eco in un abisso di silenzio. E mi è quasi costato la vita. Ma che importerebbe la vita? Gli è che io non ho più la vostra visione del presente fenomeno. Io penso che il popolo italiano debba subire a lungo questa lenta espiazione. Quando un popolo è fradicio, manca di senso morale e di dignità civica, di coscienza, di coraggio, di amore della libertà, codesto popolo ha bisogno d.i una tirannia che duri e infierisca, d'una diuturna oppressione che lo sevizii e lo soffochi. Bisogna che i torti che subisce ogni giorno gli diano il disperato coraggio di conquistare una legge e vigilarne l'inviolabilità. Ma tutto questo non s'improvvisa, non può essere opera d'un giorno, forse nemmeno l'opera d'una generazione; certo che non può e, secondo me, non deve essere l'opera di pochi. Da cinque anni assistiamo in Italia allo sfacelo di tutte le resistenze e di tutti i partiti. Il fascismo piega e corrompe e i rarissimi che rimangono al loro posto vi rimangono per dovere, senza speranza. I più si vendono, si rannicchiano, s'imboscano. Il popolo, la grande maggioranza del popolo italiano che il giornalismo d'opposizione, l'opposizione, tu ed io ci illudiamo di rappresentare, è una massa amorfa ed abulica, senza volontà e senz'anima, un gregge che domanda solo di brucare pochi fili d'erba. Stenta e se il vergaro, per pararlo qua e là, picchia forte, si volge appena e trotterella più oltre. Si sconta oggi la facilità della conquista di ieri, la ventata di fortuna del secolo scorso. Confusa la libertà con l'indipendenza, un pugno di garibaldini e la necessità dell'equilibrio europeo ci regalarono il maggiore dei beni. C'era costato cosi poco che' l'abbiam perduto subito. E noi pochi dovremmo riconqul!!tare per tutti gli imbelli, per tutti gli ignavi quella libertà che il gregge non seppe conquistare mai, che' gli venne di Francia come una derrata d'importazione, che s'è lasciata portar via plaudendo al primo villan rifatto che ha voluto togliergliela. Congiure? Colpi di mano? Che cosa otterremmo? Credi tu che l'avremmo mutato il ,gregge? Come oggi Benito Mussolini gli impone la schiavitù; noi dovremmo imporgli la libertà? Pongo un problema: è vera libertà la libertà imposta? Forse il gregge non ci sarebbe grato del dono, non saprebbe conservarlo a lungo. La libertà si conquista da tutti, col dolore e col sangue di tutti". Avendo camminato per anni invano come l'innamorato della favola, consumato sette paia di scarpe e non aveva versato lacrime perchè l'odio ne aveva inaridita la fonte. Sette lunghi anni avevo domandato, povero zingaro della ribellione, che qualcuno mi assegnasse un posto, mi desse un ordine, mi mostrasse una bandiera; domandato un angolo di strada, una trincea per morire non da coniglio, ma da soldato tra camera ti. E tutti m'Insegnavano soltanto d'of-· frire la gola al coltello. Insorsi anche contro di lui. Levai la mano oltre la stri• scia nera della punta di Santa Margherita dove sapevano che sonnecchiava la vecchia e nuova domatrice marmorea che bagna.i piedi nel golfo, attinge coi capelli le stelle e dal mare, dal monte, dal cielo avrebbe dovuto attingere l'ossessione della libertà sconfinata dissi: - Uno? Pochi? Che im- 'POrta? Senta ciascuno di noi che c'è un dovere da compiere. Dovere! La parola è nata, per noi, su questi scogli, sotto queste stelle. Dorme forse con Lui a Staglieno? Doveva attendere che un popolo lo seguisse, Colombo, per dare un nuovo continente all'umanità per andare verso una nuova ignota Golgota, verso la delusione, forse, ignota Golgonda, verso la delusione, forse, dell'Atlantide inabissata? Sperò forse che un popolo lo seguisse Lui, quando si mosse? L'hanno detto dopo, ma Egli lo sapeva prima di cominciare l'ascesa triste del suo Golgota; camminò per mezzo un cimitero. Il Figliuol suo, il primo genito del suo pensiero, lo sgozzato di Sapri, con quanti mosse e che sperava? E l'altro, il Suo braccio di fulmine, il Nazareno biondo della libertà, in chi credeva la sera fragrante di Maggio in cui scese da Villa Spinò per salpare verso la grande gesta? La storia la fanno gli eroi e le minoranze eroiche. Ed essi, in pochi, avevan solidamente costruito. Il popolo lo hanno infradiciato in cinquant'anni quelli che credono che la rivoluzione sia il risulllato di uno scarso raccolto di patate o d'uno squilibrio dei campi. E di un popolo infradiciato in tal guisa può impadronirsi un ciarlatano impazzito. Noi però abbiamo il dovere di svegliarlo, di liberarlo.. . Sono passati due anni. Credo ancora, lontano, esule, a quel dovere. Che soprattutto ci impone di lavare un'onta. E' il terzo anniversario. L'assassinio di Giacomo Matteotti non è il delitto di Benito Mussolini, è il delitto del capo del governo italiano e di tutto il suo rpartito, partito che, per nostra vergogna, è ancora al potere e rappresenta dinnanzi al mondo l'Italia: è quindi, ufficialmente, il delitto di tutto un popolo. Chi non si ribella è un complice. L'immobilità della sua morte - se i capi erano vili, il popolo doveva trovarsi un capo - l'inerzia dinanzi al chiararsi delle responsabilità, l'imbelle commedia dell'Aventino, l'aver subito proni il discorso del tre gennaio e la turpe farsa di Chieti, ha· reso tutti gli italiani corresponsabili con Benito Mussolini. E' il terzo anniversario. Tu che leggi lettore, io che scrivo, noi abbiamo ucciso Giacomo Matteotti. Lo abbiamo ucciso e gli abbiamo negato una sepoltura, lo abbiamo ucciso e abbiamo negato giustizia alla sua vedova e ai suai tre figli innocenti. Ricordati, tu che leggi, come io che scrivo, ricordo: fin quando non avremo lavata quell'onta il nome d'Italiano suonerà disonore nel mondo! Parigi, giugno 1927. FINE 38 CONTROCORRENTE - Boston, Spring 1966
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==