DECEMBER 1963 39 Mario Rapisardi -,lC:-- ~
Mario Rapisardi Il poeta Alfio Tomaselli, erede delle opere postume di Mario Rapisardi, nel 1915, coi tipi della Casa Editrice Pedone Laurie di Palermo dava alla stampa una raccolta di "Pensieri " e "Giudizii" del Vate etneo, allo scopo di far conoscere Mario Rapi• sardi prosatore come tale non fu meno fiero e battagliero del poeta. " Sono vari pensieri e giudizi filosofici, artistici, politici, sociali, tutti materiati di vita moderna, e che in gran parte egli mandava ai giovani studenti ed ai lavoratori nei comizi lontani per far sentire alla folla la sua parola gagliarda e vibrante". Noi, che in questi ultimi tempi, per merito dei civilizzatori della grande Italia, siamo inciampati in qualche articolo del codice penale per avere lontanamente accennato alla politica della Santa Sede, e per non volere dare soverchio incomodo alla magistratura a costruir processi, abbiamo pensato, per alimentare la propaganda di anticlericale, di spiegare, dalla suddetta raccolta qualche pensiero e giudizio intorno al "mostro nero". Sicuri che colla nostra povera prosa non saremmo riusciti a dipingerlo cosi bene come ce lo presenta l'immortale autore di "Giobbe", che contro il pericolo della Chiesa protestò fin all'ultimo istante di sua vita, considerando il più grande pericolo per la civiltà e la redenzione dell'umanità. E trascriviamo: I. " Ai galvanici stiracchiamenti del mostro nero, il popolo civile risponde che il Gesuitismo fu, e chi pretende risuscitarlo è uno stolto. Ciò non vuol dire che s'hanno a tollerare in mussulmana pace le insolenti velleità del papato, le insidie pertinaci della pretaglia, e molto meno i volteggiamenti venali di un apostolume bastardo, saltarellante dalla scuola alla sacrestia, dalla reggia alla piazza, almanaccante conciliazione e invocante tolleranza in nome della scienza e della civiltà. No: in uno Stato, che si proclama cattolico, che dà guarentigie ai nemici della patria, che amoreggia coi carnefici di Oberdan e coi bombardatori di Parigi, qualunque tolleranza è pericolosa. Roma è "intangibile", dicono. Ma "intangibile" a chi? Non certamente al papa che ci sta e ci resta; non ai briganti tonsurati che alle trappolerie di S. Tomaso la vogliono ricacciare fra le rati di S. Ignazio. " Intangibile " sarebbe a te, ombra gloriosa di Garibaldi, se, levando la testa dalla terra, ove ti han costretto a giacere, osassi alzare la voce contro questo metro cubo di letame che ammorba Roma, che offende l'Italia, che sfida l'umanità". II. "Alla sfida audace del clericume rispondono i comizi popolari, affermando che tra l'Italia e il papato, tra il popolo italiano e la pretaglia di qualunque setta non sarà mai altro che guerra. Non guerra di partito, di setta, di scuola; ma di liberali di tutte·Je gradazioni, degli onesti di tutti gli ordini sociali contro gli avvelenatori delle coscienze, gli stupratori delle anime, i disturbatori delle famiglie, gl'insidiatori della libertà, i nemici della nazione. Chi parla di conciliazione, o sogna o volpeggia; chi predica la tolleranza è codardo; chi alimenta col sangue del popolo il peggior nemico delle libere istituzioni, tradisce il popolo, disonora la patria. Abolizione del primo articolo dello statuto; istruzione laica; agitazione legale: tutte le belle cose, che si pasciona di lunghe speranze "con l'attender corto"· Altro che impiastri ci vuole. Che cosa fa il villano per iscavare la volpe? Getta il fuoco nel covo. Questo faccia il popolo italiano. Fuori le volpi! fuori i nemici della patria; fuori i trafficatori delle coscienze! E fuori chi li difende!" III. "La sapienza politica di Leone XIII è stata pari alla insipienza dei governanti italiani e alla melensaggine del nostro volgo patrizio e plebeo. L'Italia, specialmente meridionale, ripullula, per opera del papetto dal sorrisetto volterriano, di conventi sotto altro nome, in barba alla legge; e la cosi detta " milizia di Cristo" è cresciuta e cresce sempre più di numero, di audacia di operosità. La democrazia cristiana è un tranello teso alla buona fede del popolo, alla tolleranza degli acchiappanuvole e alla balordaggine mascherata di furberia, onde van famosi gli apostoli del pane. I quali altro non vedendo nella storia che la questione economica, lasciarono invadere il campo alìe ortiche cattoliche; e, lusingandosi di potersene all'occasione giovare, fan combutta coi preti e si reggono il sacco a vicenda. Così la decrep\ta istituzione medioevale, che più non avrebbe ragione di esistere, stende le sue braccia vischiose oltre il presente, e si accaparra, come può, l'avvenire. E la gloria di questo rigoglio postumo del cattolicesimo è dovuto a Leone XIII e, bisogna essere giusti, alla convivenza degli ideologi"· IV. "Novellare in buona fede su la conciliazione del Sillabo con la Scienza, può far sorridere; prosternarsi al Tribunale del S. Uffizio in pieno secolo XX può destare più compassione che sdegno; ma rimanere fra consultori altissimi della pubblica istruzione non può, non deve, nè voi, liberi intelletti d'Italia, lo soffrirete senza ardente protesta, chi umiliando sè stesso innanzi al più bestiale potere che rammenti la storia ha sconfessata la scienza, rinnegato il pensiero, tradito l'ufficio dell'arte, insultato e bestemmiata l'umanità"· (Continua p. 5)
RIVISTA DI CRITICA E DI BATTAGLlA Fondata nel 1938 - Direttore: ALDINO FELICANI Indirizzo: CONTROCORRENTE, 157 Milk Street, Boston 9, Mass. CONTROCORRENlTsEpubllshodbl•-U.ly. Mali adchss: 157 Mllt SL, Bo,IDII.Aldlro Ftllcanl, Editor and Pu4>llsl•w• Offl.. ot publl•tlm 157 'Mllt Strttt, Bolton9, Mass. Second-class trai! prMll9'S authorlztd at S..IDII, Mass. SUbsaiptloa $3 a yw. Voi. 20-No. 3 {New Series #39) BOSTON, MASS. Nov.-Dec., 1963 22 Novembre, 1963 UN ASSURDO DELITTO Non è certamente "Controcorrente" l'ambiente che si presta per la glorificazione o per l'adulazione di potenti. Con animo perciò più sicuro e convinto posso manifstare qui l'atterrito dolore che ha prostrato ognuno all'annuncio della tragedia di Dallas. L'assassinio del presidente Kennedy ha gettato su tutta la nazione americana, su grande· parte del mondo un lutto sinceramente sentito, un senso di attonito dolore. Come gli altri, noi ne siamo colpiti. Più di una volta noi differimmo, e talora radicalmente, dalla linea politica che egli impersonò. Ma, a parte lo schianto che ognuno può sentire per un crimine che soffoca una vita umana, non possiamo mancare di soffrire per la scomparsa di una personalità politica che andava conquistando una posizione sempre più eminente. Che Kennedy abbia commesso errori politici è indubbio, ed egli stesso lo riconobbe, e, se pure in ritardo, cercò di evitarne la ripetizione, di affrettarne la riparazione. Ma anche confrontato da