Controcorrente - anno XXII - n. 49 - primavera 1966

tire più ravvicinati del solito i colpi delle artiglierie schierate lungo il fosso della Molletta. Lo scalpiccio sempre più fitto e un brusio crescente lasciavano indovinare una fila di compagni che veniva a schierarsi sotto il nostro ballatoio allungandosi verso la "rotonda" centrale. Era passata una ventina di minuti dall'arrivo delle SS quando si apri la porta della nostra cella e un guardiano lesse da una scheda azzurra: "Bordoni Manlio". Manlio si alzò di scatto dal pagliericcio avviandosi rapidamente dietro il tedesco senza una ,parola, senza neanche lasciare la giacca del pigiama color granato per indossare la giacca del vestito. Manlio era un bel raa,gzzo romano con occhi dolci e 'Profondi. Aveva un impiego nelle Poste, e adesso il suo nome si legge in testa all'epigrafe apposta sul palazzo di Piazza San Silvestro. Quale militante del partito di azione aveva compiuto parecchie imprese arrischiate, finchè i tedeschi erano venuti ad arrestarlo nella sua casa di via Taranto piena di armi e munizioni. Il tribunale militare lo aveva condannato a morte dieci giorni prima, ed io stesso gli avevo critto una domanda di grazia per il generale Kesselring, "dignitosa e senza ritrattazioni" come la voleva lui. Non temeva la morte, anzi ne parlava spesso scherzando: "Quando mi avranno fucilato - diceva - verrò di notte a tirarti i piedi". Sembrava che stesse a vivere nelle pagine di un racconto del Risorgimento, attento a non sbagliare un gesto e uM frase fino alla fine. Scherzava con la morte, ma a ventiquattro annf si runa la vita, e certo a sentirsi chiamare pensò che la grazia doveva essere stata accordata, se lo portavano ad Albano con gli altri. Per questo usci sorridendo. Dopo un'altra decina di minuti, la porta si apri di nuovo e il tedesco lesse dal cartellino azzurro il nome di Mario D'Andrea. Anche Mario scattò in piedi l'adioso afferrando il sacchetto della biancheria, ma il tedesco gli disse: es braucht nicht, ed io tradussi che il sacchetto non occorreva. Comprese, e mentre usciva lentamente si voltò sulla soglia per lasciarci uno sguardo triste. Mario era stato arrestato qualche settimana prima sul tram numero 8 a Piazza Indipendenza, in una retata fatta a caso dai tedeschi dopo lo scoppio di una bomba, e sperava di tornare presto al suo posto di impiegato nelle ferrovie, alla moglie e ai tre bambini, perchè negli interrogatori non gli era stata contestata nessuna accusa, anzi gli avevano detto che sarebbe stato liberato presto. Perciò aveva afferrato il sacchetto. Passarono forse altre due ore prima che la colonna dei chiamati si avviasse verso il cortile. Dallo sportellino si potevano vedere le SS che andavano su e giù reggendo il mitra per la canna, e il maggiore che dava ordini al panciuto maresciallo comandante del "braccio", da noi chiamato Faistaff anche per il suo naso rosso di bevitore. Si sapeva che era un brav'uomo, ~alstaff, e davanti al maggiore stava come uno scolaretto spaurito. Anche i poste1i apparivano turbati, perfino quello soprannominato "il gufo" per gli occhialoni tondi sulla lunga f,accia pallida, che sprangava sempre lo sportellino quando gli toccava il turno di guardia e ci sbatteva la porta in faccia guardandoci con occhi cattivi. Il sole era tramontato dietro la cima del Gianicolo che si profilava dietro la grata, e con l'ombra scendeva sul carcere il freddo del crepuscolo di marzo. Un detenuto comune, uno "scopino", venne a dirci che Manlio chiedeva la giacca e un po' di tabacco. Gliene mandammo una busta ben piena. IL LUNGO APPELLO Poi cominciò l'appello e durò a lungo: sentivamo i nomi, tutti, e le voci tranquille che rispondevano presente. Infine furono messi tutti in fila e fatti marciare. verso il cancello del cortile. Quando gli ultimi passi si persero in fondo al corridoio, dal cortile si alzò il rombo dei camion che partivano uno dietro l'altro. Sebastiano ed io restammo a guardarci in silenzio. Sebastiano Tranquilli era un contadino anziano che sapeva parlare solo del suo orto ai Cessati Spiriti e della sua cavalla. Stava a fissarmi con gli occhietti chiari, i gomiti puntati sulle ginocchia e la testa fra le mani, come faceva sempre per ore e ore. Finalmente apri la bocca per dire: "Ah, poveri figliacci", e non parlò più. Dalla cella 275 qualcuno bussò alla parete per chiamarmi alla finestra: era Virgilio Tagliaferri, un frascatano di diciannove anni che mori un mese dopo al Forte Boccea. "Che ne dici?", gridò. Risposi che certo sarebbero tornati presto, dopo due o tre giorni. 26 CONTROCORRENTE - Bost/01!,, Sptitig 1966

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