Controcorrente - anno XXII - n. 51 - autunno 1966

Pippo era il più nervoso dei tre ma anche il più risoluto; pallido e magro, un po' curvo, con la voce che a tratti scattava e allora le parole si facevano veloci, col gesto breve, col viso puntuto ed espressivo insieme. Con Pippo sarebbe stato duro lavorare, pensavo, ma avrebbe capito e Pippo capì sempre la buona volontà di tutti noi. Ricercato dalla polizia, braccato dalle S.S. riusci a creare insieme a Rita e a Nello tutta l'organizzazione politica del partito. Attivo, infaticabile, riempiva le lacune, colmava i vuoti imprevedibili - e di giorno in giorno, d'ora in ora - sfuggiva alla cattura. E non certo per il modo col quale presumeva di non farsi notare. Ci fu un periodo in cui s'era fatta crescere la barba, folta ricciuta e nerissima, portava sempre occhiali neri e un cappellaccio calato sugli occhi. Ricordo l'episodio che lo indusse a rendere il suo travestimento meno appariscente. Un pomeriggio, preso dall'entusiasmo per non so più quale notizia che gli avevamo portato, ofkì a Rita ed a me di andare a bere in un bar vicino al luogo dove c'eravamo incontrati. Rita non rifiutava mai per principio, e anch'io accettai divertita che l'austero Pippo offrisse qualche cosa. Appena entrati ci accorgemmo di essere capitati in mezzo a tedeschi, ufficiali repubblichini, donne eleganti, qualche raro borghese. Nessuno di noi tre sapeva che proprio quel bar era il più frequentato della città dai fascisti. E Pippo con quella barba e quegli occhiali, e Rita, piccola grassa scalmanata e mal vestita e infine io, con un vecchio impermeabile di un verde inverosimile con una grossa borsa rigonfia, formavamo in quel luogo un ben strano terzetto. "Sarà" disse Pippo porgendoci i bicchieri: 11ma ci faranno uscire?". E Rita ridendo: "Non lo sai quanto son fessi!" ma scoprii che guardava di sottecchi e capii con preoccupazione, un u[iicial~ seduto poco lontano. Poi ci disse che era stato un suo allievo e che anni prima le aveva fatto ilVere delle noie con il preside per un discorso da lei tenuto in classe e che lo scolaro aveva ritenuto antifascista. Cara Rita, generosa indimenticabile amica, forse perchè ora trasfigurata nella morte più vicina al mio cuore, era sempre pronta ad assumersi ogni responsabilità e accettare i rischi con limpida coscienza, il consiglio preciso obiettivo, la sollecitudine calda spontanea e fratern·a. La sua modesta casa fu per tutti noi durante il tragico anno che seguì un porto sicuro. In Piazza Donatello, quella sera dell'otto settembre, c'era un insolito movimento. Nessuno si decideva a rincasare, nell'attesa di notizie. L'armistizio, tanto desiderato, aveva diffuso con l'inoltrarsi della notte un senso d'angoscia. Il comunicato, in qualche modo equivoco, non lasciava molte speranze. Si diceva che i tedeschi avevano accolto la notizia con indifferenza e freddezza . Non erano mo! ti a Firenze, ma questa loro impenetrabilità intimoriva la popolazione che li riteneva invincibili e vendicativi. Passò un gruppo di soldati bolognesi del 19.o artiglieria. Erano decisi ad arrivare a casa, a Bologna, magari a piedi. Si erano tolte le mostrine e avevano qualche cosa di non ,precisamente militare. Ci raccontarono che il loro tenente aveva detto: "Curagg, fteui, scapuma!" e si era vestito in boi,ghese. Verso le prime ore della notte arrivarono rumorosamente nella piazza tre carri arma ti. Il giovane ufficiale che ci venne incontro era Renzo B. un compagno. Domandava che cosa poteva fare con i suoi tre carri. Aveva un'aria un po' spavalda, ma era deciso. Tutti rimanemmo in silenzio anche Pippo Carlo Enzo, quelli che durante la lotta clandestina avrebbero portato il peso delle più gravi e aspre responsabilità. Il giovane ufficiale decise da sè: "Andremo verso la Futa. Può darsi che vi siano altre forze. Lassù stanno combattendo i bersaglieri". Ci abbracciò, poi agile si fissò sulla torretta e salutava ancora, allontanandosi per il viale buio seguito dagli altri due carri con grande strepito di ferraglia. II. LA SOCIET A' DI CREMAZIONE Il primo lavoro che Pippo mi assegnò fu di procurare timbri falsi. Allora passai ore e ore affacciata alla ftnestrella dell'alta torre medioevale, che chiudeva il vicolo di Capaccio, davanti al Palazzo di "parte Guelfa". La torre poi fu minata e saltò insieme ai ponti, a Por Santa Maria, a Borgo San Jacopo, per mano di quegli stessi tedeschi i quali, poche ore prima, avevano fatto sperare che anche Firenze, come già Roma, sarebbe stata dichiarata "città aperta". CONTROCORRJENTE - Boston, Autumn 1966 35

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