situazioni di estrema tragicità, dovendo prendere decisioni che richiedevano l'impegno di responsabilità tremende, in cui un minimo errore di valutazione o un cedimento a emozioni poteva significare un olocausto, egli ha saputo condurre in salvo la nazione, che l'aveva scelto come guida, attraverso a crisi imponenti. In più di una occasione. il suo giudizio, il suo spirito realistico gli permisero di valutare propriamente alternative decisive, resistendo a pressioni di passione che turbavano la nazione. Proprio il fatto che noi stessi abbiamo sentito profondamente tali passioni, e che abbiamo assistito con terrore allo svolgersi di una crisi, temendo profondamente che in quel momento Kennedy ardisse troppo e mettesse in gioco la vita dei suoi concittadini, ci permette di pagare alla sua memoria un tributo di gratitudine. L'ambiente da cui Kennedy proveniva, per relazioni famigliari, per educazione morale e religiosa, per legami sociali ci apparve capace di limitare la sua azione politica. Se ciò fu un pregiudizio, ne facciamo ora ammenda. La sua azione, nei brevi mesi in cui egli resse le sorti della nazione, dimostra che egli seppe resistere alle pressioni che certa men te furono esercitate su di lui, svincolandosi dalla rete di interessi e di visioni del suo gruppo famigliare e di classe, sollevandosi al di sopra del livello di un politicante per avvicinarsi più d'una volta, se non sempre purtroppo, alla statura di uno statista, capace di interpretare i bisogni a lunga scadenza dei suoi concittadini, forzando il cerchio di pressioni che le dottrine morali e religiose in lui ispirate da educazione avevano indubbiamente costruito. Debolezze di tempi andati, tolleranze verso tendenze che avevano macchiato la vita nazionale di una traccia indelebile per oltre un decennio erano state riscattate da una visione più generosa che l'aveva più recentemente ispirato. La sua vitalità bril• !ante. la sua colta intelligenza, la scelta di collaboratori, la gioia impressa nella sua capacità di lavoro, hanno sollevato la vita JOHN F. KENNEDY
dì Washington, e stavano torse sollevando la vita della nazione, dalla palude p.etosa in cui la ottusità di altre amministrazioni l'avevano lasciata. Perciò ci sentiamo di unirci nel dolore della nazione, nella deprecazione di un assurdo delitt:o, a cui, per ogni apparenza, manca perfino la nobiltà della protesta di un attentato politico, perfino il disperato appello di chi si erge a vendicatore dell~ ingiustizie sociali. * * * Il compianto di questi momenti non deve per altro divertere lo spirito da altre considerazioni. Anzi, la tragedia di Dallas richiede con urgenza che la nazione si prepari a prove difficili. Anche se si potesse confidare che la direzione politica della nazione sarà presa da mano non meno energica e da mente non meno illuminata di quella del presidente assassinato, è inevitabile che un periodo di dubbio e di indecisione prevalga; e d'altra parte la imminenza di una nuova campagna elettorale, in cui figure impreviste fino a pochi giorni fa giocheranno parti essenziali, rende il programma avvenire più che mai incerto. Di più ciò accade in un momento in cui impende il crollo di un concetto di relazioni umane, premessa necessaria per la vita di una società libera, capace di evoluzione senza tragedie. La stessa diretta conseguenza dell'attentato contro il presidente Kennedy, l'assassinio del suo presunto attentatore è un sintomo di un processo pericoloso: lo è in tutte le sue circostanze, compresa la dubbia protezione concessa da un corpo di polizia a un imputato di un delitto che aveva sollevato una ondata di emozione. Una frattura sta avvenendo nell'ordine delle relazioni umane, in cui il più violento non è trattenuto da ritegni sociali coscientemente sentiti ed in cui il mutuo rispetto fra i vari elementi della popolazione è attutito. L'alta incidenza di aggressioni armate, di attacchi in cui innocenti spettatori o ufficiali di polizia sono colpiti indica quanto il concetto di violenza abbia corrotto il tessuto della nostra società. Ed un altro, sanguinoso sintomo dello stesso processo corruttore si può facilmente rintracciare nella campagna di ·odio e di disprezzo per esseri umani, incoraggiata dall'inerzia e dalla connivenza delle autorità locali, con cui gruppi di facinorosi si oppongono alla eliminazione di discriminazioni a carico di altri elementi della popolazione, fino al delitto. D'altra parte noi siamo confrontati da situazioni rivoluzionarie in molti campi. Il sistema sociale, economico e politico del mondo del secolo scorso è in collasso. Il sistema imperiale, che aveva concesso alla minoranza bianca, e specialmente a quella europea, di acquistare una prevalenza di dominio incontestabile su interi continenti, sfruttando lavoro e riserve naturali di popolazioni immense, è oramai in completa rovina. Le nuove nazioni sorte dallo sfacelo dei domini coloniali non potranno più essere riassoggettate alla volontà di lontani padroni. E, per necessità, ì nuovì ordìna• menti che daranno vita economica a queste nuove nazioni non potranno che differire profondamente da quelli che hanno guidato la vita delle nazioni che raggiunsero una fase di avanzato progresso decenni e secoli fa. Perfino la sterminata estensione del continente sud americano non potrà trovare equilibrio senza la eliminazione di un ordine sociale incompatibile con le esigenze delle grandi masse di esso: e, se una miope poli• tica della potenza più direttamente a contatto con il Sud America ripeterà gli stessi errori commessi in Cuba e in alcuni degli stati dell'America Centrale, una conflagrazione di rivoluzione sanguinosa sarà inevitabile. Il periodo della intimidazione a base di cannoniere e di " marines " è definitivamente passato e nessuna pressione potrà trattenere le masse sud-americane quando esse incomincino a muoversi per rovesciare un sistema sorpassato. Nel campo della tecnologia pure sta avvenendo una rivoluzione. L'automatizzazione sta alterando profondamente il settore della produzione e crea nuovi problemi. Non basta purtroppo deprecare l'influenza dell'automatizzazione sulle relazioni connesse col lavoro e ~ullo sviluppo umano: non si può, come fece un " leader" operaio, porre una alternativa fra l'arresto della automatizzazione e l'abbrutimento delle masse operaie. Il problema deve essere posto in termini diversi, e cioè si deve trovare il modo di introdurre nuovi sistemi di produzione senza fare dei lavoratori dei nuovi schiavi, impedendo all'imprenditore di convertire a suo esclusivo profitto i vantaggi dei nuovi sistemi, facilitando la educazione delle categorie meno colte, non soltanto per metterle in grado di occupare una posizione in una società che esclude sempre più le operazioni manuali dal ciclo