Controcorrente - anno XX - n. 39 - nov.-dic. 1963

ìnformazioni avreì potuto io stesso dare sul soggetto. Rose e Riggio han dovuto cosi limitarsi soltanto allo scopo della " diffida" della FAI, diffida che essi hanno qualificata " non pertinente e, comunque completamente inadeguata nei confronti del fine che si voleva raggiungere"· E più oltre essi dicono che la diffida "si è rivelata ingiustificata, frustranea ed anacronistica ". Questo ha disposto inequivocabilmente dell'azione della Fai e se pure anche nei meriti dei vecchi eventi non han potuto pronunziarsi con cognizione di cause, non hanno certamente avvisato ragioni che giustificassero il turpiloquio usato ai miei riguardi. Riferendosi allo scritto pubblicato da U.N. Il 10 febbraio 1963, Rose e Riggio dicono: "Se non fosse stato per il titolo di " Giù la Maschera" - che lasciava trasparire un certo " passato" dietro la firma di " Hugo Rolland " - la segnalazione ed anche la nota redazionale apparivano più che legittime, giacchè erano le giuste "ritorsioni" verso chi criticava un atteggiamento condiviso e dal "segnalatore" e dal " notista ". Quel che Riggio e Rose ignoravano è che tanto il "segnalatore" quanto il "notista " han saputo da circa quarant'anni chi fosse Hugo Rolland e a chi corrispondesse il pseudonimo di Sigfried. Se han voluto ignorarlo, lo han fatto allo scopo di poter rendere più efficace la loro diffamazione. Di questo mi occuperò più largamente in altro scritto che renderò pubblico fra poche settimane. Quel che però a me ha più di tutto sorpreso, sono state le firme di almeno due dei giudici della FAI i quali mi hanno conosciuto da molti anni. E mi ha sorpreso anche il silenzio di certi altri "santoni" che non hanno mai avuto il coraggio della verità, in considerazione della loro meschina personalità. Altri chiarimenti seguono: al che il mio nome nel passato fosse altro, non è stato mai un segreto nel movimento. Come han fatto altri, in un periodo di necessità assunsi il presente (che è oggi il mio nome legale), per proteggere la mia persona e la mia libertà. Il cambiamento di nome non è mai servito a frodare la buonafede di chicchessia. Qualora ho scritto o mi son presentato a compagni che non ero sicuro mi conoscessero sotto il nuovo nome, prima di dir altra parola mi sono affrettato a dire chi ero stato di vecchio. bl del movimento " garibaldinista" fui un entusiasta e attivo aderente, e, se per questo mi si vuol dare la qualifica di " dirigente" a me poco importa anche se non risponda al vero. Dal movimento mi dimisi il Z7 febbraio 1925, con lettera diretta a Ricciotti Garibaldi. Copie della lettera inviai e detti a diversi compagni, qualcuno dei quali ci fece su una grande speculazione, pubblicandone brani staccati. Copia di questa lettera inviata a Luigi Bertoni è ora conservata tra le sue carte nella Biblioteca di Studi Sociali di Amsterdam. Copia ne ho anche io. c) non tui soltanto ·•aspramente criticato", ma vilificato da chi volle fare dell'episodio una vergognosa speculazione e da altri che vollero nascondere la parte da essi avuta nel movimento stesso. Chiesi al tempo, non soltanto a " un compagno" un giuri d'onore: lo chiesi ripetutamente e inutiimente ai miei diffamatori. A New York si formò un comitato al quale appartenevano tutti gli uomini rappresentativi delle sinistre antifasciste. Gli accusatori si rifiutarono di presentare le prove delle loro " accuse ". Il giuri non l'ho chiesto soltanto nel 1926, ma ne ho ripetutamente fatto richiesta. In Italia se ne interessava la compagna Berneri, ma senza esito. Di tutto questo posseggo la più ampia e chiara documentazione. dl la mia separazione dal "movimento" ufficiale, se separazione ci fu, fu assolutamente volontaria. Credetti allontanarmi da certi elementi per una complessità di ragioni, alcune delle quali lascerò allo storico del futuro esaminare, mentre di altre mi occuperò altra volta. Mi basti qui dire che in tutti gli anni ho tenuto corri5pondenza con compagni italiani, tra i quali Malatesta e Gigi Damiani.. . Quan1io mori Errico, mi fu chiesto dai miei stessi critici di farne la commemorazione nella grande città nella quale dimoravo. E fui io a farla, a un uditorio di circa un migliaio di persone, tra le quali vi erano di quelli che avevano ordini di assassinarmi. A Riggio e Rose non è stato possibile colmare la lacuna temporale che va dal 1927 al 1962 ". Peccato! Eppure, sarebbe bastato interrogare aimeno uno dei miei giudici Faisti per coprire o scoprire un bel pezzo di quel lungo periodo. A tutti i tempi, senza far chiasso, ho lavorato intensamente nella lotta contro il fascismo e il nazismo. Durante il lungo periodo della guerra di Spagna, ho avorato con compagni spagnoli e americani per tutto quello che era possibile fare. Dopo la disfatta, mi sono occupato con Tresca e il Comitato di New York per la salvezza di Meschi, Fantozzi e quanti altri fosse stato possibile aiutare. Durante la guerra, non avendo potuto fare quello che lodevoimente fecero Marzocchi, Consiglio e altri, cioè arrolarmi per combattere con le armi il fascismo, lavorai, lavorai, lavorai. A fin di guerra riallacciai relazioni con compagni d'Italia, e per molti anni, io e mia moglie siamo stati per parecchi come una specie di "Croce Rossa" privata. Abbiamo inviato decine e decine di pacchi di vestiario e cibarie, flnchè è stato necessario e non necessario. Abbiamo inviato danaro, danaro, danaro. I più dei recipienti son morti. Quelli che rimangono lo dican loro se vogliono. Se in quelli e questi anni io non ho fatto nulla di spettacolare, se non ho fatto la "rivoluzione", neppure l'ha fatta Borghi, nè l'han fatta i Commissari della Fai. Si è voluto appigliarsi alla mia collaborazione a " La Parola del Popolo " perchè quella rivista è poco conosciuta tra gli 16 CONTROCORRENTE - Dicembre 1963

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