Controcorrente - anno XXII - n. 47 - autunno 1965

Chi mi compiange si compianga e m'invidii; sappia che io guardai attorno a me con occhi più grandi dei suoi, ch'io seppi vedere quel ch'egli non vide. Che io ho il coraggio di dire quel ch'egli, per un falso pudore, non dirà mai. La famiglia? Che schifo! Cresciuto negli anni, quando il cervello s'era educato alle sintesi logiche impeccabili, io formu;ai l'ironica condanna degli affetti convenzionali: "Dice ciascuno: tutte le donne sono sgualtrine; eccettuato, s'intende, mia madre, mia moglie, mia sorella, mia figlia. Siccome però tutte le donne sono sorelle, madri, figlie, mogli di qualcuno, ne risulta una eguaglianza ch'è l'assurdo sarcastico su cui poggia la nostra morale e la nostra società: tutte le donne sono, nello stesso tempo, oneste e sgualdrine. Vidi dunque nella lontana fanciullezza, attorno a me, nella mia famiglia e nelle altre, la prostituzione per danaro, compensata dal fuggevole capriccio aUumacare non soltanto i lenzuoli e gli asciugamani, ma le coltri, i tappeti, le tende, i muri di tutte le case; la libidine e la fornicazione strisciare come viscidi serpenti neri per le camere scure; dipanare spirali onniavvolgenti ne la tenebra e nel silenzio: tutto avvinghiare in soffocamenti di lussuria e di spasimo. Piccoli singulti, gemiti, miagolii, singhiozzi. Uno strido di tragedia, acuto, talvolta. Una chiazza di sangue. Poi ancora l'unisono ritmico piagnucolare della voluttà che, con attimo di dolcezza, compensava il <fango, lo sterco, il danaro; la vendita delle coscienze e delle carni. Su l'orgia dei turpi mercati si stendeva p'.acido il velario de l'ipocrisia. Italia, Italia, figlia dei gesuiti! Scompariva ogni macchia se entrava da una gelosia socchiusa una spera di sole. Ma il teatro della vita, il teatro delle madri prostitute e dei padri alcoolizzati dovrebbe restar chiuso ai fanciulli. Si constringono invece ad esserne gli eterni, i forzati spettatori. Le bocche si educano a un riso stridulo, a negare la verità, l'amore, l'onore. Più tardi, ingoiato l'amaro, quelle stesse bocche ricanteranno la ignobile, la odiosa menzogna: "quella santa donna di mia madre, quel santo uomo dr mio padre, le gioie del focolare domestico ... " E' di prammatica. Nota stonata di vecchia ghitarra romantioa. Io ho potuto scracchiare senza pena sui ricordi della mia infanzia. Era la prima liberazione. Quasi per istinto poi scracchiai sulla divinità; era la seconda. Odiai con tutte le forze del mio animo ogni autorità; era la terza. Sta per giungere l'ultima. Patria l'ora è venuta: facciamo i conti. All'infanzia senza carezze, senza pace, sole, senza giardini, all'infanzia che, spiando, col cuore grosso, turpitudini, covava l'odio e lo schifo, successe una giovinezza senza mèta. Per gli uomini della mia generazione, Patria tu non avevi un pane. Le scuole, gli istituti, le università vomitavano ogni anno, sulle strade della penisola, eserciti di giovani famelici; tigli di contadini che si erano rifiutati alla zappa, di calzolai che non avevano sofferto l'odor di pece. Laureati battevano, costoro, per anni ed anni, •a tutte le porte, lucidavano con la mano implorante le maniglie di tutti gli usci, consumavano col magvo deretano le seggiole di tutte le anticamere. Per finire guardie di pubblica sicurezza o custodi di lupanari. Dopo aver vinto tre concorsi. A ogni modo per raggiungere le scarse novanta lire mensili - con ritenuta di ricchezza mobile - che copriva le altre ribalderie necessarie ad arrotondare lo stipendio, erano necessarie innumerevoli raccomandazioni. Italia, Italia! Patria delle raccomandazioni! E, naturalmente, in un paese di oneste prostitute, le sole raccomandazioni valevoli erano quelle femminili. Fosse disgrazia o fortuna, so che a me ogni speranza era preclusa: mia madre era morta, sorelle - grazie a Dio - non ne avevo, nè moglie ... Bisognava dunque partire. E partii senza maledire. Ma fino a quel giorno, a me, tu patria, non avevi dato nu!.a. La vita? E chi te l'aveva chiesta? E che cosa è la vita senza un tozzo di pane e senza un raggio di felicità? Non maledissi, non provai nessun struggicuore. Tirai un largo respiro quando, con i primi tonfi dell'elica e i primi cigolii del cassero, il piroscafo si mosse. Più mare, più cielo. Sul capo le stelle. Dicono quelli che scrivono con l'inchiostro di caramella che a bordo si piange, che si guarda svanire l'ultima striscia di terra con un groppo in gola, con un senso di nostalgia doloroso. Sciocchezze. A bordo si vomita e si balla. Piange soltanto la fisarmonica che accompagna le tarantelle e le monferrine. Chi va, va perchè si lascia dietro un inferno di miseria e d'angoscia. Chi va, va perchè spera in un po' di comodi e di bene. La bellezza del suolo natio? Lirica da canzonette napoletane, sentimentalismo da sartine costipate. O voi che non metteste mai il naso fuori di Gorgonzola o di Canicattl, chi ve l'ha detto che il vostro paese è più bello degli altri? La maestà delle Alpi? Avete visto le Cordigliere, le Ande, l'Imalaia? Il Po regale? A confronto del Mississipi, del Rio della Fiata, delle Amazzoni, del Gange pare la pisciata d'un ubriaco il sabato sera. I tramonti della Campagna Romana, color palombino? Vi han mai parlato d'un tramonto nelle foreste della Florida, nelle praterie del Kentuchy, nella pampa della Argentina, nella savana del Penlab? Il verde delle nostre colline? Andate a vedere, a maggio, il verde della vallata del Tamigi o quello della vallata del Reno. 22 CONTROCÒRRENTE - Boston, Autumm. 1965

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