persiano e precisamente di Mane te III che visse nel primo secolo dopo Cristo. Che nella sua gnosi, personificò il bene ed il male e ne fece due divinità in continua lotta fra loro. La rivelazione Cristiana per il suo carattere soprannaturale non solo ci riesce incomprensibile ma è anche in con trasto con la nostra ragione che si può intendere solo con le cose naturali. Da qui è dove dipende il famoso detto Tertuliano Credo quaia absordum. Anche io credo come un operaio qualunque, di ciò che più frega la base del Cristianesimo, sia la stupida e ridicola credenza del soprannaturale. Ora l'individualismo questa vera valutazione della natura dell'uomo, è acquiescente dalla società in cui vive. Consuetudini, credenze, religione, morale, famiglia, patria, cose tutte queste, che vengono considerate come mere convinzioni di cui bisogna liberarsi in opposizione in ciò che è in natura, la tendenza dell'uomo I commenti degli altri a seguire l'utile ed il piacere. Ma per essere coerenti a ciò che si vuole conseguire ritornando alla repubblica di Platone malgrado tutti i sofismi, conclude che la giustizia vuole che i beni appartengono in comune a tutti gl'individui e non singoli, ecco qui è contro la proprietà privata. Quindi il fine supremo dello stato, secondo lo spirito di Tommaso Jefferson, il terzo presidente degli S. U. quando il 4 Luglio del 1776 firmò la carta della indipendenza contro il re della Inghilterra, disse chiaramente che il .fine supremo dello stato è quello di garantire la massima libertà degli individui. E se il capo dello stato non riesce a garantire la libertà degli individui, il popolo ha diritto di rovesciarlo con la rivoluzione. La quale altro non è che l'atto con cui la sovranità fu tolta dal capo dello stato, e che ritorna al suo originario possessore che è il popolo. S. Satta VAJONTT, RAGEDIADI REGIME Venendo a dire per ultimi, e a tanta distanza, dal disastro del Vajont almeno un vantaggio ci è dato: che siamo esonerati dalla trenodia. Ci è risparmiata la fatica improba di mostrare che siamo più bravi degli altri nel piangere, che nessuno ci supera nel trovare agghiaccianti colori per descrivere scene di rovina e di morte, nello spremere aggettivi che strappano i precordi, nel deprecare le colpose imprevidenze dell'uomo o (leopardianamente) la nequizia della natura matrigna. Ormai tutte le descrizioni sono state fatte, tùtti i titoli su nove colonne sono stati spesi, tutte le lagrime (ufficiali) sono state versate. Possiamo parlarne dunque a mente pacata e ciglia asciutte. Con questo, intendiamoci, lontana da me l'intenzione di fare dell'ironia a buon mercato sopra i nostri bravi colleghi costretti a zompare per una settimana intera sul tragico estuario di fango del Vajont per rifornire le lontane fameliche gole delle rotative spalancate giorno e notte a ingoiare facciate; .figurarsi, sono giornalista e ho fatto di questi servizi anch'io. E nemmeno, di irridere a tutti quegli illustri personaggi politici e non politici i quali hanno imperversato con telegrammi, messaggi, ordini del giorno, omelie perchè ci ricordassimo, oltre che della loro commossa solidarietà, anche della loro esistenza. E' semplicemente per notare che ancora una volta, davanti alla sciagura pubblica è esplosa la nostra innata, impellente, irrefrenabile, nazionale frenesia oratòria. La quale, considerato che ormai siamo fatti cosi (e che d'altronde non fu soltanto oratoria a parole come dimostra la magni.fica abnegazione dei soccorritori, truppe e civili, e l'imponenza delle sottoscrizioni) non sarebbe poi per sè nemmeno una colpa, anzi potrebbe rientrare, come i sorpassi e la tarantella, nelle nostre pittoresche esuberanze, se non ci fosse sotto quello che è il pericolo di tutte le esuberanze, cioè che si esauriscano in sè stesse, e che, avendo pagato oggi troppo rumorosamente il nostro debito al dolore, ci consideriamo esonerati dal verificarne domani gli insegnamenti e dal trarne le conseguenze. Non sarebbe la prima volta. Ricordatevi cosa successe in Italia dopo la prima inondazione nel Polesine. Vociferazioni, giuramenti, edizioni straordinarie, il .finimondo. Non eran passati due anni che si era daccapo. E dopo l'alluvione del 1954 in Calabria. Però, andandoci l'anno appresso, trovai ancora ponti interrotti, agrumeti interrati, e, nelle scuole dei paesini a monte, scolaretti pigiati in umide e buie topaie, scalzi e con occhi di fame: sì, la fame prolungata produce degli occhi speciali, l'ho imparato allora laggiù. Lo so, stavolta è diverso: ci sono le responsabilità. Passata la prima ressa delle notizie, è questo il grande tema di tutti i discorsi. Mi (ece impressione trovare la stessa mattina, su due giornali schierati su posizioni d'opinione fondamentalmente diverse, lo stesso titolo a lettere di scatola e ,a piena pagina: "Giustizia sarà fatta" (qui c'è una lieve differenza di coniugazione ma il concetto è identico). E certo se appena uno ci guarda dentro, la mente si smarrisce negli Interrogativi. Perchè sono andati a impiantare la diga proprio sulle spalle di quel maledetto Toc che, per i valligiani, aveva sempre portato per antonomasia il nomignolo di "montagna che cammina "? A che cosa serve allora a geologia? E quando, nel corso dei lavori, sono incominciati ad affacciarsi i primi dubbi, perchè non sospendere? Nè dovevano 22 CONTROCORRENTE- Dicembre 1963
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