Controcorrente - anno XX - n. 39 - nov.-dic. 1963

. GENTE 39 - Pagina di Diario Il. 25 Luglio 1914 Ripiglio il discorso interrotto. Più ci si addentra nell'ambiente, più sconcertati si rimane. I racconti su come la gente vive, non sono completamente nuovi. Riporta alla mente le descrizioni fatte da Luigi Barzini nel " Corriere della Sera " di Milano, e di Paolo Scarfoglio, ne " Il Mattino " di Napoli. In quegli articoli Barzini e Scarfoglio avevano fatto delle descrizioni da suscitare rossore e vergogna. Un'altra descrizione sul come vivono gli emigranti Italiani nei quartieri italiani di New York l'ha fatta Giuseppe Giacosa in occasione di una sua visita fatta a New York nel 1909. Non ho mai potuto dimenticare quella descrizione. Il documento lo tolgo da "Vita e Scuola", libro di IV Classe elementare delle scuole italiane, compilato da Matilde Serao e Camillo Alberici. Fu pubblicato sotto il titolo "I quartieri Italiani di New York". Ecco quello che scrive Giacosa: " E' impossibile dire il fango, il pattume, la sudiceria, l"umidità fetente, l'ingombro, il disordine di quelle strade. La gente ci vive all'aperto, segno, dato il clima inclemente, che peggio sono i locali interni, dei quali io non vidi se non quanto mostravano le buie botteghe e che mi svogliò d'ogni maggiore curiosità. Anche là, come a Napoli, il cielo è ragnato dalle frequenti distese di panni sciorinati tra una casa e l'altra. Ma quali panni ed usciti da quale bucato! se pure li stendono al sole per asciugarne il lordume. Uomini cenciosi, sudici, sparuti, vanno intorno faticosamente d'una in un'altra bottega. o si aggruppano all'entrata di quelle birrerie, dove è loro servito il fondigliuolo Inacidito delle botti di birra smaltite nei sani quartieri alla gente sana. Sul passo degli usci, sul gradini delle scalette, su sgabelli di legno e di paglia, nel bel mezzo della via, le donne mettono in mostra tutta quanta la loro compassionevole vita domestica. AJlattano, cuciono, puliscono le verdure appassite, solo condimento della loro minestra, lavano i panni negli unti mastelli, si pettinano e si ravviano a vicenda i capelli. Ciarlano, ma non fanno il cinguettare alJegro ed arguto delle viuzze di Napoli, bensl un non so quale cruccioso pigolio che stringe il cucre. "A volte, un ingombro di carrette (in quelle strade le vetture non passano mail le costringe ad alzarsi ed a raccogliere in furia quelle poche robe; e allora sono urli e bestemmie del carrettiere e strilli e improperi di tutto lo sciame femminile. Passano certe vecchie sfigurate, portando a stento i cestoni deJle immondizie. Vana fatica! Tutto quanto vi circonda: I panni che la gente indossa, le mercanzie esposte, le frutta, gli erbaggi, le carni ingiallite ed Incartapecorite che pendono all'uncino presso le beccherie, i mobili che si intravedono negli aperti stambugi, perfino i sordidi biglietti di banca italiani ed americani, allineati nelle vetrine dei frequenti banchieri, perfino i mostruosi ritratti di Re Vittorio Emanuele e di Garibaldi e di Umberto, e le bandiere tricolori che pendono quasi a tutte le finestre inquadrano l'entrata delle botteghe e vi fanno svolazzo, ogni cosa, ogni cosa non dovrebbe essere gettata nel letamaio? "Quelle bandiere vi danno insieme un senso di tenerezza e di vergogna patria. Quella gente, cosi duramente provata, ha dunque mente ancora alla remota terra nativa, e framezzo a tante urgenti e dolorose realtà può essa compiangersi ancora della sua immagine simbolica! Ma non umilian quella gente se stessa e ad un tempo la patria che riduce i suoi figli ad appagarsi, per minor danno, di così squallida miseria? Gli innumerevoli strozzini che inescano quei disgraziati e li dissanguano, primo e permanente argomento della loro abiezione, adornano anch'essi con bandiere le immonde tane cui danno il nome di banche. E a più vistosi drappi, più accorte trappole. Stanno sulla soglia del banco, fissando sui passanti un dolce sguardo adescatore e sorridendo loro con cupida bonarietà. Il racconto continua: "Ma la vista più dolorosa è quella dei bambini gettati seminudi, nell'aperta via. Chi non conosce il clima di New York, non può concepire la tristezza di tale spettacolo. Io visitai quelle strade verso la metà di Novembre, e le piccole creature non avevano addosso che la camicia. L'ultima domenica di Novembre avemmo in New York uno squilibrio di temperatura di 30 gradi. A mezzogiorno erano 18 gradi centigradi sopra zero, la sera 12 sotto lo zero. Uno strato di ghiaccio vivo incrostava le strade. Sempre quando irrompono dal Canada e dal!' Alaska i tremendi cicloni che l'Atlantico manda giù rabboniti alle coste occidentali d'Europa, New York trapassa di colpo dalle arsure estive ai rigori invernali. La bufera non si annunzia con tuoni e lampi, che d'altronde, i fragori della industre città e la strettezza di quelle strade non lascerebbe altrimenti avvertire. Il turbine si scatena improvviso nella placida gaiezza dell'aria soleggiata. Pensate a quei bambini! Chi riesce a superare quelle prove mortali potrà adulto sfidare tutti i mali e tutti i venti; ma quanti restano al primo urto, o trascinano per una fiacca giovinezza acciacchi senili, finchè un alito di brezza li spegne! Tali miserandi spettacoli non si incontrano, beninteso che in quelle poche strade dove si agglomera la feccia della immigrazione italiana, pur preferibile di 100 volte alla feccia della irlandese, la cui degradazione procede da stravizi, non, come avviene dei nostri, da virtù disperate, da pregiudizi economici e da ignoranza. E non è a credere nemmeno che la dimostrino tutti, nè, di gran lunga, la maggior parte degli Italiani. Sono italiani, in New York ed in Brooklyn, gran parte dei muratori, degli CONTROCORRENTE- Dicembre 1963

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