Controcorrente - anno XXII - n. 48 - inverno 1966

dappertutto. Ed egli era portato a vedere in chiunque, che per profondo ed insanabile dissenso di idee, criticava, sia pure cortese• mente, la sua concezione dello stato i suoi atti di governo, un nemico personale congiurante con odio ai suoi danni. Si che tutte le offese gli sembravano difese e ogni agguato e ogni assassinio legittima prevenzione o ritorsione. Senza il suo stato d'animo patologico il caos mostruoso che egli ha creato sarebbe inspiegabile. O pazzo o idiota nato; da questo dilemma non s'esce. Perchè a nessun uomo politico s'era mai offerta in Italia l'occasione di poter governare pacificamente e durevolmente il suo popolo come s'era offerta a lui. Il di· ciannove e il venti avevano creato nel paese tale una confusione, tale un'esasperazione, tale una disperazione che la gran maggioranza del popolo avrebbe accolto con gioia, qualunque soluzione, pur d'uscire dal tormento. I popoli sono come gli individui; perpetuate in un uomo uno stato d'incertezza, lasciatelo per mesi e mesi sull'orlo della tragedia, fra il dubbio e Il dolore, ed egli accoglierà anche il peggio pur di finirla una volta per sempre; s'augurerà un colpo apoplettico o un colpo di revolver. Gli errori colossali spaventosi del socialismo abulico ed acefalo, gli scioperi a mitrag'iatrlce, la minaccia diuturna della rivoluzione da parte di gente che poi scappava In massa se comparivan tre camicie nere o s'inginocchiava con rassegnazione a inghiottire l'olio di ricino, avevano portato chiunque a desiderare o la rivoluzione sul serio o una tirannia che ristabilisse l'ordine, la pace sociale, la possibilità del lavoro tranquillo. La vita era diventata un giuoco del lotto. Tutte le mattine, quando ci si alzava, si poteva giocare a pari o dispari per sapere se si sarebbe trovato il tram o no, se i caffè sarebbero stati aperti o chiusi, se nel proprio ufficio si sarebbe o non si sarebbe potuto lavorare. Il partito socialista non osava andare al potere, mentre lo avrebbe potuto, per non scatenare gli estremisti i quali a loro volta sbraitavano di non potersi accontentare se non con una repubblica dei consigli, ma, per ottenerla, non sapevan far altro che scioperi. I governi che si succedevano, esautorati dal fatto di non potersi appoggiare a una solida maggioranza, che si sarebbe avuta solo con una collaborazione dei socialisti coi popolari, rimanevano pencolanti vivendo una vita precaria di piccoli rimedi e di mezze misure, pur di non scontentare nessuno. La soluzione, qualunque soluzione, era attesa da tutti con ansia. C'erano borghesi che invocavano la rivoluzione dai socialisti: Per Dio! mandateci a fare i lustra scarpe, ma decidetevi una volta, finitela!... Ce n'erano altri che invocavano una dittatura mllitare, l plotoni d'esecuzione, la forca. Furono quelli che vinsero, che trovarono in Mussolini il pugno di ferro, l'uomo che invocavano. Ma, come sempre accade, la marcia su Roma fu un atto di Inutile vi• gllaccherla, fu la pugnalata di Maramaldo, la facile vittoria sui vinti. La rivoluzione l'aveva buttata Giolitti ridendo sull'occupazione delle fabbriche, il socialismo s'era logorato da solo per inettitudine di capi e impreparazioni spirituale e materiale delle masse in vani e buffi conati scioperaioli esasperando durante due anni il nemico con chiacchiere e spacconate senza mai osare una spallata decisiva •all'edificio barcollante. Anche Io sciopero del luglio 1922 fu un rantolo d'agonia. Non eran state in fondo, altro che scosse d'assestamento dopo il terremoto della guerra e la pace stava tornando e sarebbe tornata senza le sopravvenute provocazioni fasciste e senza il del giacuaro della famosa Marcia che non era ormai più un bisogno e poteva soltanto significare, e significò di fatto, l'organizzazione da parte della borghesia d'un governo che la vendicasse dalla paura passata. Mussolini è una vendetta storica, una vendetta di classe. E fu il vendicatore perchè il suo temperamento d'ammalato, la sua megalomania e la paranoia lo portavano a questo e perchè la sua incapacità lo spingeva a sopperire con forza alle manchevolezze dell'ingegno. La monarchia s'è condannata forse complottando, ma certo permettendo la marcia su Roma che avrebbe potuto fare con quattro moschettate, Mussolini s'è condannato prestandosi alla vendetta di classe, sfogando tutti i rancori personali, trasformando un governo che avrebbe potuto essere di pacificazione, in una tirannia fatta d'arbitri, di prepotenze, dl delitti. Ma questo i suoi avversari o non lo vollero o non seppero mai nè capire nè credere. Non vollero capire che la sua natura d'avventuriero senza scrupoli, privo dell'intelligenza necessaria per mantenersi al potere con le arti benefiche d'un saggio governo ma deciso ad aggrapparvisi a ogni costo con la perfidia, la violenza e ogni arte male, lo avrebbe spinto ad oltrepassare ogni limite d'umana nequizia. La forza di Benito Mussolini durante gli anni in cui si ebbe ancora una parvenza di lotta tra fascismo e opposizione, lotta che in fondo si riduceva da una parte a una persecuzione selvaggia e dall'altra a una conigliesca sopportazione consistette appunto in questo; nell'oltranzismo criminale del Presidente, nella impossibilità da parte degli ignavi, fino dal primo giorno, di capire il suo temperamento, cercare di credere al fenomeno e affrontarlo come tale. Bisognava sentirsi tutti minacciati nella coscienza, nel lavoro, negli averi, nella vita, considerarlo come un brigante ln agguato, come un delinquente volgare quale sl dimostrava in tutti i suoi atti e sentirlo spaventosamente temiblle perchè, a servizio del suoi rancori, delle sue vendette, dei suoi soprusi, di tutte le sue basse passioni egli metteva l'organismo dello stato vinto da un colpo di mano cui s'eran prestati molti altri Illusi che non lo credevano allora pericoloso quando egli si è pol in effetto dimostrato. 34 CONTROCORRENTE - Boston, Winter 1966

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