Mario Rapisardi Il poeta Alfio Tomaselli, erede delle opere postume di Mario Rapisardi, nel 1915, coi tipi della Casa Editrice Pedone Laurie di Palermo dava alla stampa una raccolta di "Pensieri " e "Giudizii" del Vate etneo, allo scopo di far conoscere Mario Rapi• sardi prosatore come tale non fu meno fiero e battagliero del poeta. " Sono vari pensieri e giudizi filosofici, artistici, politici, sociali, tutti materiati di vita moderna, e che in gran parte egli mandava ai giovani studenti ed ai lavoratori nei comizi lontani per far sentire alla folla la sua parola gagliarda e vibrante". Noi, che in questi ultimi tempi, per merito dei civilizzatori della grande Italia, siamo inciampati in qualche articolo del codice penale per avere lontanamente accennato alla politica della Santa Sede, e per non volere dare soverchio incomodo alla magistratura a costruir processi, abbiamo pensato, per alimentare la propaganda di anticlericale, di spiegare, dalla suddetta raccolta qualche pensiero e giudizio intorno al "mostro nero". Sicuri che colla nostra povera prosa non saremmo riusciti a dipingerlo cosi bene come ce lo presenta l'immortale autore di "Giobbe", che contro il pericolo della Chiesa protestò fin all'ultimo istante di sua vita, considerando il più grande pericolo per la civiltà e la redenzione dell'umanità. E trascriviamo: I. " Ai galvanici stiracchiamenti del mostro nero, il popolo civile risponde che il Gesuitismo fu, e chi pretende risuscitarlo è uno stolto. Ciò non vuol dire che s'hanno a tollerare in mussulmana pace le insolenti velleità del papato, le insidie pertinaci della pretaglia, e molto meno i volteggiamenti venali di un apostolume bastardo, saltarellante dalla scuola alla sacrestia, dalla reggia alla piazza, almanaccante conciliazione e invocante tolleranza in nome della scienza e della civiltà. No: in uno Stato, che si proclama cattolico, che dà guarentigie ai nemici della patria, che amoreggia coi carnefici di Oberdan e coi bombardatori di Parigi, qualunque tolleranza è pericolosa. Roma è "intangibile", dicono. Ma "intangibile" a chi? Non certamente al papa che ci sta e ci resta; non ai briganti tonsurati che alle trappolerie di S. Tomaso la vogliono ricacciare fra le rati di S. Ignazio. " Intangibile " sarebbe a te, ombra gloriosa di Garibaldi, se, levando la testa dalla terra, ove ti han costretto a giacere, osassi alzare la voce contro questo metro cubo di letame che ammorba Roma, che offende l'Italia, che sfida l'umanità". II. "Alla sfida audace del clericume rispondono i comizi popolari, affermando che tra l'Italia e il papato, tra il popolo italiano e la pretaglia di qualunque setta non sarà mai altro che guerra. Non guerra di partito, di setta, di scuola; ma di liberali di tutte·Je gradazioni, degli onesti di tutti gli ordini sociali contro gli avvelenatori delle coscienze, gli stupratori delle anime, i disturbatori delle famiglie, gl'insidiatori della libertà, i nemici della nazione. Chi parla di conciliazione, o sogna o volpeggia; chi predica la tolleranza è codardo; chi alimenta col sangue del popolo il peggior nemico delle libere istituzioni, tradisce il popolo, disonora la patria. Abolizione del primo articolo dello statuto; istruzione laica; agitazione legale: tutte le belle cose, che si pasciona di lunghe speranze "con l'attender corto"· Altro che impiastri ci vuole. Che cosa fa il villano per iscavare la volpe? Getta il fuoco nel covo. Questo faccia il popolo italiano. Fuori le volpi! fuori i nemici della patria; fuori i trafficatori delle coscienze! E fuori chi li difende!" III. "La sapienza politica di Leone XIII è stata pari alla insipienza dei governanti italiani e alla melensaggine del nostro volgo patrizio e plebeo. L'Italia, specialmente meridionale, ripullula, per opera del papetto dal sorrisetto volterriano, di conventi sotto altro nome, in barba alla legge; e la cosi detta " milizia di Cristo" è cresciuta e cresce sempre più di numero, di audacia di operosità. La democrazia cristiana è un tranello teso alla buona fede del popolo, alla tolleranza degli acchiappanuvole e alla balordaggine mascherata di furberia, onde van famosi gli apostoli del pane. I quali altro non vedendo nella storia che la questione economica, lasciarono invadere il campo alìe ortiche cattoliche; e, lusingandosi di potersene all'occasione giovare, fan combutta coi preti e si reggono il sacco a vicenda. Così la decrep\ta istituzione medioevale, che più non avrebbe ragione di esistere, stende le sue braccia vischiose oltre il presente, e si accaparra, come può, l'avvenire. E la gloria di questo rigoglio postumo del cattolicesimo è dovuto a Leone XIII e, bisogna essere giusti, alla convivenza degli ideologi"· IV. "Novellare in buona fede su la conciliazione del Sillabo con la Scienza, può far sorridere; prosternarsi al Tribunale del S. Uffizio in pieno secolo XX può destare più compassione che sdegno; ma rimanere fra consultori altissimi della pubblica istruzione non può, non deve, nè voi, liberi intelletti d'Italia, lo soffrirete senza ardente protesta, chi umiliando sè stesso innanzi al più bestiale potere che rammenti la storia ha sconfessata la scienza, rinnegato il pensiero, tradito l'ufficio dell'arte, insultato e bestemmiata l'umanità"· (Continua p. 5)
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