dì Washington, e stavano torse sollevando la vita della nazione, dalla palude p.etosa in cui la ottusità di altre amministrazioni l'avevano lasciata. Perciò ci sentiamo di unirci nel dolore della nazione, nella deprecazione di un assurdo delitt:o, a cui, per ogni apparenza, manca perfino la nobiltà della protesta di un attentato politico, perfino il disperato appello di chi si erge a vendicatore dell~ ingiustizie sociali. * * * Il compianto di questi momenti non deve per altro divertere lo spirito da altre considerazioni. Anzi, la tragedia di Dallas richiede con urgenza che la nazione si prepari a prove difficili. Anche se si potesse confidare che la direzione politica della nazione sarà presa da mano non meno energica e da mente non meno illuminata di quella del presidente assassinato, è inevitabile che un periodo di dubbio e di indecisione prevalga; e d'altra parte la imminenza di una nuova campagna elettorale, in cui figure impreviste fino a pochi giorni fa giocheranno parti essenziali, rende il programma avvenire più che mai incerto. Di più ciò accade in un momento in cui impende il crollo di un concetto di relazioni umane, premessa necessaria per la vita di una società libera, capace di evoluzione senza tragedie. La stessa diretta conseguenza dell'attentato contro il presidente Kennedy, l'assassinio del suo presunto attentatore è un sintomo di un processo pericoloso: lo è in tutte le sue circostanze, compresa la dubbia protezione concessa da un corpo di polizia a un imputato di un delitto che aveva sollevato una ondata di emozione. Una frattura sta avvenendo nell'ordine delle relazioni umane, in cui il più violento non è trattenuto da ritegni sociali coscientemente sentiti ed in cui il mutuo rispetto fra i vari elementi della popolazione è attutito. L'alta incidenza di aggressioni armate, di attacchi in cui innocenti spettatori o ufficiali di polizia sono colpiti indica quanto il concetto di violenza abbia corrotto il tessuto della nostra società. Ed un altro, sanguinoso sintomo dello stesso processo corruttore si può facilmente rintracciare nella campagna di ·odio e di disprezzo per esseri umani, incoraggiata dall'inerzia e dalla connivenza delle autorità locali, con cui gruppi di facinorosi si oppongono alla eliminazione di discriminazioni a carico di altri elementi della popolazione, fino al delitto. D'altra parte noi siamo confrontati da situazioni rivoluzionarie in molti campi. Il sistema sociale, economico e politico del mondo del secolo scorso è in collasso. Il sistema imperiale, che aveva concesso alla minoranza bianca, e specialmente a quella europea, di acquistare una prevalenza di dominio incontestabile su interi continenti, sfruttando lavoro e riserve naturali di popolazioni immense, è oramai in completa rovina. Le nuove nazioni sorte dallo sfacelo dei domini coloniali non potranno più essere riassoggettate alla volontà di lontani padroni. E, per necessità, ì nuovì ordìna• menti che daranno vita economica a queste nuove nazioni non potranno che differire profondamente da quelli che hanno guidato la vita delle nazioni che raggiunsero una fase di avanzato progresso decenni e secoli fa. Perfino la sterminata estensione del continente sud americano non potrà trovare equilibrio senza la eliminazione di un ordine sociale incompatibile con le esigenze delle grandi masse di esso: e, se una miope poli• tica della potenza più direttamente a contatto con il Sud America ripeterà gli stessi errori commessi in Cuba e in alcuni degli stati dell'America Centrale, una conflagrazione di rivoluzione sanguinosa sarà inevitabile. Il periodo della intimidazione a base di cannoniere e di " marines " è definitivamente passato e nessuna pressione potrà trattenere le masse sud-americane quando esse incomincino a muoversi per rovesciare un sistema sorpassato. Nel campo della tecnologia pure sta avvenendo una rivoluzione. L'automatizzazione sta alterando profondamente il settore della produzione e crea nuovi problemi. Non basta purtroppo deprecare l'influenza dell'automatizzazione sulle relazioni connesse col lavoro e ~ullo sviluppo umano: non si può, come fece un " leader" operaio, porre una alternativa fra l'arresto della automatizzazione e l'abbrutimento delle masse operaie. Il problema deve essere posto in termini diversi, e cioè si deve trovare il modo di introdurre nuovi sistemi di produzione senza fare dei lavoratori dei nuovi schiavi, impedendo all'imprenditore di convertire a suo esclusivo profitto i vantaggi dei nuovi sistemi, facilitando la educazione delle categorie meno colte, non soltanto per metterle in grado di occupare una posizione in una società che esclude sempre più le operazioni manuali dal ciclo produttivo, ma anche per farle parte di una civiltà più raffinata. Per un'altra ragione ancora non si può arrestare il progresso tecnologico. Esso non è altro che un aspetto della continua ricerca umana per una migliore utilizzazione delle forze e dei materiali naturali: un processo che non si è mai arrestato da quando l'uomo si è differenziato dagli altri esseri viventi, uno sforzo che ha anzi costituito la più spiccata caratteristica di quell'animale che si chiama uomo. Nello stesso tempo però l'automatizzazione richiede una revisione dei rapporti sociali, una più stretta pianificazione della produzione, da un lat:o, ma anche uno sforzo per portare masse umane, che non hanno capacità economica sufficiente per competere sui mercati d'acquisto, ad un livello tale, che possano usare i beni che la nuova industria può offrire. Non c'è bisogno di andare in India o in Africa: basta attraversare gli "slums " di ogni città nord-americana per domandarsi se la proposizione che l'automatizzazione potrà concedere di produrre l'odierna quantità di beni con un quarto della forza lavoratrice ora impiegata non dovrebbe rovesciarsi nell'affermazione che la presente forza 4 CONTROCORRENTE - Dicembre 1963
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