Controcorrente - anno XXII - n. 48 - inverno 1966

nlo Matteotti si sono affacciate varie ipotesi, spesso contraddltorle. Sta di fatto che la Ceca fascista si identifica con la "Associazione Arditi d'Italia" il cui primo nucleo si formò a Milano ai comandi di Albino Volpi. Il Volpi, garzone macellaio sfruttatore di malefemmine, disertore, condannato sei o sette volte per reati comuni, fu tra i primi ferventi fascisti milanesi e, adoperato dal Duce in ogni impresa delittuosa, godeva della sua stima, fiducia, amicizia. Fu ritenuto autore dell'assassinio del maestro socialista Inversetti, una delle prime vittime milanesi del fascismo, e fu assolto per non provata reità proprio in seguito a una deposizione di Benito Mussolini che ne lodò ... il galantomismo. L'omertà che legava sino dall'alba del partito capi e gregari si dimostrò appunto in quel processo dove Mussolini disse di aver avuto la prova dell'innocenza del Volpi in seguito alle confidenze d'un altro fascista ormai morto. Gli Arditi d'Italia non avevano niente a che vedere con gli Arditi di guerra. Erano per la maggior parte ex imboscati o disertori, ma avendo quasi tutti partecipato alle prime spedizioni punitive e dichiarandosi pronti ad ogni violenza, l'appartenere alla loro associazione, era diventato, per tutti i capi del fascismo una specie d'onore. Moltissimi deputati, consoli, segretari di fasci importanti e alti dignitari del partito portavano con ostentazione, nel 23 e nel 24, all'occhiello il distintivo degli Arditi d'Italia. Ma oltre al distintivo palese ne avevano un altro, in segno di riconoscimento: si trattava di una minuscola roncola di metallo vile o d'argento o d'oro che portavano appesa alla catena, nel taschino del panciotto. Erano orgogliosi della roncola, a Milano, Mario Giampaoli, Attilio Longoni, Carlo Maria Maggi e molti altri gerarchi del fascismo. La spiegazione del simbolo mi fu data cosi: agli antifascisti dobbiamo tagliare la gola con la roncola. La Ceca esisteva dunque da tempo, ma dalle concessioni di Finzi e di Rossi è risultato che proprio negli ultimi giorni d'Aprile, dopo il ritorno di Dumini dalla Francia e dopo l'aggressione a Forni, s'era tenuta una seduta in casa del Duce, a Via Rasella, per dare alla Ceca una costituzione più regolare. La prima gloriosa impresa della Ceca, costituita come polizia segreta di Stato, doveva essere l'assassinio di Matteotti. Secondo indizi che risultavano chiarissimi dall'inchiesta de l'Alta Corte, da tutti gli atti del processo, dalla requisitoria Santoro, pare che tale assassinio fosse già deciso prima ancora dei due discorsi del martire. Un telegramma di Amerigo Dumini a un amico residente in Umbria e spedito prima del trenta Aprile, dice: Verrò da te dopo concluso Il noto affare. E prima ancora del trenta Aprile s'era rilasciato a Matteotti il passaporto per l'estero ch'egli chiedeva invano da tre mesi, commentando in favore con la frase: gli abbiamo rilasciato il passaporto per l'altro mondo. Sembra lo si volesse uccidere all'estero. Ma l'ordine tassativo di operare a Roma - dato che Matteotti invece di partire per l'estero partecipava, troppo attivamente, ai lavori parlamentari - è stato dato dal Duce a Marinelli il cinque Giugno e trasmesso dal Marinelli, dopo brevi accordi con De Bono, ,a Dumini il sette Giugno. L'otto Dumini spedisce a Volpi il noto telegramma: Vieni, porta con te Panzer! ch'è abile cauffeur. Volpi parte con Panzeri che poi dichiarerà al processo di Chieti, per sgravarsi del sospetto d'aver inferto la pugnalata micidiale alla vittima: "Al volante c'ero io". Che l'ordine sia stato trasmesso da Marinelli a Dumini dopo il colloquio avuto col Presidente nel pomeriggio del cinque lo si deduce chiaramente dal fatto che i soli che risultano chiaramente complici diretti di Mussolini, che non hanno avuto rivolte di coscienza, che sono da Mussolini premiati della fedeltà e del silenzio - De Bono col governo della Tripolitania, Marinelli con sei milioni del Partito Fascista, di cui, dopo la scarcerazione, non ha più reso conto - furono appunto il Direttore generale della Pubblica Sicurezza e il segretario amministrativo del P.N.F. Ma poi la prova più grave che, esistendo in Italia una legge, una magistratura, dei giurati, sarebbe bastato per mandare li Duce e i suoi due complici più diretti all'ergastolo, è contenuta nel resoconto del colloquio avvenuto dopo il delitto, quando ciascuno tentava di combattere l'uragano addensatosi, la notte fra li dodici e Il tredici Giugno, al Viminale, tra De Bono, Marinelli, Finzi, Rossi, colloquio riferito dalla requisitoria Santoro. Da quel colloquio si apprende come del resto dagli ulteriori atteggiamenti, che Finzi e Rossi non erano stati preavvisati del delitto, men tre De Bono e Marinelli ne erano al corrente, si apprende che Marinelli aveva discusso col Presidente, nel pomeriggio del cinque Aprile, dell'attività della Ceca e della lezione da darsi a Matteotti e si apprende anche - particolare interessante per valutare giustamente il suo posteriore antifascismo - che Rossi, pur non avendo ordinato il delitto era di parere di affrontare la bufera assumendone in pieno la responsabilità, rifiutando J',autorizzazlone alla magistratura di arrestare i colpevoli. Rossi si scandalizzò dell'assassinio di Matteotti, ma dall'arresto di Dumlni che fu sorpreso alla stazione mentre trovavasi in compagnia di Carlo Bazzi. Altro tardivo antifascista. Gli assassini concorrono a Roma, alloggiano in comodi alberghi, mangiano da Brecche, il noto restaurant di lusso, covo di politicanti e vitaioli fascisti e delle loro amanti, sgualdrine per male o sgualdrine per bene, restaurant dove nessun fascista paga e il proprietario colleziona I conti per mandarli al palazzo Chlgi ogni fine mese e farseli saldare col danaro della nazione. (Continua) 38 CONTROCORRENTE - Boston, Winter 1966

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