Controcorrente - anno XXII - n. 47 - autunno 1965

Apatia dell'elettorato L'apatia degli indifferenti - dei non clericali e non bolscevichi - potrebbe anche essere una suprema saggezza. A forza di delusioni il popolo ha finito per convincersi che fan politica solo gli arrivisti, quelli che essendo disoccupati, cercano un impiego e che i partiti son camarille di furbi che sfruttano masse di imbecilli e che i governi son tutti cattivi, tutti governi di oppressione e di furto. Un governo è sempre buono finchè è governo utopia, governo promesso; appena istaurato diventa tirannia più o meno larvata e sfruttamento e ruberia. E allora perchè agitarsi? Perchè lottare? Può darsi che nella nostra apatia, nella nostra indifferenza, noi italiani siamo molto più avanti di altri popoli che pigliano ancora sul serio la politica. Se io penso l'entusiasmo col quale a vent'anni sono stato comunista e vedo a che cosa s'è ridotto il comunismo là dove ha potuto realizzarsi mi vien voglia di sputare su tutta la mia ,giovinezza. (Milano 15-3-1950). Statolatria e Carattere Si lamenta da molti che nel nostro tempo faccia difetto il carattere. Gli uomini che coltivavano un ideale o si dedicavano alla politica avevano in passato - anche in un passato relativamente recente - qualità che oggi non si riscontra no più: resistenze eroiche, spirito di sacrificio, intransigenze superbe. Oggi chi si dedica alla politica lo fa per cercare un impiego, una delle tante greppie ai margini della produzione, prima per sbarcare alla bell'e meglio il lunario, e, dopo, per salire i gradini di una carriera, tutta di truffe e d'ipocrisia, a incremento della propria ambizione e del proprio tornaconto. Niente di più spregevole dell'uomo po!itico del presente che la pecorile stupidità delle masse applaude ed esalta. Se le masse sapessero di che pasta è composto il politico, il politicante, il politicastro della nostra epoca, quando lo vedono passare, invece di inchinarsi e applaudire dovrebbero turarsi il naso per il fetore torcere sdegnosamente lo sguardo e scaracchiare. Finchè noi non riusciremo a insegnare alle masse il disprezzo dell'uomo politico - a qualunque partito dica di appartenere - non le avremo salvate nè dallo sfruttamento, nè dalla schiavitù. Sono i politici che seminano discordie e zizzanie, i politici che si fanno pagare chiacchiere sconclusionate ma sempre retoricamente eccitanti al dissenso, i politici che, per salire di un gradino, provocano rivoluzioni inutili, guer· re, catastrofi d'ogni genere. Un pensatore, in una soffitta, solo, nella miseria e nel dolore, escogita rimedi per sollevare o alleviare i mali del genere umano. Segue l'esegeta, il propagandista, !'or ganizzatore, prende l'idea del misantropo solitario, la va a vendere in tutti i cantoni, sfigurandola secondo il proprio interesse contingente e, di una meteora fa un mucchio di sterco o di fango, di un fiore un rospo velenoso. A tanto si è axrivati che si ha paura di lanciare una qualunque idea; si sa a priori che verrà immediatamente uno speculatore a deformar,a, a sofisticarla, a farne un turpe mercato. T,utti rimpiangiamo il periodo eroico del socialismo, quello anche più eroico della anarchia. Nessuno sa indicare i rimedi per ricondurre idee, che degenerano in mano a maneggioni e a farabutti, alla loro primitiva purezza. E riesce straordinariamente difficile farci un'idea del perchè della degenerazione, della confusione e della supina adorazione de.Je masse per uomini che hanno tradito l'ideale della loro gioventù o che hanno fatto di se stessi, della loro piccola e tronfia personalità, l'ideale di un popolo o di una nazione. Eppure una riassuntiva analisi del problema ci spiegherebbe l'apparente mistero. Pronti a confondere le idee con gli uomini che le rappresentano e propagano, noi ci lasciamo trascinare alla negazione di quello che abbiamo adorato sopratutto dal timore. Prima di tutto il timore della fame e se• condariamente il timore delle persecuzioni. A poco a poco lo. Stato - il Leviathan, il Moloch dell'epoca presente - al quale si è piegato il socialismo dopo aver affermato in partenza di volerlo distruggere - ha finito per diventare l'arbitro dell'individuo. Lo incatena e lo vigila dalla culla alla tomba, ne dirige tutte le azioni, ne ostacola o impedisce i movimenti, gli impone qualunque gesto. Di qui a poco anche i nostri pensieri saranno diretti e catalogati secondo il volere dei dittatori, dei Big Brothers di Orwell. Noi dovremmo soffiarci il naso all'ora prestabilita e nessuno dei nostri atti o dei nostri impulsi sarà libero. Nel 2000 l'uomo sarà un numero, senza volontà o personalità. Anche la colpa de!la nostra pedissequa vigliaccheria spetta allo Stato. Sopravvi· vere stando all'opposizione diventa una impossibilità. E' lo Stato che fornisce il lavoro e l'impiego, lo Stato che permette la vita. Fuori dello Stato c'è solo la disoccupazione, la miseria, la fame. Se anche - come negli stati cosidetti democratici - non si è arrestati e portati a finire in un carcere o fucilati - si deve però rassegnarsi al vagabondaggio forzato, alla fine lentissima di fame, d'inedia. Tutti sanno oggi che non ci si oppone impunemente allo Stato. E che cosa è lo Stato? Il potere di una camarilla di ·burocrati incapaci, potere assoluto e tirannico, anche quando lo si esercita col guanto di velluto. Potere sfruttatore e oppressore, <anche quanto sfrutta con la più sorridente menzogna ed opprime con melliflua aria paterna. In America del Nord la classe borghese almeno esprime dal suo seno gli uomini che già seppero nella vita privata costruirsi una fortuna, che già dimostrarono nel mondo degli affari una 'abilità organizzativa e speculativa e li innalza ai più alti posti nei pubblici uffici. Di qui le fortune di CONTROCORRENTE - Boston, Autumn 1965 27

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==