produttivo, ma anche per farle parte di una civiltà più raffinata. Per un'altra ragione ancora non si può arrestare il progresso tecnologico. Esso non è altro che un aspetto della continua ricerca umana per una migliore utilizzazione delle forze e dei materiali naturali: un processo che non si è mai arrestato da quando l'uomo si è differenziato dagli altri esseri viventi, uno sforzo che ha anzi costituito la più spiccata caratteristica di quell'animale che si chiama uomo. Nello stesso tempo però l'automatizzazione richiede una revisione dei rapporti sociali, una più stretta pianificazione della produzione, da un lat:o, ma anche uno sforzo per portare masse umane, che non hanno capacità economica sufficiente per competere sui mercati d'acquisto, ad un livello tale, che possano usare i beni che la nuova industria può offrire. Non c'è bisogno di andare in India o in Africa: basta attraversare gli "slums " di ogni città nord-americana per domandarsi se la proposizione che l'automatizzazione potrà concedere di produrre l'odierna quantità di beni con un quarto della forza lavoratrice ora impiegata non dovrebbe rovesciarsi nell'affermazione che la presente forza 4 CONTROCORRENTE - Dicembre 1963
lavoratrice, pur lavorando ad orari radicalmente ridotti, potrebbe produrre due o tre volte tanto quanto essa fa ora senza per ciò saturare il mercato. In un altro campo ancora una rivoluzione sarà inevitabile. E questa, intaccando usi inveterati, oramai consacrati da precetti religiosi, sarà forse la più difficile da conseguire. La natura ha finora provveduto a bilanciare il numero degli individui di ogni gruppo di esseri in relazione alle possibilità di sussistenza offerte dall'ambiente in cui essi vivevano. Quando questa bilancia tendeva ad alterarsi pericolosamente, nemici naturali, pestilenze, lotte intestine hanno assottigliato il gruppo, assicurando la sopravvivenza del più adatto e sacrificando i deboli. L'uomo è intervenuto a cam~iare _le leggi di natura, ed ha piegato ammali e piante al suo volere, nell'interesse del benessere e dell'espansione generale del suo genere. Però, fino a pochi decenni fa pestilenze e carestie furono i mezzi naturali che limitarono l'espansione umana mentre l'uomo stesso, con la guerra, pro~vide d'l sè stesso alla funzione che la natura aveva assegnato ai nemici naturali di ogni gruppo di esseri: e difatti praticamente pochi individui umani, fin da quando l'uomo imparò a lanciare un sasso perirono per l'attacco di fiere, ma milioni e milioni furono abbattuti per la mano di altri uomini. Negli ultimi anni, le pestilenze furono debellate e la mortalità naturale declinò sostanzialmente: le carestie, grazie alla facilità dei trasporti e anche alla proclamata solidarietà umana nelle sventure divennero minacce limitate a gruppi umani assai ridotti. Rimase la guerra, colle sue conseguenze. Ma le statistiche provano, malgrado l'infierire dei due più grandi conflitti umani nello spazio di una generazione, che esse da sole non bastano a ristabilire un equilibrio. D'altra parte l'uomo è oramai confrontato da sue creazioni nel campo delle armi tanto potenti, che la guerra ha perso completamente la funzione di bilanciatrice fra i viventi e le risorse naturali e dei prodotti dell'ingegno: essa non bilancerebbe, ma polverizzerebbe, essa, nel creare deserti inaccessibili dove erano prati campi industrie e città, renderebbe solam;nte piil difficile la vita dei pochi superstiti in un ambiente produttivo infinitamente ridotto. Non è quindi neppure il caso di sostenere la necessità della guerra: e speriamo che di ciò siano convinti tutti i governi. Ma pure il problema resta, ed esso può essere risolto solamente da un rovesciamento di moralità consacrate, di costumi radicati e rinforzati da necessità di tempi andati, quando la metà e più dei nati non raggiungevano l'età in cui essi potevano produrre e procreare. E questa sarà certamente la rivoluzione più difficile da compiere. • • • • Certamente non sarebbe stato Kennedy il presidente che avrebbe potuto guidare la nazione in tutti i confronti, in tutti i conflitti in cui essa sarà involta quando i processi rivoluzionari, che per ora soltanto si accennano, saranno in sviluppo pieno. Molto facilmente anch'egli non avrebbe potuto resistere fino alla fine alla pressione della società in cui era cresciuto. Ma per lo meno avremmo potuto sperare che egli non avrebbe gettato il peso immenso della nazione americana al completo servizio delle forze del conservatorismo. Egli molto probabilmente avrebbe potuto preparare la nazione ad accettare i cambiamenti più urgenti, a rendere meno difficile la trasformazione dei vecchi ordini, all'interno e all'estero, ad alleggerire le inevitabili sofferenze degli individui che, senza loro colpa, saranno fatalmente chiamati a pagare per ingiustizie e privilegi da anni, da secoli incancreniti. Se la morte di Kennedy segnerà un ritorno a posizioni di forza, di autorità, di attaccamento alla tradizione, di ottusità noi dovremo piangerla ancora più amaramente di quanto ora facciamo. Davide Jona Mario Rapisardi (continua) V. "~?ngressi, accad_emie! Las?iano il tempo che trovano. Una crociata ci vorrebbe: la croc(ata della _Ragione, al grido " Fuori I Barbari! ". E non mi si parli di tolleranza, m nome di non so quale scienza. Chi ha fede nella libertà non deve tollerare questo ?'alefico rinfrondatore e rifiorire della mala erba cattolica; strapparla ad ogni cos~o bisogna, dalla scuoi~, dalla casa, dalla coscienza. La Francia l'ha finalmente capito ed ha,. scova!o le v1p_e~e. La Terza Italietta si va invece gingillando e sollucheran~o all 1~ea d un poss1blle passo a due fra Chiesa e Stato fra s Agostino in fi codta 1' Ro!'èdme e Carlo Darwin in piviale; e, tanto per comin~iare recite il " coneur • app1 della Santa Congregazione dell'Indice! Dunque indarno, o Voltaire, il tuo sovrano Sui consacrati errori Ghignò, scoccòt Fiammeggiò dunque invano I . Ca1nf0 di ~iorit d" 0 _ho fede nel g,ovam; ma m tanto barcollamento di coscienze sotto la ventata d! r;:dwne, J ~:. dov~re dei ,':'ecc~i, che rimangono ancora diritti ed impenitenti, i 'Bar~a~rf;,_ ne mten non I mgh1otta la fossa, di gridare fino all'estremo: Fuori h f se queSta prosa del poeta immortale dà noia alla magistratura non gli resta ~e~e nre~~~r- ~al hgovernNo della_ riC?struzione uno dei soliti decreti leggi per distrug1 10 ec e. on è d1fflc1le ottenerlo. NINO NAPOLITANO CONTROCORRENTE- Dicembre 1963 5
