mentre si lamentava seguitava a preparare da mangiare proprio per noi e ogni tanto correva a vedere se c'era sempre l'uomo vestito di nero. Lasciare la casa non era possibile per tante ragioni, e poi dove andare? L'unico fatto importante, urgente era salvare i timbri: quelli per i lasciapassare tedeschi, con la grande aquila bicipite e gli altri di Bosa e Benevento per fare carte d'identità false e tutti i fac-simili dei documenti che avevo in consegna. Non erano sicuri neppure nell'appartamento di sopra, dovevo portarli via subito, anche se il nostro uomo, per ora, aveva un aspetto annoiato e bonario e si limitava a fare del moto su e giù per la strada, dalla pasticceria fino agli alberi del viale. Decisi di uscire subito e portare con me i timbri e le carte, e di avvertire che nessuno venisse e cercarmi a casa. Avevo un appuntamento alle due sull'angolo di Via S. Caterina, all'edicola dei giornali, avrei lasciato tutto quel ben di Dio al compagno che avrei trovato ad aspettarmi. L'uomo vestito di nero mi lasciò uscire, non si mosse dal suo marciapiede, si limitò a fer,marsi ed a guardarmi salire in bicicletta: mi sembrò guardasse le mie gambe da bravo terrone focoso. La strada in discesa mi dette subito velocità, ce l'avevo fatta! Puntuale davanti al giornalaio vidi la grossa sagoma del compagno in attesa. appoggiato alla bicicletta. Tesi il braccio sinistro come segnale, svoltai e ... mi ritrovai all'ospedale. Un camion tedesco, sopraggiunto dietro di me a grande velocità, mi aveva urtata; sbalzata di sella in malo modo avevo battuto la tempia sulle rotaie del tram. Ma lasciatemi stare un momento li tramortita e seguiamo invece la borsa, la vera protagonista di questa avventura. Il mio compagno capì quel che doveva fare in simile momento, afferrò la borsa e via in bicicletta, e tutto sarebbe andato benissimo senza il buon cuore delle donn~ fiorentine. Le due o tre popolane presenti alla scena si misero a gridare! "Guardate, oltre tutto le rubano la borsa a questa poverina, acchiappatelo. Al ladro! al ladro !". Sicchè, inseguito da varie persone, il mio compagno dovette gettar loro la borsa per riuscire a farla franca. Sdraiata sul lettuccio del pronto soccorso vedevo sopra di me mani e braccia che si muovevano, sentivo alcune parole in tedesco, altre in italiano, dicevano: "Non se n'è accorta, andavano troppo forte!". Poi vidi occhi azzurri. guance rosse e grasse e un,1. bocca dalle labbra sottili che diceva con strana pronuncia: "Non si muova". Cominciavo a ricordare, ma non ancora a capire. Richiusi gli occhi, cercavo di immaginare cosa stessero facendo alla mia testa, e perchè mi bruciasse una tempia, cercavo di ricostruire ciò che era successo e di capire dove ero. Ricordai: un urto, un volo. Ah! E la borsa? Qualcuno disse che dovevo essere ricoverata, sarebbe stato meglio non trasportarmi, c'era pericolo di commozione cerebrale. Un altro aggiunse: " Si può metterla al dodici, almeno per ventiquattro ore, è vuoto, poi si vedrà". Riaprii gli occhi: la solita faccia, il solito ordine di stare ferma. Mi accorsi che c'erano parecchi uomini in camice bianco, mi parvero tedeschi, ai miei piedi un milite. E la borsa? Uno, anziano, seduto ad un tavolo, si rivolse al milite in un italiano quasi perfetto: 11Lei sa chi è?". "No, ho aiutato a soccorrerla, sanguinava tutta, un farabutto ha tentato di rubarle la borsa, l'ho rincorso; ma era in bicicletta, mi è scappato!". Oh Dio, la borsa! Era stato certamente il compagno che aveva tentato di prenderla. ma era riuscito? Con sforzo guardai intorno: la borsa era lì, sulla panca, accanto al muro vicino alla porta d'ingresso. "Ferma" e giù una sfilza di parole tedesche. Richiusi gli occhi. Quello al tavolo disse: "Se nessuno sa chi è, avrà qualche documento dentro la borsa". La borsa! Mi buttai giù di colpo dal lettino, ma caddi nelle braccia del medico, che, furioso, mi costrinse distesa. Istintivamente cominciai una recita via via maggiormente sollecitata dall'effetto che avvertivo negli astanti; piangevo e mi agitavo chiedendo la mamma. I vestiti da una parte erano stracciati, le calze in brandelli, riuscii a vedere uno stinco, una gamba spellata fino alla coscia. L'infermiere tentava di farmi star ferma ed era chiara la disapprovazione e il disgusto del medico che, disinteressandosi improvvisamente di me, disse qualche cosa in tedesco e poi: "Silenzio, andate a casa". "Ma dove sta?" chiese quello al tavolo e il milite: "Avrà i documenti nella borsa!" e di nuovo fece l'atto di avviarsi verso la panca. La borsa! Mi feci prendere da un altro attacco e coCONTROCORRENTE - Boston, Wittter 1967
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