non ne hanno visto il crollo, essi non hanno visto crescere, sulle zolle bagnate del loro sangue, una tirannia mostruosa quale non fu mai nei secoli, più crudele di quella degli czar, più odiosa di quella degli Absburgo, più mentecatta di quella del basso impero. Parlai, scrissi fin quando non venne l'ora di combattere. Ventiquattro mesi di trincea e trenta di fronte suggellarono la mia fede. Tu che mi davi, Patria? Niente: anche le unghie con le quali potevo scavarmi una trincea e una fossa eran nùe. Se la morte non mi volle non fu mia la colpa, nè tua. Mi desti in quel tempo la popolarità. Oh varrebbe la pena di parlarne! Tra una fucilata e l'altra, dal dente del Pagubio a Col Berretta, scrivevo. Ti regalai quattro libri che avrebbero, in un altro paese, bastato a far grande un uomo che terminatili avesse spezzato la penna. Tu patria eri dietro le spalle del mio editore. Un patriotta al cento per cento che nei miei riguardi ti rappresentava. Mentre io ti difendevo nascosto in gallerie di neve, lontano dal mondo, egli ml sottaceva il buon successo dei nùei libri e comprava per mille lire i diritti della "Casa dell'Uomo" e di "I colloqui con la morte", due libri che, se non hanno la forma e la quadratura dei successivi, erano però la diana del mattino della mia opera e-avevano tutta la freschezza della gioventù. Di quei due libri si sono pubblicate più di duecentomila copie. Egli mi rubava dunque duecentocinquantamila franchi mentre io lo difendevo e ti difendevo. Tu patria eri dietro le sue spalle come dopo fosti dietro le spalle, incuorando, di tutti quelli che sollevarono contro di me la canea ignobile dell'invidia, della calunnia, del crucifige. Eri tu perchè eran tutti. Gran delitto trovar quattro lettori in un paese in cui cinquantamila analfabeti, si credon genii e si ostinano a voler vivere di letteratura Invece che d'agricoltura e, scrivendo brodaglioni sgrammaticati e tediosi che nessuno vuole ingoiare, astlano, <aduggiano, assillano chiunque, per la novità dello stile e dei pensieri, riesca e guadagnarsi un pubblico! Gran delitto, e dovetti scontarlo amaramente! Nessuno fu di me più odiato. Critici Impotenti, preti, magistrati e persino i cosidettl compagni s'unirono in una schifosa combutta, s'accozzarono In una combriccola lercia latrando, uggiolando, cercando d'azzannarmi ai talloni. Anche coi cosidetti compagni che imbelli, ignavi hanno lasciato seppellire il nùo paese, tutti intenti a combattersi tra loro e a combattere me perchè dei loro, anche con essi, Patria stiamo facendo i conti. Perohè tutti I nodi vengono al pettine. So che la guerra fini, che parve che si dovesse uscire di trincea. Irrisione anche quella. Ci sono ·rimasto ancora, io. Sempre: duelli, aggressioni, processi, saccheggi della mia casa, finte fucilazioni, ferite. Poi da ultimo l'esilio. E tu credi che mi dolga, questo esilio, Patria? Eh, n'o! Ho toccato ancora una volta, come dodici anni fa, la terra della libera Elvezia, dopo due notti di pioggia e di tormenta, trascinandomi dolorosamente per un ginocchio che gli sbirri del tuo Duce mi avevano spezzato. Ma, sappi, Patria, questa seconda volta non avevo più lo stesso animo di quanto lo toccai a Romanhorn e mi pareva di correre a salvarti e volevo venire a combattere e morire per te. La seconda volta tu eri morta nel mio cuore. Eri la patria di Mussolini, dei suoi ruffiani, delle sue spie, eri la Patria della galera, del domicilio coatto, d'ogni coazione, la patria dell'arbitrio, della prepotenza, della menzogna, la Patria d'ogni corruzione e d'ogni infamia. E, toccato il suolo della libera Elvezia, m'Inginocchiai sulla neve fresca ch'era un po' macchiata del mio sangue, del sangue delle mie ferite, la baciai religiosamente e guardando verso te, guardando la terra che forse non avrei rivisto mai più, Patria ti maledissi. Abbiamo tirato in fretta le somme, Patria. Mi siedo davanti a te. Guardami In faccia se l'osi. Patria di schiavi, io sono un uomo libero. E, te lo dico senza odio: ti odio. E questo mio odio, Patria, è la mia quarta ed ultima liberazione! L'ancora è staccata. Al largo. Al largo! Più cielo, più mare, sul capo le stelle. Parigi, 27 febbraio 1927. Riportiamo qui. in esclusivo, parte del carteggio inedito di questo scrittore politico sperando di fare cosa grata ai nostri lettori. Teocrazia e bolscevismo Sono ,avverso alla teocrazia e al bolscevismo. Dico bolscevismo perchè non dobbiamo confonderlo nè col comunismo nè col marxismo teorico, che il bolscevismo russo e il nostrano dipendente dal russo, han tradito schifosamente. Basti pensare che Marx diceva ai proletari che socialismo vuol dire conquista della libertà integrale e conquista dello stato non per sostituirvi le persone ma per distruggerlo, abolirlo, per farsi una idea della attuale degenerazione dei nostri comunisti e in genere di quasi tutti i partiti socialisti i quali non fanno che convertirsi alla statolatria hegeliana, a statizzazioni e a pianificazioni che come ha dimostrato Karl Mamheim, non possono condurre ad altro che alla schiavitù. Per la questione della teocrazia noi sosteniamo che l'esperienza della ricerca di Dio è la più personale, individuale delle esperienze e ogni individuo ha il diritto di condurla, come Pascal, Kierkegaard, Rylke, nel profondo della sua coscienza. Non avversiamo nessuna religione, nessuna mistica, avversiamo la Chiesa-partito, la Chiesa che si mischia alle lotte politiche e che, in questo senso, non può essere quello che è sempre stata: elemento di reazione. (Milano 3-7 1948) CONTROCORRENTE - Boston, Autumn 1965 25
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