Discussioni Il • comunismololalilarioe' fascismo? E' precisamente quello che intendo dimostrare in questo articolo. Farò notare la identità di metodi e la falsità della pretesa ideologia di classe e la falsità del suo " rivoluzionarismo ", se, per rivoluzionari• smo s'intende trasformazione sociale in beneficio della classe lavoratrice, che da quando la società si è costituita in classi possidenti e non possidenti, In classi regnanti e sottomesse, fu sempre sfruttata, burlata e schiavizzata. Ma mi s'intenda bene, distinguiamo. Io parlo del comunismo totalitario delle masse proletarie comuniste, confuse e turlupinate dai loro pretesi redentori e guide, èhe servono a questi come letame storico, truppe d'assalto, carne da cannone, per realizzare le loro mire di conquista di potere e di ricchezza. Io parlo dei capi, dei dirigenti, delle gerarchie comuniste che si sono eretti a generali di milioni di truppe proletarie per soddisfare la propria vanità, il proprio egoismo, la lussuria e la follia di un dominio personale illimitato e monopolistico, del quale le prime - e non le sole - vittime sono le masse comuniste stesse. E vediamo Il parallelo fra fascismo e comunismo totalitario. Scrisse Mussolini, Enciclopedia Italiana, voce, Fascismo: " Per il fascismo lo stato è l'assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono " pensabili " in quanto siano nello stato"· Non è questo precisamente ciò che il comunismo totalitario, in pratica, è?. Non è il comunismo lo stesso assorbimento, lo stesso annientamento, la stessa fusione dell'individuo nello stato assolutista che il fascismo, per bocca del suo fondatore, proclama? Non è il comunismo la stessa negazione della personalità umana autonoma e libera che il fascismo predica ed entrambi impongono dove dominano? Non è il comunismo totalitario lo stesso annientamento di libertà di pensiero e di azione che l'individuo potrebbe rivendicare per se stesso senza infringimenti ed impedimenti da parte dello stato assolutista, dottrina fascista dello stato? Dice Mussolini: "Anti-individualistica, la concezione fascista è per lo stato; ed è per l'individuo in quanto esso coincide con lo stato ... " Negazione assoluta dell'individuo autonomo; negazione assoluta del diritti dell'Individuo di fronte alle gerarchie dominanti, due concetti reazionari ed assolutisti comuni al fascismo ed al comunismo. E per ciò negazione assoluta della dottrina anarchica, la quale si basa precisamente sul polo opposto; giacchè la filosofia anarchica ha le sue basi sull'individuo autonomo da ogni legarne statale e non può essere che filosofia individualistica, cioè: antiautoritaria statale, o non è anarchica. Continua Mussolini: "Il fascismo è per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello stato e dell'individuo nello stato ... Giacchè per il fascismo, tutto è nello stato, e nulla di umano e spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato". Non par di udire le migliaia di campane, i milioni di pappagalli proclamare la sovranità assoluta dello stato... proletario comunista? Non par di vedere e udire i vermi comunisti strisciare, biascicare, vilificarsi davanti all'onnipotenza dello stato comunista, rinunciando e negando la propria esistenza personale? Non par di udire milioni di preghiere, di invocazioni uscendo dai petti dei devoti comunisti chiedendo la grazia di essere fusi collo spirito dello stato fascista-comunista? Ed invitare lo stato a schiacciarli come vermi indegni della sua bontà e della sua grazia? Non par di vedere ed udire i capi comunisti ergere il loro stato assolutista come credo, come deità, come mostro che chiede ubbidienza totale da parte delle masse che li seguono ciecamente ed abbiettamente, minacciandoli della sua illimitata furia, della sua implacabile vendetta se non fanno completo atto di sottomissione, totale rinuncia a una vita propria, a un pensiero proprio, fino al sacrificio della propria vita al mostro incarnato dalla volontà del suoi capi? E come col mostro fascista non cade l'implacabile mannaia del mostro comunista sul collo di coloro che si ribellano a questa totale schiavitù, dando corso a liquidazioni, diciamolo, sterminazioni ormai globali su di un terzo della popolazione della terra? Parla ancora Mussolini: "Quando declina il senso dello stato e prevalgono le tendenze dissoclatrici e centrifughe degl'individui o dei gruppi le società nazionali volgono al tramonto", leggi lo stato volge al tramonto. Non par di assistere alla caccia alle ... streghe individualiste, incarnate da poeti, letterati ed artisti ribelli in Russia, recentemente e sempre, e gli auto da fè ed i roghi verbali e veri inscenati colà dagli inquisitori comunisti, con alla testa Khrutcheff? Spirito di Pasternac acquietati! L'odio dei gerarchi comunisti si riversa sugli eretici dello stato totalitario fascista e fascista-comunista. Ogni affermazione individualistica è una minaccia di morte a tutti i fascismi! Non vi è posto sulla terra per l'individuo e lo stato totalitario. Se l'uno vive l'altro deve morire! Sono antipodi, due forze che si rigettano e si escludono l'un l'altro. Quando l'uno respira l'altro soffoca! Quando lo stato totalitario prospera l'individuo è morto, è stato ingoiato dallo stato, o nel caso più favorevole, non è più che l'ombra di se stesso. E questo è ancor più vero dello stato totalitario comunista-fascista, che dell'altra forma di fascismo; perchè questo ultimo permette ancora all'Individuo - anche proletario - alcuna autonomia personale nella sfera economica; perchè Il suo 6 CONTROCORRENTE - Dicembre 1963
assolutismo non si estende sull'economia, come sulla politica, l'arte, la letteratura, lo sport, tutto! e non lascia all'individuo via di scampo. Il fascismo-comunismo - se potesse farlo - ti regolerebbe anche l'amore, nel letto. Fascismo totale! Riassume Mussolini: "Nè individuo fuori dello stato, nè gruppi (partiti, associazioni, sindacati, classi,) ". Non è questo il vero ritratto del comunismo-fascista? Non riconoscete due fratelli gemelli? Sottratta la fraseologia a doppio senso di popolo, proletario, nazione, classi, masse che servono solo per mascherare la frode ai danni dei lavoratori da parte dei gerarchi comunisti e fascisti, Mussolini potrebbe fare sermoni per il comunismo totalitario e Khrutcheff fare sermoni per il fascismo. Sono due stati totalitari in uno, sono copia l'uno dell'altro, sono la medesima catena al collo del lavoratore, sono le medesime manette Motivi polemici L'Inevitabile Polemica Ha fatto qualcosa, fin qui, Umanità Nova, per non provocare una polemica fra compagni sullo scabroso "affare cubano?" La risposta è NO. Essa l'ha resa inevitabile col suo altezzoso, sufficiente e discriminatorio atteggiamento che non poteva essere in alcun modo condiviso da quegli anarchici ai quali fu sempre insegnato che qualsiasi specie di dittatura segna inevitabilmente il grado più alto - per il caso in questione il "più basso " - sul termometro dei regimi autoritari. E poichè in tanti anni di esperienze " dal vero" la parola dei maestri era risultata indiscutibilmente