ignoranza. E quelli che ammiravano in lui il giornalista da trivio e l'oratore da osteria si compiacquero di vederlo al potere, di sentire echeggiare finalmente nel.'aula di Montecitorio le invettive e le minacce che echeggiano a notte nei vicoli bui della malavita. Quando il popolo napoletano, con un corteo meraviglioso lustrante al sole di acciai e di sete, seguiva Masaniello alla cattedrale per investir.o della suprema autorità, 11 demagogo si fermò a un tratto e fece fermare palafreni recalcitranti e armigeri, dignitari e ambasciatori, berline di dame e folle plaudenti. Si fermò, scese da cavallo, aperse il magnifico paludamento, sbottonò i calzoni e attese tranquillamente a soddisfare uno dei bisogni che non si soddisfano oggi in pubblico senza esser multati e tratti in pretura a rispondere del reato di oltraggio al pudore. Il popolo napoletano applaudi. Il primo discorso di Benito Mussolini al parlamento italiano, mutato il luogo e mutati i tempi, equivaleva al gesto di Masaniello. "Avrei potuto fare di quest'aula un bivacco di manipoli". E i castrati de la maggioranza, che nel ventidue non era ancora nè fascista, nè fascistizzata, applaudirono. L'"avrei potuto", il condizionale, rappresentava una promessa. Infatti il parlamento italiano non esiste più. Sono basati cinque anni per abolirlo e trasformarlo in una ignobile scuola di claque dove i centurioni della milizia, i consoli, gli alti funzionari del partito fascista s'adunano tre giorni ogni tre mesi a fare la parata grottesca dell'entusiasmo e a permettere al Duce di pronunciare due o tre dei suoi magniloquenti, altisonanti, ma vuoti e sconclusionati discorsi. I capi clacque danno il segnale dell'applauso, due o tre deputati interpellano recitando testi che sono stati prima riveduti e corretti e approvati a palazzo Chigi, altri due o tre si levano a ringraziare il Magnifico d'aver beneficiato il paese, interrorito i nemici, esprimono i voti e la gratitudine del popolo lieto di essere sa'assato e bastonato, si raccomandano a Dio perchè conservi alla Italia il genio del grande ricostruttore delle sue fortune. E la commedia è finita. Parecchi sono i fattori che hanno spinto Benito Mussolini verso la tirannia e la criminalità politica sistematica. Anzitutto la sua natura. Benito Mussolini è un malato. Egli, che vanta spesso la sua gioventù e la sua gagliardia, se non fosse capo del governo italiano, dovrebbe essere chiuso in un frenocomio. Il senatore Luchini uno dei più autorevoli giuristi italiani ha studiato il caso patologico del Duce con seria obiettività scientifica e parecchi medici non sospetti di idee rivoluzionarie, interrogati da me, m'han confermato le conclusioni del Luchinl. Il demagogo !tallano, flgllo d'un operaio alcoolizzato e luetico, quindi già tarato ereditariamente, ha contratto egli stesso la Iue In tarda età, dopo Il ritorno dalla guerra. E, circostanza aggravante, per una paura fisica che forma Il fondo del suo carattere e determina tutti i suoi atti, non ha osato curarsela. Bisognava che tre o quattro amici gli si mettessero attorno, esercitassero una vera violenza, lo trascinassero dal medico. Ma appena vedeva la siringa di pravatz o appena l'ago cercava la vena rigonfia alla giuntura del braccio destro egli sveniva. Ha dunque seguitato per anni a sfuggire ad una cura che era, per il suo organismo minato, una suprema necessità. E la sventura d'Italia ha voluto che il momento in cui conseguenze della sua ignavia igienica lo portavano allo squilibrio mentale coincidesse esattamente col momento del suo trionfo politico. Nei giorni della marcia su Roma egli era già un paranoico e come tutti i paranoici era dominato sopratutto dalla mania di grandezza e dalla mania di persecuzione. L'ulcera al duodeno che gli ha minacciato l'esistenza nei primi anni del suo governo aveva le stesse origini. Dato questo fatto, se Benito Mussolini non occupasse il posto che occupa e il suo male non avesse procurato infiniti lutti alla nazione se ne potrebbe aver quasi pietà. La responsabilità dei suoi atti ricade non tanto su di lui quanto sulla minoranza armata che lo ha innalzato al posto che occupa e sul popolo che ha subito il prepotere di questa minoranza. Quando una nazione in pieno secolo XX subisce la dittatura d'un uomo che in tutti i suoi discorsi e in tuti i suoi atti manifesta chiari i segni della pazzia e che è evidentemente un anormale, questa nazione merita le sue sventure. I paranoici hanno momenti di abbattimento. Io credo che nei momenti d'abbattimento e di lucido intervallo Benito Mussolini senta ancora e abbia sentito, specialmente nei primi tempi del suo governo, la propria insufficienza, la sua incapacità a mantenere degnamente il posto che occupava. D'altra parte gli elementi torbidi che aveva chiamato a raccolta attorno a sè premevano d'ogni Iato, avidi soltanto di danaro e di cariche, di ~acili paghe e di orge. Degli uomini d'altri partiti che aveva adescato alla collaborazione, non si fidava. Sebbene gareggiassero coi suoi fedeli in inchini, in malleabilità, in cortigianeria egli li aveva in sospetto. E i fedeli si dividevano in due categorie: 1.o Sottotenentini di complemento che ,avevano mal comandato un plotone di guerra e, gettato sul lastrico della smobilitazione, non avevan avuto nemmeno la capacità di trovarsi un impiego a seicento lire mensili. E di questi egli fu costretto a far sottosegretari di stato o ministri. Ricordiamo Acerbo, Finzi, Balbo. I Borsaioli e sfruttatori di malefemmine con sette condanne - compresa quella per diserzione - nella fedina criminale. Di costoro fece i ras e gli agenti segreti della sua polizia. Ma le sue diffidenze e Il suo considerare l'arte di governo semplicemente come l'arte di perseguitare fino al sangue e fino alla morte anche i più miti ed i più leali oppositori derivavano dal suo male. La mania di persecuzione, caratteristica nella paranoia da lue fa scoprire nemici Implacabili CONTROCORRENTE - Boston, Wi11ter 1966 33
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