scalpellini, degli stuccatori, degli imbianchini, moltissimi parrucchieri e garzoni di caffè, quasi tutti i negozianti di frutta, dai maggiori, addetti a sontuose botteghe, a quelli che vanno attorno colle paniere e col carrettino, e, fino a pochi anni addietro tutti i lustrascarpe. Costoro dimorando per lo più dispersi, come il lavoro richiede, nei vari quartieri della città e dall'aria borghese che i più non sanno e non vogliono pigliare, vivono su per giù da quanto gli americani. Se non che una certa minuziosa cura di risparmio, una frugalità che rasenta la privazione, quel meticoloso disputare il centesimo, il vestire trasandato, alloggiare in molti nello stesso locale non spazioso nè comodo, e mille altre piccole parsimonie, fanno si che i più schifiltosi americani riconoscano in essi già migliorata, se vogliamo, al proprio contatto quella stessa razza che ammorba le strade di Baxter e di Mulberry, e vi pianta in lacere e lerce band iere il segno della propria nazionalità. Fin qui la descrizione di Giuseppe Giacosa. Questa impressione dello scrittore italiano dà soltanto un'idea di quel che realmente sia l'ambiente. Più tardi avremo occasione di esaminare e fissare le responsabilità su questo stato di cose. Questo è il periodo in cui gli italiani hanno partecipato alle più odiose manifestazioni della vita sociale del paese. Questo è il periodo in cui il lavoratore italiano si è dato al crumiraggio, provocando il disprezzo e gli sputi del lavoratore indigeno. Questo è il periodo in cui il lavoratore italiano è ingaggiato a pulire le latrine, a rimuovere il sudiciume dalle strade, ai lavori più abbietti e degradanti. Questo è il periodo in cui l'emigrato italiano ha dato il più largo contributo alle attività della Mafia, della Mano Nera, della delinquenza più odiosa e rivoltante. Si comprende come l'emigrato, abbandonato a se stesso, nella miseria, nella confusione, senza guida, spinto nel baratro dall'egoismo e dall'arrivismo di coloro che si erano eletti guardiani e vessilliferi del patriottismo e della patria, divenisse preda facile degli avventurieri e dei delinquenti. A New York si pubblicano cinque quotidiani italiani: IZ Progresso Italo-Americano, diretto dal Cav. Carlo Barsotti, IZ Giort1-ale Italiano. diretto dall'Avv. Ercole Cantelmo, IZ Telegrafo, diretto dall'Avv. Giovanni Vicario, IZ Bollettino della Sera, diretto dallo Avv. Giordano, e L' Araùl.o Italia'lt,O, diretto da Celestino Piva. Basta dare uno sguardo a questi giornali per sentire subito che si vive in un ambiente malsano e camorristico, saturo di gelosie e di arrivismi mal celati. Il livore, Il ricatto, la minaccia traspirano da ogni rigo. Non ci vorrà molto a penetrare meglio questo ambiente infestato da banditi della penna. Questi signori per ottenere il loro obiettivo fanno uso dei metodi più abbietti, anche se di riverbero ne soffriranno la dignità e le aspirazioni della gran massa degli emigrati. MASSIMO LORIS 40 - Ben Shahn L'arte dl Ben Shahn e' conosciuta. Sovente sl vedono mustrazlonl In riviste e libri rlproducenU sacco e Vanzettl. Pochi hanno saputo mettere nelle flg-ure del martiri di Charlestown l'espressione che Ben Shahn gli ha dato. Per puro caso abbiamo trovato In una rivista. Italiana-VITA, 26 aprile 1962, un breve cenno biografico dell'or.Jginale arUsta.. Lo rlproductamo per 1 nostri lettori. Tra il 1925 e il 1927 Ben Shahn fece un lungo viaggio in Europa e nel Nord Africa. Nel 1930 (a 32 anni) espose per la prima volta alla Downtown Gallery di New York i motivi che il continente nero gli aveva suggerito. Una mostra di assaggio. Shahn non era ancora un pittore fatto. Piuttosto un buon litografo che aveva una gran voglia di fare il pittore. Quando arrivò alla prima mostra personale, infatti Shahn era ancora impegnato a pulire le pietre litografiche e a girare i torchi della bottega dove si guadagnava la vita a Brooklyn, dopo che da qualche anno era arrivato da Kovno, Lituania, il suo paese natale. Il viaggio del giovane Ben non era stato altro che una vacanza lungamente sognata. La pittura invece, un desiderio di me~tere alla prova gli anni trascorsi nella Nat10nal Academy of Design di New York e ve~er~ se era valso il sacrificio di aver seguito 1 corsi di studio rinunciando al riposo e allo svago. Del resto per Shahn la pittura non era mai stata un hobby, nè un'avventura: aveva cominciato a sentirla arrivare nel sangue sin da ragazzo. Sui marciapiedi di Brooklyn aveva disegnato schizzi delle figure del mondo dello sport, " idoli di un suo difficile ed esigente pubblico di vagabondi locali ". Shahn dalla umiltà e dalla povertà aveva ricavato i valori essenziali della vita, povero in un quartiere povero, poeta accanto a gente che poteva esprimere poesia con !-In solo gesto o un appena accennato sorriso di tristezza Ben Shahn non poteva fare a meno di' raccontare. Ecco perchè " la figurazione" è, per Ben Shahn, racconto; il racconto è parola; la pittura è parola e qu;ndi scrittura. Le immagini di Ben Shahn sono immagini, più ancora che grafiche, scritte; scritte per essere dette e parlate". Il clamoroso caso di Nicola Sacc_o e Bartolomeo Vanzetti che commosse li mondo - i due operai italo-americani accusati di omicidio e condannati alla sedia elettrica - e quello del capo operaio Tom Mooney - perseguitato come anarchico - spingono Ben Shahn ad ergersi come loro difensore. Le sue simpatie - ha scritto James Thrall Soby, che di Ben Shahn ha capito sino in fondo gli umori umani e la nobiltà dell'arte - sono sempre state per gli oppressi, per quanto abbia vigorosamente respinto la cura dei loro guai proposta dal comunismo. S'immagina che in Ben Shahn non vi siano mai stati tentennamenti nè imposizioni che abbiano potuto far deviare il CONTROCORRENTE- Dicembre 1963 11
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