Controcorrente - anno XXIII - n. 52 - inverno 1967

Pagine Ritrovate MICHELBEAKUNIN Era la fine dell'estate 1872, a Napoli. La Federazione dell'Internazionale dei Lavoratori aveva delegati Cafiero e me a rappresentarla nel Congresso che si doveva tenere in Svizzera (e che si tenne infatti a Saint-Imier nel Giura Bernese) per una intesa fra tutte le Sezioni dell'Internazionale che si erano ribellate al Consiglio generale, il quale sotto la direzione di Carlo Marx voleva sottoporre tutta l'Associazione alla sua autorità dittatoria, ed indirizzarla non alla distruzione ma alla conquista del potere politico. Io ero tutto infervorato in quelle lotte, dalle quali doveva dipendere la sorte dell'Internazionale e l'avvenire dell'azione rivoluzionaria e socialista. Giovanotto, alle prime armi, ero naturalmente tutto felice di poter andare al Congresso, entrare in relazione diretta con compagni di tutti i paesi, e, forse anche, orgoglioso di far sentire la mia voce. A quell'età, quando non si è una marmotta, si è sempre un po' troppo pieni di sè! Ma ciò che soprattutto mi metteva in orgasmo era il pensiero che conoscerei Bakunin, che diventerei (io non ne dubitavo) suo amico personale. Bakunin a Napoli era una specie di mito. Egli vi era stato, credo, nel 1864 e nel 1867 e vi aveva fiatto un'impressione profonda. Si parlava di lui come d'una persona straordinaria e, come suole avvenire, si esageravano le sue qualità ed i suoi difetti. Si parlava della sua statura gigantesca, del suo appetito form;dabile, del suo vestire negletto, della sua trascuratezza pantagruelica, del suo disprezzo sovrano del denaro. Si raccontava che '8.I'rivato a Napoli con una grossa somma nel momento in cui capitavano spesso dei rivoluzionari polacchi sfuggiti alla repressione che segui l'insurrezione del 1863, Bakunin dette semplicemente la metà di tutto quello che aveva al primo polacco bisognoso che incontrò, e poi la metà della metà che gli restava al secondo polacco e cosi di seguito fino a che - e non ci volle molto tempo - restò senza un soldo. E allora prese il denaro degli amici colla stessa signorile indifferenza con cui aveva dato il suo. Ma questo ed altro era la leggenda più o meno fondata che si forma sempre intorno al nome di chi per una ragione o per l'altra esce dal comune. L'importante era il gran parlare che in tutti i circoli avanzati, o credenti tali, si faceva intorno alle idee cli Bakunin, il quale era venuto a scuotere tutte le tradizioni, tutti i dommi sociali, politici, patriottici considerati fino allora dalla massa degli "intellettuali" napoletani come verità sicure e fuori discussione. Per gli uni Bakunin era il barbaro del Nord, senza Dio e senza Patria, senza rispetto per nessuna cosa sacra, e costituiva un pericolo per la santa civiltà italiana e latina. Per gli altri era l'uomo che aveva portato nella morta gora delle tradizioni napo!itane un soffio d'aria salubre, che aveva aperto gli occhi della gioventù che lo aveva avvicinato sopra nuovi e vasti orizzonti; e questi, i Fanelli, i De Luca, i Gambuzzi, i Tucci, i Palladino, ecc. furono i primi socialisti, i primi internazionalisti, i primi anarchici di Napoli e d'Italia. E cosi, a forza cli sentire parlare, iBakunin era diventato anche per me un personaggio di leggenda; e conoscerlo, avvicinarlo, riscaldarmi al suo fuoco era per me un desiderio ardente, quasi un'ossessione. Il sogno stava per realizzarsi. Partii dunque per la Svizzera insieme con Cafiero. Io a quell"epoca ero malaticcio, sputavo sangue ed ero giudicato tisico, o giù di li, tanto più che avevo perduto i genitori, una sorella ed un fratello per malattia di petto Nel passare il Gottardo di notte (allora non c'era il tunnel e bisognava varcare la montagna nevosa in diligenza) mi ero raffreddato, e giunsi a Zurigo nella casa dove stava Bakunin, di sera, con la tosse e la febbre. Dopo le prime accoglienze, iBakunin mi accomodò un lettuccio, m'invitò, quasi mi forzò, a stendermivi su, mi copri con tutte le coperte ed i pastrani che potette mettere insieme, mi dette del tè bollente e mi raccomandò di star tranquillo e dormire. E tutto ciò con una premura, una tenerezza materna, che mi andò al cuore, Mentre stavo ravvolto sotto le coperte e tutti credevano ch'io dormissi, intesi che Bakunin diceva, a bassa voce, delle cose amabili sul mio conto e poi aggiungeva melanconicamente: "Peccato che sia così ammalato; lo perderemo presto, non ne ha CONTROCORRENTE - Boston, Winter 1967 5

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