che con tutti i miei sforzi riuscivo a raccapezzare ma una speranza ardeva in me: il Sabatini mi aveva promesso qualche cosa di "buono" appena possibile. E un giorno mi disse: "Vieni domani, ti darò t,anti conigli da far mangiare un arrosto, - un vero arrosto! - a tutti quei ragazzi lassù!". Ma l'indomani il Sabatini aveva dovuto assentarsi, mi toccò aspettare ancora la mattina dopo. Ci andai cosl presto che trovai il ristorante nel suo pieno squallore mattutino, con quel particolare odore di avanzi e di segatura bagnata, con le sedie rovesciate sui t,avoli e altri tavoli con l'aria cli dover crollare sotto pile di piatti e mucchi di posateria. Ma uscii di là trionfante e infilai al manubrio della mia bicicletta due sporte cariche di conigli, saranno stati due dozzine. Forse più. Trafelata e felice irruppi in cucina da mia madre che sgranò tanto d'occhi: "Me li ha dati il Sabatini! Sono per i partigiani di Lanciotto, quelli di Monte Morello!". "Tutti?" arrischiò la mamma, timida e desiderosa. "Tutti!" E lei, subito rassegnata: "Ma allora che babbo non li veda! Vai a metterli in cantina, presto!". Scesi in cantina, studiai con cura un nascondiglio, decisi per una cassa vuota e ci ficcai due sporte ricolme. La staffetta doveva venire il giorno dopo. Ero raggiante, eccitata, pensavo all'appetito di Lanciotto e dei suoi uomini. Lanciotto era un bellissimo tipo di campigiano. Qampi è un paesino quasi ai piedi di Monte Morello, il monte brullo e scabro che sovrasta Firenze e scende verso il Mugello in pinete folte borri profondi dirupi aspri. E dal suo Campi Lanciotto era salito sul monte con la sua brigata di partigiani; era un ragazzo semplice, d'una generosità gagliarda e ridente. La mattina dopo cominciai ad aspettare la staffetta con impazienza e man mano che le ore passavano con inquietudine, con ansietà. Alla sera la delusione mi bruciava come una ferita. E passò un altro giorno e la staffetta non veniva. Mi rammentai che esisteva un fattore di Campi, lo conoscevo di vista, qualcuno me lo aveva indicato come amico e collaboratore di Lanciotto. Forse lui avrebbe potuto aiutiarmi, consigliarmi, darmi qualche indicazione. Dove ripescarlo? Un fattore: certo veniva i giorni di n1ercato a Firenze. cd eccomi febbrilmente a girare per le strade, stradette e vicoli intorno a piazza della Signoria, fra la ressa dei contadini e dei fattori. Ogni tanto - ah! - mi pareva di riconoscerlo, ma la medesima espressione dava a tutti quei volti una sorta di somiglianza allucinante. .o; quel mio guardarli intenso provocava apprezzamenti cosl lusinghieri e coloriti da produrre in me uno sconforto, da indurmi a desistere dalla appassionata ricerca. Allora chiesi aiuto ai comunisti, ma quelli, che mi conoscevano poco, non si fidarono, non ne cavai che risposte evasive e la promessa che se ne sarebbero occupati. I miei, di G. L., non sapevano proprio quale altra strada indicarmi. E intanto, sui conigli pigiati dentro le sporte, trascorreva il tempo. Ancora tre giorni. Una sera, tornando a casa esausta dal gran camminare, fui accolta da mia madre preoccupata e invelenita: "Si sente puzzo nel corridoio, se ne accorgeranno tutti, farai succedere una tragedia!" Avrei ,pianto. Per una volta che quei ragazzi potevano sfamarsi davvero, che disdetta, che maledizione! E adesso che fare? Bisognava portar via quei dannati conigli la sera stessa malgrado il coprifuoco. Dopo cena scivolai in cantina. Mia madre aveva ragione. C'era un gran puzzo. Con le due sporte fetenti che pesavano da spion1bare uscii e mi avviai guardinga verso il Oampo di Marte. Una splendida sera di luna ma la strada paurosamente deserta e silenziosa. Camminavo svelta dalla parte dell'ombra, rasentando i muri. Talmente rimbombavano i miei passi che cercavo di camminare in punta di piedi. Se qualcuno vedendomi cosi furtiva e sentendo il fetore avesse pensato che il mio carico consisteva in un cadavere, magari il marito fatto a ,pezzi? Soffocai a stento un urlo, qualcosa di morbido, di caldo, era piombato sulle mie spalle; rattrappii tutta, inondata a un tratto di sudore. Ed ecco dal buio di una porta fissarmi due occhi verdi, un altro gatto, un enorme gattone nero mi viene fra i piedi, mi segue anche lui, miagola: anche l'alro miagola. Accidenti, ma quanto ci vuole ad arrivare. Ancora un gatto, soriano questa volta, ed eccone uno bianco che giunge cli corsa, dà una capata alla sporta e miagola disperato. Il fetore insopportabile mi avvolge tutlla e richiama altri gatti, ora è 30 CONTROCORRENTE - Boston, Winter 1967
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==