tica che viene proclamata come l'unica per salvare la nazione in pericolo, fino a quando potrà continuare la fiducia in una amministrazione che si palesò mendace? Infine la pubblicazione del libro "I mille giorni" di Schesinger, confidente del defunto presidente Kennedy, svela al pubblico che questi si era convinto che la politica americana di appoggio al governo di Vietnam del Sud era stata impostata su un piano sbagliato, che l'impegno di mandare truppe colà, sia come istruttori o come combattenti, era stato un errore. Anche qui Schlesinger cerca di correre ai ripari, e di difendere l'attuale politica del governo, affermando che, errore o non errore, oramai in Vietnam siamo impegnati, e non c'è modo di tirarsi indietro. Invero si può rimanere sconcertati da un'affermazione simile, fatta non da un politico, ma da una persona che colla storia dovrebbe avere una buona famigliarità. Difatti la storia è piena di ricordi di disastri piombati su popoli, in conseguenza di piccoli errori non riparati in tempo, che condussero a successivi più imponenti sbagli, fatti per salvare una questione di prestigio, che richiesero più monumentali sforzi e sacrifici, fino a stremare chi si lasciò attrarre nel gorgo. Fino a poco fa, era 11arere di tutti, o quasi tutti i militari che lasciarsi attrarre in una campagna militare come quella che si prospetta ora in Vietnam era equiparabile a un pazzo suicidio, destinato a dissanguare le risorse americane, fatalmente richiedente l'impegno di un esercito immenso, con servizi di rifornimento spaventosamente estesi, in una campagna da prevedersi in anni, se non decenni, mentre in altri più essenziali settori gli interessi della nazione potevano essere in pericolo. Questa valutazione militare evidentemente non ha mai tenuto conto dell'aspetto politico dell'intervento: essa ha solamente considerato il pro e il contro di una spedizione, senza preoccuparsi di quanto può avvenire quando la campagna, bene o male, sia conclusa. Nel caso attuale, oramai gli Stati Uniti sono decisi a ridurre le due parti del Vietnam, e molto probabilmente anche larghe aree vicine, a un deserto. Villaggi sono incendiati, popolazioni, che da anni non chiedono altro che di poter lavorare in pace e di non essere soggette a soprusi, sono decimate e immiserite, vie di comunicazione, istituzioni sociali, scuole, ospedali scompaiono o scòmpariranno in un olocausto: tutto ciò perchè una infima minoranza di vietnamesi, pavidi di una consultazione popolare, hanno deciso di schiacciare l'espressione della volontà nazionale, ridotta alla rivolta per essere stata privata della possibilità di manifestare la propria opinione pacificamen te, ed, incapaci di provvedere alla sporca bisogna colle proprie forze, hanno invocato l'aiuto di un forte straniero. E' ammesso .da ognuno che il presente governo di Saigon è e sarà incapace di provvedere ad una riforma delle proprie istituzioni atta a soddisfare i bisogni del suo popolo. Che avverrà, se pur vogliamo ammettere che l'impegno di un esercito imponente finirà per sfiancare la rivolta interna, sia pure sostenuta da un governo vicino, che scorge nello stabilimento di basi militari americane una minaccia alla sua esistenza? Potremo pensare che, su un'area di territorio imponente, ridotto alla miseria, possano d'incanto sorgere e fiorire le istituzioni politiche del tipo americano? Se pure la Cina non si sentirà minacciata dalla campagna americana al punto da sentirsi obbligata ad intervenire militarmente, come potranno gli Stati Uniti bloccare per sempre le infiltrazione politica cinese in un settore che, storicamente diffidente della espansione cinese, sarà stremato al punto da dover ricorrere a un sistema sociale egualitario per sopravvivere fisicamente? E, se per il contrario li conflitto si estenderà alla Cina, come possiamo essere sicuri di non ingigantire l'influenza russa, che potrà benissimo tenersi al di fuori dal massacro, fino a quando non le converrà intervenire come arbitra e pacificatrice? * * * L'amministrazione si vale dei risultati di indagini di opinione pubblica per affermare che la maggioranza della popolazione americana approva la sua politica. Essa cerca non una giusta soluzione alla crisi, ma il consenso. Ed in ciò sta un errore fatale: indubbiamente è facile galvanizzare l'opinione richiamandola alla lealtà quando la patria è in difficoltà, e più ancora, come nel caso presente, quando si possono facilmente ravvivare gli spettri dell'espansionismo comunista. E, difatti, come in fondo nel caso di Schlesinger, ma da persone che non hanno la sua preparazione, di frequente si sente dire che molto probabilmente fu un errore incominciare ad Impegolarsi in Vietnam, ma che oramai non possiamo tirarci indietro senza concedere una perdita 4 CONTROCORRENTE - Boston, Winter 1966
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