Controcorrente - anno XXII - n. 48 - inverno 1966

La vittoria di Mussolini fu dovuta sopratt;1tt<?alla bu?na_ fede degli avversari legahtan I quali ntenevano il ripetersi nel secolo ventesimo d'un fenomeno borgiano essi pensavano che i suoi delitti stancassero il_popol~ e retrocedevano di giorno in giorno d1cendos1 sempre: Fin qui non arriva, questo segno non lo oltrepassa. Egli oltrepassava tutto. E' andato oltre ogni limite prevedibile. Valentino Borgia e Ivan il Terribile sono rinati, dopo la rivoluzione francese, dopo la democrazia del diciannovesimo secolo, in lui. La strage di Torino, quella di Firenze, il lento tragico martirio di Molinella, la soppressione perfida e in modi svariati di tutti gli avversari temibili, da Matteotti ad Amendola da Gobetti a Capello l'esilio o l'imprigionamento degli altri sono stati conseguiti da lui secondo un piano di una raffinatezza avvelenata che certamente era difficile immaginare possibile nel nostro tempo. Pur tuttavia gli uomini gli si opponevano se fossero stati uomini politici, avrebbero. dovuto rendersi conto subito della sua tragica pazzia, della sua ferocia, della sua crudeltà. Niente. Non capirono nulla. Essi erano stati educati ad una strana teoria secondo la quale un fenomeno è sempre un fenomeno di classe. In omaggio a tale teoria essi avevano disperso per anni le forze rivoluzionarie; proletari da un lato, borghesi dall'altro. Impossibile ammettere che tra proletari ci fosse un delinquente, impossibile ammettere che la delinquenza di una intera classe, la borghesia, potesse oltrepassare i limiti consentiti dai costumi moderni, dalle conquiste civili della rivoluzione francese e del diciannovesimo secolo: tanto che, per loro, Mussolini non era Mussolini, la responsabilità individuale diminuiva sfumando nel più ampio quadro della controffensiva della classe che egll rappresentava. E cosi l'odio non si appuntava, ma si disperdeva; Benito Mussolini secondo questa concezione non era il mostro, non era il "Deus ex machina" d'ogni delitto, diventato anch'esso il cieco strumento d'una fatalità, un episodio di una lotta di classe, di cui bisognava attendere gli uteriori sviluppi? certamente lo abbiamo già detto, Benito Mussolini vendicava una classe, ma Pelloux l'avrebbe vendicata con lo Stato d'assedio, Giolitti con una manovra, Mussolini l'ha vendicata ... sappiamo come. Mentre i legalitari attendevano gli ulteriori sviluppi. La lotta di classe che si svolgeva nei paesi civili con urti di scioperi e serrate, con battaglie giornalistiche, ma per il temperamento di un solo era trasformata in Italia in una caccia all'uomo selvaggia, senza pietà e senza tregua. Benito Mussolini covava e scovava l suoi odi. Il commendatore Fasclolo ha dichiarato che egli passava il suo tempo, nelle mattinate a palazzo Chigl, sopra tutto a scorrere le liste di sottoscrizione a favore del1' Avànti, della Giustizia, e de l'Unità per mandare ordine ai fascisti delle province di bastonare o di purgare i sottoscrittori. La gelosia contro qualunque uomo gli facesse ombra si manifestava in impeti bestiali. Mentre egli sembrava indulgere a trattative con Gabriele d'Annunzio e i capi delle Federazioni la sua invidia, il suo errore per la popolarità di d'Annunzio si dimostrava in un episodio meschino. Avendo saputo che tra i telegrammi d'incoraggiamento a d'Annunzio per l'opera di pacificazione che tentava ce n'era uno di due fratelli di un piccolo villaggio del Cremonese, telegrafò subito a Farinacci perchè i due fratelli fossero bastonati a sangue. La piccineria d'una lavandaia, l'anima livida di un aborto morale costituivano il fondo dell'uomo col quale infiniti politicanti italiani e stranieri hanno creduto per anni di poter onestamente e fiduciosamente trattare. Dal giorno della marcia su Roma all'omicidio di Giacomo Matteotti sono stati as~assinat! in Italia, e tutti per ordine suo, seicento innocenti. Nessun fascista italiano, e questo lo dico a aggravio di Mussolini ed a sgravio dei suoi scherani fanatizzati ed ignoranti, ha mai osato agire di prop_ria iniziativa. Voi potevate in Italia, m pieno terrore fascista, sputare in faccia a un gregario. Egli si rasciugava lo scaracchio col dorso della mano e commentava: non ho ordini e non posso rispondere. Soltanto dietro ordini precisi si vendicava, agiva. Questa disciplina cieca, se è stata la forza del fascismo e la ragione prima della sua vittoria, riconvoglia però tutte le responsabilità criminali del partito al sommo della gerarchia. Per l'aggressione Forni, che non costò la vita all'aggredito per la sua straordinaria prestanza fisica, Giunta e Rossi imponendola, telegrafavano: "presi ordini dal Capo del Governo e Duce del Fascismo". Dopo l'assassinio di Don Mtnzoni, ordinato da Italo Balbo uno dei più fidi sgherri di Mussolini ed 'evidentemente col beneplacito del Presidente del Consiglio, mentre il Prefetto e la magistratura agivano prontamente e lo stesso Console della milizia Beltrami, non credendo, per la sua enormità, che il delitto fosse politico si dava d'attorno onde scoprire i colpevoli, Balbo e l'allora Ministro di Grazia e di Giustizia on. Oviglio telegrafava da Roma, l'eterno: "presi ordini dal Capo del G_overno e Duce del Fascismo vi Imponiamo d1 cessare da ogni seria ricerca degli assassini". Dai memoriali di Rossi, si rilevava che il Duce approvò anche la strage di Torino che come vedremo era stata originata da ragione tutt'altro che politica e che, mentre tale strage riempiva d'orrore persino I fascisti Torinesi, egli promoveva a Governatore della Somalia il senatore De Vecchi unico fascista del Piemonte che l'avesse approvata. Nel primo nostro fascicolo abbiamo assicurato che, mentre per una telefonata del duce da Forll il giorno seguente l'attentato di Anteo Zambont, doveva accadere a Mil~no una vera strage preparata, per obbedienza, da Glampaoli Negrini e Marinelli, CONTROCORRENTE - Boston, Winter 1966 35

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