pompieri e volontari. A questi mezzi si uniscono sette elicotteri provenienti da Pisa, Livorno e Roma; può cosi iniziare il prelevamento cli chi si è rifugiato sui tetti (su quello di un istituto vicino all'ospedale di S. Salvi vengono liberati venti bambini ed alcuni infermieri). Al notiziario delle 8, dopo dieci minuti di commemorazione per il 4 novembre, si sente dire che a Firenze c'è un po' d'acqua per le strade ma comunque non è niente di preoccupante. In giorna la giungono mezzi anfibi da Bologna, Mantova, Parma e Piacenza, insieme a contingenti - limitati-di vigili del fuoco. Ma i mezzi per raggiungere i quartieri isolati sono del tutto insufficienti; alcune famiglie rimarranno 80 ore sui tetti: tre giorni e tre notti. 10 CONTROCORRENTE - Boston, Spring 1967

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