giusta, come potevano gli scolari, cosi di punto in bianco, rinnegare la validità anarchica delle lezioni, approvando e contribuendo all'istaurazione di una nuova dittatura, essi che di presenza o assenti per forze maggiori l'avevan sempre combattuta? Pretenderlo, e pretenderlo nella forma perentoria ed antilibertaria con cui U.Ne con lei tutta la nostra stampa ufficiale - intendeva imporlo " a tutti " gli anarchici cosi come risultò dal Convegno di Senigallia, era come stimar sè stessi degli infallibili pontefici e tutto il resto degli imbelli invertebrati. E' innegabile che alla redazione del giornale vi siano uomini possedenti facoltà quali l'eloquenza e la facilità di maneggiare la penna che molti di noi del mucchio non possediamo; ma appunto perchè più addestrati, essi non possono non capire che pure fra la massa c'è chi, istintivamente o per letture o per acquisite esperienze, "sente l'anarchismo" quanto loro; ma che non sempre "vedono" certe situazioni e certi problE:mi com'essi li vedono e non sempre son disposti a farli propri. E tanto meno se, C?m': nel caso dei compagni cubani, questi s1 son conformati esattamente al dettame, per esempio, di Luigi Fabbri secondo il quale, "in caso di rivolta contro applicate al pensiero libero, sono la medesima schiavitù per l'individuo. Comunismo non è fascismo? No, è di più. E' super-fascismo! Perchà è più assoluto nell'incatenare l'individuo al carro dello stato totalitario. Perchè ha applicato ancora più del fascismo un controllo soffocatore e assassino al pensiero umano! Che certi ingenui anarchici la smettano di dar credito e considerare il comunismo totalitario come un movimento di sinistra, un'ala rivoluzionaria del movimento operaio, perchè deve essere posto all'estrema destra, per essere un'ideologia profondamente reazionaria in pratica, dove regna. E questo è quello che conta, non la fraseologia falsa di amore per i proletari, e la loro sfacciatezza di parlare di democrazia nei paesi capitalisti e poi negarla totalmente dove loro hanno il manganello nelle mani. BRANO governi reazionari (ivi compresi specialmente, aggiungiamo noi, quelli a carattere dittatoriale) è dovere degli anarchici correre ad offrire il proprio aiuto ai rivoltosi". U.N. ha pensato di far suo, sulla carta, il pensiero del Fabbri al fine di confondere chi, sul posto, lo aveva messo In pratica, mentre essa consigliava e prometteva aiuto... a Castro, aguzzino e boia di anarchici; o, com'egli "ci" definisce, " anarcosi" - come dire lebbrosi o qualche altro spregiativo in osi. E ciò senza che in redazione faccia nè freddo nè caldo, mentre vi si trova modo d'indignarsi quando le stesse vittime dell'amigo danno del " verdugo " al proprio boia, e di far della balorda ironia verso gli scampati (e non solo dalle grinfie dei " barbudos " locali, ma perfino del sinistro Lister, il Distruttore delle Collettività Agricole Aragonesi e non improbabile assassino dei nostri Berneri e Barbieri; di Marcadet, l'assassino di Trotsky recentemente liberato dalle carceri messicane; del nostro - a nostra vergogna - connazionale Vittorio Vidali di cui conosciamo bene le gesta criminali compiute in Spagna, ed altri ancora della stessa risma: tutti graziosamente ospitati alla Perla delle Antille in pacifica compagnia coi missili di Krushev), e di far della balorda ironia, dicevo, verso gli scampati con quella frapparentesl che diceva: (Compagnif Anarchicif ... ) e quel tre innocui puntolinl di dubbiosa sospensione che valgono un Perù, che a sua volta vale un Però quanta lealtà polemica! In tali contraddittorie Castronerie si cade quando si scrive troppo e troppo in fretta e quando " si ha sempre ragione " ad ogni costo: anche a quello di fare delle figure barbine come quella, per dirne una, di pubblicare che le aero-fotos di certe rampe missilistiche potevano esser benissimo truccate, e ciò quando lo stesso Krushev ne aveva già ammessa l'esistenza! * * * Nel corso di un'annosa appartenenza al movimento anarchico mi son trovato sovente ad assistere a manifestazioni di prepotenza e di settarismo esercitato o tentato di CONTROCORRENTE- Dicembre 1963 7
esercitare sulla massa da parte d'individui o gruppi di giornali che pretendevano essere i depositari unici e qualificati di certi speciali verbi dogmatici d'un loro particolare vangelo ... anarchico. M'è capitato perfino, una volta, di sentir parlare del dovere degli anarchici d'aiutar... la Mafia! E guai a ribellarvisi! Il minimo che potesse capitare ai restii era quello d'apprendere d'esser diventati o spie o agenti provocatori. Però mai ci era stato dato di sentirsi esposti a scomuniche per la sacrilega eresia di dir "merde" a Castro, come agli altri dittatori presenti o futuri della Terra e magari della Luna, siano essi o Kennedy o Krushev, a seconda di chi sarà il primo a mettervi piede e colonizzarla. Siamo arrivati al punto in cui, tira tira, la corda incomincia a sfaldarsi, e si strapperà se continuiamo a servire da bilancino alla Troica moscovita galoppante a briglia sciolta verso nuove dittature. Ora, se ad ogni troica che vedremo passare correremo ad imbrigliarvici, lo sappiamo noi, lo sapete voi quanti di noi ci salveremo dall'essere schiacciati sotto il veicolo ancor prima che l'auriga giunga al suo proprio Kremlino? SI, lo sappiamo e lo sapete: NESSUNO! Mi guardate? Ho detto: NESSUNO! Direte voi: - Ma se noi facessimo un compromesso col dittatore per sbarazzarsi una volta per sempre dell' imperialismo capitalista e poi. .. ?. . . Illusi! E poi? Lo sapete cosa avreste concluso? Avreste fatto nè più nè meno come quel tale che volle fare un dispetto alla moglie. Vi sareste Castrati per far dispetto alla vile borghesia la quale non potrebbe essere che soddisfatta d'essersi sbarazzata di voi, di noi tutti, a cosi buon mercato, senza toccar pallino. Alla nostra totale stalinizzazione o eickmannazione che sia, ci avrebbero pensato i nostri amici, dopo che noi stessi - vergogna delle vergogne! - avessimo emasculato il nostro ideale di propria iniziativa. ~ • * Se è spingendo il movimento per questa china che porta al baratro in cui l'anarchismo potrebbe rompersi il nodo del collo e non rizzarsi più e se chi se ne proclama il Pilota crede veramente di spingerlo invece sicuramente in porto, vuol dire che la lunga pratica giornalistica acquisita oltre oceano ha dato i suoi frutti. Fortuna vuole, però, che qui da noi c'è anche chi osa dire senza timori che un giornale che può richiamarsi al nome di Errico Malatesta come fondatore non può essere soltanto organo della FAI, ma anche di chi lo sostiene dal difuori, cioè di tutti i suoi lettori, abbonati e sostenitori che siano. Quà non siamo nel paese di bengodi dove tutto va bene anche quando va male. Qui le cose del Movimento, che son cose di tutti, si è abituati a ragionarle discuterle criticarle, correggendo modificando migliorando quando lo si giudichi necessario; ma fra tutti, anche fra i non federati, in un largo spirito di libera parità, e non nella soffocante atmosfera d'intimidazione e di timore, d'abuso di ppotere e d'autosufflcienza emanante da detta stampa che ha provocato il risentimento di molti e, come conseguenza, una nidiata di bollettini scritti da compagni non troppo dimesticati coll'arte del bello scrivere, poco pratici in fatto d'espedienti polemici, cioè con pochi peli sulla lingua ma con un certo numero di ragioni e di proteste da avanzare contro chi, specialmente, intendeva far loro ingoiare l'amara pillola d'un certo anarchismo bolscevizzante di cui non si fidava punto. I ciclostilati apparvero - certo senza preventivo concerto fra i loro redattori - apparvero, si può dire, simultaneamente in distinte zone dei cieli dell'Italia peninsulare ed insulare, a dimostrazione che la soffocante atmosfera di cui più sopra stava diffondendosi capillarmente ovunque. L'inattesa alzata di scudi non piacque a chi l'aveva maldestramente provocata e che, preso di sotto gamba cosi all'improvvista, non seppe che tentare la controffensiva che tutti sapete, consistente in quella specie d'Auto-da-fè che - anche questo - tutti sapete. Io non conosco nessuno fra i compilatori di quei ciclostilati e non posso dir nulla, nè in bene nè in male, circa le loro caratteristiche. Ma siccome si vociferò trattarsi di gentaglia che non ha niente dell'anarchico, del compagno, sarebbe anarchicamente onesto che chi "vocifera" provasse anche a "provarlo"· Perchè se è semplicemente per il fatto d'aver poco rispettosamente pestato i calli a qualche compagno fra i più in vista che li si è messi all'indice, la ridicolezza dell'accusa ricade tutta ... su dei giudici che condannano i propri figli. Perchè il linguaggio da questi usato non era poi eccessivamente più scurrile ed offensivo di quello usato e che si continua ad usare dai giudici-genitori contro i compagni cubani, contro chi non è daccordo con le Castronerie di U.N. e, ultimamente, contro i giovani compagni milanesi redattori di Materialismo a Libertà ai quali, anche se noi vecchi non fossimo daccordo sul loro parere circa l'azione dei compagni spagnoli in fatto di "sabotaggio al Turismo", temiamo però ad esprimere il nostro consenso in fatto di libertà d'opinione. Contro i compagni cubani l'ultimo appunto che si muove loro è d'essere stati degli strumenti dell'imperialismo yankee: cosa che verrebbe ammessa da essi stessi quando accusano Kennedy di averli traditi. Già: si sogghigna sulla disgrazia di quei compagni. Colpevoli d'essersi lasciati tradire! Come se pure tutti noi che dalla Francia corremmo in aiuto del popolo spagnolo non si sia stati traditi dal Kennedy francese: Lèon Blum. Ricordo il grandioso raduno del popolo di Parigi al Bois de Saint-Cloud in favore della resistenza alla rivolta dei generali franchisti, e in cui oratore principale fu appunto Lèon Blum, allora Primo Ministro di Francia. Con un poderoso travolgente discorso galvanizzò l'entusiasmo del milione e passa di manifestanti, incitandolo al volontariato, assicurandone il libero transito 8 CONTROCORRENTE- Dicembre 1963
traverso la frontiera pirenaica e promettendo ogni sorta d'aiuti da parte del suo Governo. Fu la più grande e più promettente manifestazione di popolo alla quale avessi mai assistito, dopo quella del 1925 in Parigi, in favore di Sacco e Vanzetti. B~stl dire che perfino la Guardia Nazionale Francese, rientrando in Città a bordo di diecine di camions, fraternizzava con la folla che rientrava a piedi al canto del- !' Internazionale. Quand'ecco che pochi giorni dopo Lèon Blum ti proclama il fa. moso ed infame "Non Intervento"! Non fummo, allora, dei " traditi" anche noi, come lo sono ora i compagni cubani? E si sarebbe dovuto, per ciò, tacciarci di venduti all'oro della Banca di Francia? Ai cubani si rimprovera anche d'avere accettato aiuti dal Comitato Pro-Profughi di Miami a mezzo di sussidio giornaliero. "Venduti", perciò, "all'oro imperialista"· Secondo tale criterio, per non essere dei "venduti " sarebbe stato indispensabile che gli scampati ai tribunali di Castro, appena messo piede a Mlami, fossero tati Inviati in campi di concentramento, cosi come capitò a quelli che rientrarono in Francia in seguito alla vittoria di Franco. Anzi, per quest'ultimo caso, i volontari di Spagna furon traditi due volte. (Mi permetto d'aggiungere, fra parentesi, che sarebbe stato doveroso e cosa bella, da parte degli anarchici d'ogni paese, costituire immediatamente un Comitato Internazionale pro Profughi Cubani. Avremmo potuto cosi impedir loro ... di "vendersi"). (Un'altra parentesi, per favore. Dimenticavo d'aggiungere che i profughi della guerra di Spagna furon traditi anche una terza volta, la più ignominiosa, perchè da gente che si spaccia per la sola vera forza rivoluzionaria nel mondo: i pseudo-disant "comunisti"). Dimenticarlo è tradimento. Virgilio Gozzoli N o T A - Per un errore tru,ptega.blle, oll proto, tmpagtna.ndo Il nwnero preeedente, dimentico' eUl marmo oltre la meta' dell'articolo "L'INEVITABILE POLEMICA,. del compagno Vlrglllo G<>zzoll. Piuttosto che rettl.flcare preteriamo ristampare l'articolo per intero. Si eviteranno cosi' mal1ntee1 e false Interpretazioni. ----------- errore in cui sta a sua volta impelagandosi sempre più, col continuare a denigrare deridere umiliare i compagni cubani (quelli trucidati, quelli sotterrati vivi e quelli in esilio) quando insiste testardamente a giustificare e difendere il loro "verdugo" e la di lui dittatura, agli ordini Insieme e di Kruscev e di Mao. " L' I CON OC L ASTA" UN CASO CHE ''NON E' ANCOR FINITO" MA GIA' COL BOLLO DELLE FUCILAZIONI, DELL'ERGASTOLO E DELLO ESILIO Su Umanità Nova del 20 Ott. 1963, A. Borghi pubblica un suo pezzo sul Garibaldismo In Francia. Il " fatto " è vero, a parte certe riserve che avanziamo sul come egli le racconta. Io che fui uno fra gli Iscritti al garibaldinlsmo ma che non ebbi mai contatti personali col Garibaldi, come in• vece li ebbe il Borghi, non sono in grado di riferire quel che si dissero fra loro. Se mai, il solo che possa dirne qualcosa di preciso è il compagno Ugo Fedeli. Egli, oltre che volontario, fu anche redattore del giornale-Bollettino di quella Legione e si trovò quindi a contatto diretto sia col Borghi che col Garibaldi In quei giorni, diciamo cosi, di "trattative". Inoltre, Il Fedeli - che tutti ormai riconosciamo come lo storico dell'Anarchismo - è indubbiamente Il più documentato fra noi, specialmente su fatti ed iniziative per il periodo del nostro fuoruscitismo. Al Fedeli, dunque, se crede, la parola. Io posso dire soltanto che se il "fatto" è vero, quel che non lo è è il dire che la questione garibaldina si trascinò per due anni. Quel che davvero si trascinò per due anni e più fu la gazzarra infame e degna soltanto di scribi da rigagnolo e da suburra che continuò sadicamente a scagliar fango contro di noi, anche oltre il tempo In cui, sulla rivista Tempra, pubblicai uno scritto - " Espiazione" - In riconoscenza dell'errore In cui eravamo tutti in buona fede caduti: scritto che tutti approvarono facendolo loro. Invito ora il Borghi e il suo giornale a prendere la decisione che prendemmo allora noi, e a farlo In riconoscimento dello Ma egli non ne farà niente. E tuttavia ognuno avverte ormai, anche se non osan dirlo, ch'egli "sente" d'aver preso una madornale cantonata non meno grossa di quella che noi riconosciamo d'aver preso, ma che almeno fu presa - com'egll stesso riconosce - al grido di Morte al fascismo! e, se si vuole, u con l'illusione" d'andare ad abbattere una dittatura, mentre lui e il suo giornale l'hanno presa OFFRENDO TUTTO UN MOVIMENTO (e chi lo aveva autorizzato?> IN AIUTO di una dittatura. E questo, inescusabilmente, dopo che ben altre dittature dello stesso stampo avrebbero dovuto avergli dimostrato di che panni si vestono e di che sangue grondano! Tutti si può sbagliare, caro Borghi. Anche tu. Per dimostrare che hai sbagliato In buona fede abbi almeno l'umiltà di scrivere tu pure la tua "Espiazione", se veramente ami il Movimento come non possiamo dubitarlo e vuoi tenerlo lontano da non desiderabili polemiche. E rifletti che se il nostro caso fini col "bollo dello spionaggio" (come gesuiticamente insinua il titolo del tuo "pezzo", per far credere ai compagni qui in Italia che vi siano stati casi di spionaggio da attn• buirci), il tuo caso è finito con l'esilio, la galera e la fucilazione di nostri e tuoi compagni. E poi: veramente finito? E chi lo sa? Io, sul guanciale di questi Interrogativi, non riuscirei a prender sonno. Beato chi lo può. Virgilio Gozzoli CONTROCORRENTE- Dicembre 1963 9
. GENTE 39 - Pagina di Diario Il. 25 Luglio 1914 Ripiglio il discorso interrotto. Più ci si addentra nell'ambiente, più sconcertati si rimane. I racconti su come la gente vive, non sono completamente nuovi. Riporta alla mente le descrizioni fatte da Luigi Barzini nel " Corriere della Sera " di Milano, e di Paolo Scarfoglio, ne " Il Mattino " di Napoli. In quegli articoli Barzini e Scarfoglio avevano fatto delle descrizioni da suscitare rossore e vergogna. Un'altra descrizione sul come vivono gli emigranti Italiani nei quartieri italiani di New York l'ha fatta Giuseppe Giacosa in occasione di una sua visita fatta a New York nel 1909. Non ho mai potuto dimenticare quella descrizione. Il documento lo tolgo da "Vita e Scuola", libro di IV Classe elementare delle scuole italiane, compilato da Matilde Serao e Camillo Alberici. Fu pubblicato sotto il titolo "I quartieri Italiani di New York". Ecco quello che scrive Giacosa: " E' impossibile dire il fango, il pattume, la sudiceria, l"umidità fetente, l'ingombro, il disordine di quelle strade. La gente ci vive all'aperto, segno, dato il clima inclemente, che peggio sono i locali interni, dei quali io non vidi se non quanto mostravano le buie botteghe e che mi svogliò d'ogni maggiore curiosità. Anche là, come a Napoli, il cielo è ragnato dalle frequenti distese di panni sciorinati tra una casa e l'altra. Ma quali panni ed usciti da quale bucato! se pure li stendono al sole per asciugarne il lordume. Uomini cenciosi, sudici, sparuti, vanno intorno faticosamente d'una in un'altra bottega. o si aggruppano all'entrata di quelle birrerie, dove è loro servito il fondigliuolo Inacidito delle botti di birra smaltite nei sani quartieri alla gente sana. Sul passo degli usci, sul gradini delle scalette, su sgabelli di legno e di paglia, nel bel mezzo della via, le donne mettono in mostra tutta quanta la loro compassionevole vita domestica. AJlattano, cuciono, puliscono le verdure appassite, solo condimento della loro minestra, lavano i panni negli unti mastelli, si pettinano e si ravviano a vicenda i capelli. Ciarlano, ma non fanno il cinguettare alJegro ed arguto delle viuzze di Napoli, bensl un non so quale cruccioso pigolio che stringe il cucre. "A volte, un ingombro di carrette (in quelle strade le vetture non passano mail le costringe ad alzarsi ed a raccogliere in furia quelle poche robe; e allora sono urli e bestemmie del carrettiere e strilli e improperi di tutto lo sciame femminile. Passano certe vecchie sfigurate, portando a stento i cestoni deJle immondizie. Vana fatica! Tutto quanto vi circonda: I panni che la gente indossa, le mercanzie esposte, le frutta, gli erbaggi, le carni ingiallite ed Incartapecorite che pendono all'uncino presso le beccherie, i mobili che si intravedono negli aperti stambugi, perfino i sordidi biglietti di banca italiani ed americani, allineati nelle vetrine dei frequenti banchieri, perfino i mostruosi ritratti di Re Vittorio Emanuele e di Garibaldi e di Umberto, e le bandiere tricolori che pendono quasi a tutte le finestre inquadrano l'entrata delle botteghe e vi fanno svolazzo, ogni cosa, ogni cosa non dovrebbe essere gettata nel letamaio? "Quelle bandiere vi danno insieme un senso di tenerezza e di vergogna patria. Quella gente, cosi duramente provata, ha dunque mente ancora alla remota terra nativa, e framezzo a tante urgenti e dolorose realtà può essa compiangersi ancora della sua immagine simbolica! Ma non umilian quella gente se stessa e ad un tempo la patria che riduce i suoi figli ad appagarsi, per minor danno, di così squallida miseria? Gli innumerevoli strozzini che inescano quei disgraziati e li dissanguano, primo e permanente argomento della loro abiezione, adornano anch'essi con bandiere le immonde tane cui danno il nome di banche. E a più vistosi drappi, più accorte trappole. Stanno sulla soglia del banco, fissando sui passanti un dolce sguardo adescatore e sorridendo loro con cupida bonarietà. Il racconto continua: "Ma la vista più dolorosa è quella dei bambini gettati seminudi, nell'aperta via. Chi non conosce il clima di New York, non può concepire la tristezza di tale spettacolo. Io visitai quelle strade verso la metà di Novembre, e le piccole creature non avevano addosso che la camicia. L'ultima domenica di Novembre avemmo in New York uno squilibrio di temperatura di 30 gradi. A mezzogiorno erano 18 gradi centigradi sopra zero, la sera 12 sotto lo zero. Uno strato di ghiaccio vivo incrostava le strade. Sempre quando irrompono dal Canada e dal!' Alaska i tremendi cicloni che l'Atlantico manda giù rabboniti alle coste occidentali d'Europa, New York trapassa di colpo dalle arsure estive ai rigori invernali. La bufera non si annunzia con tuoni e lampi, che d'altronde, i fragori della industre città e la strettezza di quelle strade non lascerebbe altrimenti avvertire. Il turbine si scatena improvviso nella placida gaiezza dell'aria soleggiata. Pensate a quei bambini! Chi riesce a superare quelle prove mortali potrà adulto sfidare tutti i mali e tutti i venti; ma quanti restano al primo urto, o trascinano per una fiacca giovinezza acciacchi senili, finchè un alito di brezza li spegne! Tali miserandi spettacoli non si incontrano, beninteso che in quelle poche strade dove si agglomera la feccia della immigrazione italiana, pur preferibile di 100 volte alla feccia della irlandese, la cui degradazione procede da stravizi, non, come avviene dei nostri, da virtù disperate, da pregiudizi economici e da ignoranza. E non è a credere nemmeno che la dimostrino tutti, nè, di gran lunga, la maggior parte degli Italiani. Sono italiani, in New York ed in Brooklyn, gran parte dei muratori, degli CONTROCORRENTE- Dicembre 1963
scalpellini, degli stuccatori, degli imbianchini, moltissimi parrucchieri e garzoni di caffè, quasi tutti i negozianti di frutta, dai maggiori, addetti a sontuose botteghe, a quelli che vanno attorno colle paniere e col carrettino, e, fino a pochi anni addietro tutti i lustrascarpe. Costoro dimorando per lo più dispersi, come il lavoro richiede, nei vari quartieri della città e dall'aria borghese che i più non sanno e non vogliono pigliare, vivono su per giù da quanto gli americani. Se non che una certa minuziosa cura di risparmio, una frugalità che rasenta la privazione, quel meticoloso disputare il centesimo, il vestire trasandato, alloggiare in molti nello stesso locale non spazioso nè comodo, e mille altre piccole parsimonie, fanno si che i più schifiltosi americani riconoscano in essi già migliorata, se vogliamo, al proprio contatto quella stessa razza che ammorba le strade di Baxter e di Mulberry, e vi pianta in lacere e lerce band iere il segno della propria nazionalità. Fin qui la descrizione di Giuseppe Giacosa. Questa impressione dello scrittore italiano dà soltanto un'idea di quel che realmente sia l'ambiente. Più tardi avremo occasione di esaminare e fissare le responsabilità su questo stato di cose. Questo è il periodo in cui gli italiani hanno partecipato alle più odiose manifestazioni della vita sociale del paese. Questo è il periodo in cui il lavoratore italiano si è dato al crumiraggio, provocando il disprezzo e gli sputi del lavoratore indigeno. Questo è il periodo in cui il lavoratore italiano è ingaggiato a pulire le latrine, a rimuovere il sudiciume dalle strade, ai lavori più abbietti e degradanti. Questo è il periodo in cui l'emigrato italiano ha dato il più largo contributo alle attività della Mafia, della Mano Nera, della delinquenza più odiosa e rivoltante. Si comprende come l'emigrato, abbandonato a se stesso, nella miseria, nella confusione, senza guida, spinto nel baratro dall'egoismo e dall'arrivismo di coloro che si erano eletti guardiani e vessilliferi del patriottismo e della patria, divenisse preda facile degli avventurieri e dei delinquenti. A New York si pubblicano cinque quotidiani italiani: IZ Progresso Italo-Americano, diretto dal Cav. Carlo Barsotti, IZ Giort1-ale Italiano. diretto dall'Avv. Ercole Cantelmo, IZ Telegrafo, diretto dall'Avv. Giovanni Vicario, IZ Bollettino della Sera, diretto dallo Avv. Giordano, e L' Araùl.o Italia'lt,O, diretto da Celestino Piva. Basta dare uno sguardo a questi giornali per sentire subito che si vive in un ambiente malsano e camorristico, saturo di gelosie e di arrivismi mal celati. Il livore, Il ricatto, la minaccia traspirano da ogni rigo. Non ci vorrà molto a penetrare meglio questo ambiente infestato da banditi della penna. Questi signori per ottenere il loro obiettivo fanno uso dei metodi più abbietti, anche se di riverbero ne soffriranno la dignità e le aspirazioni della gran massa degli emigrati. MASSIMO LORIS 40 - Ben Shahn L'arte dl Ben Shahn e' conosciuta. Sovente sl vedono mustrazlonl In riviste e libri rlproducenU sacco e Vanzettl. Pochi hanno saputo mettere nelle flg-ure del martiri di Charlestown l'espressione che Ben Shahn gli ha dato. Per puro caso abbiamo trovato In una rivista. Italiana-VITA, 26 aprile 1962, un breve cenno biografico dell'or.Jginale arUsta.. Lo rlproductamo per 1 nostri lettori. Tra il 1925 e il 1927 Ben Shahn fece un lungo viaggio in Europa e nel Nord Africa. Nel 1930 (a 32 anni) espose per la prima volta alla Downtown Gallery di New York i motivi che il continente nero gli aveva suggerito. Una mostra di assaggio. Shahn non era ancora un pittore fatto. Piuttosto un buon litografo che aveva una gran voglia di fare il pittore. Quando arrivò alla prima mostra personale, infatti Shahn era ancora impegnato a pulire le pietre litografiche e a girare i torchi della bottega dove si guadagnava la vita a Brooklyn, dopo che da qualche anno era arrivato da Kovno, Lituania, il suo paese natale. Il viaggio del giovane Ben non era stato altro che una vacanza lungamente sognata. La pittura invece, un desiderio di me~tere alla prova gli anni trascorsi nella Nat10nal Academy of Design di New York e ve~er~ se era valso il sacrificio di aver seguito 1 corsi di studio rinunciando al riposo e allo svago. Del resto per Shahn la pittura non era mai stata un hobby, nè un'avventura: aveva cominciato a sentirla arrivare nel sangue sin da ragazzo. Sui marciapiedi di Brooklyn aveva disegnato schizzi delle figure del mondo dello sport, " idoli di un suo difficile ed esigente pubblico di vagabondi locali ". Shahn dalla umiltà e dalla povertà aveva ricavato i valori essenziali della vita, povero in un quartiere povero, poeta accanto a gente che poteva esprimere poesia con !-In solo gesto o un appena accennato sorriso di tristezza Ben Shahn non poteva fare a meno di' raccontare. Ecco perchè " la figurazione" è, per Ben Shahn, racconto; il racconto è parola; la pittura è parola e qu;ndi scrittura. Le immagini di Ben Shahn sono immagini, più ancora che grafiche, scritte; scritte per essere dette e parlate". Il clamoroso caso di Nicola Sacc_o e Bartolomeo Vanzetti che commosse li mondo - i due operai italo-americani accusati di omicidio e condannati alla sedia elettrica - e quello del capo operaio Tom Mooney - perseguitato come anarchico - spingono Ben Shahn ad ergersi come loro difensore. Le sue simpatie - ha scritto James Thrall Soby, che di Ben Shahn ha capito sino in fondo gli umori umani e la nobiltà dell'arte - sono sempre state per gli oppressi, per quanto abbia vigorosamente respinto la cura dei loro guai proposta dal comunismo. S'immagina che in Ben Shahn non vi siano mai stati tentennamenti nè imposizioni che abbiano potuto far deviare il CONTROCORRENTE- Dicembre 1963 11
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