Monarchia che aveva mal ringoiato la sentenza capitale di Genova contro Mazzini e Garibaldi, anche il governo regio lasciava nell'oblio ogni tradizione garibaldina ed a pochi anni dal 20 settembre 1870 fornicava col Papato al quale non soltanto esso donava guarentigie spirituali e temporali, si che gli restituiva emblema di sovranità e di potenza, ma gli legava l'anima della nazione aggravando con i fatti più evidenti il legame ingiusto che donava al popolo una fede coatta, che stabiliva al prete funzioni statali di dominio, che al carro della Chiesa legava l'infausta politica delle classi dirigenti asserventi le masse ed asservite esse stesse al giogo sacerdotale. Si dirà: a che pro" queste ripetizioni storiche? Non è forse esaurito con la morte di Lui il ciclo storico dell'epopea di Garibaldi e dei garibaldini? Eppure non è così. Il garibaldinismo appartiene più che al passato all"avvenire. Non muore un Ideale insieme al corpo fragile e caduco di chi lo visse, specie quando di sacrificfo e di gloria è materiata tutta la storia dell'audacia garibaldina. Garibaldi, a tanti anni di distanza dalla sua vita e dalla sua morte, molte cose può insegnarci. E tra tante, le sublimità del sacrificio, la santità dell'Ideale, le supreme bellezze della fede, gli eroismi dell'azione. La camicia rossa ha una tradizione insopprimibile. Provate pur oggi a vestire cento, mille uomini con la camicia rossa, e voi sentirete già un fremito d'attorno; e mentre per essa i popoli avranno di nuovo palpiti ed entusiasmi, ecco i governi tremare e fabbricare violenti propositi di reazione per spegnere il rinnovato focolaio di rivolta. Io credo che la missione storica della camicia rossa, ch'è la manifestazione più palpi tante dell'audacia garibaldina, non debba terminare mai. Onde appena la Grecia ha fieri sussulti sotto l'impeto della formidabile strozza turchesca, tra le camicie rosse che correranno a difendere la libertà del popolo - non quella del trono - nell'Ellade fino a Domokos, c'è anche Amilcare Cipriani, Giuseppe Ciancabilla, Antonio Fratti. I tre interpreti: del socialismo internazionale, dell'anarchismo rivoluzionario, della repubblica del popolo. E nel fosco periodo odierno, in cui dei tristi capitani di ventura hanno osato imitare la tradizione garibaldina sporcando di nero la loro camicia non pulita, e facendo ministra di male e di capestro una divisa resa sempre ingloriosa dalle sue imprese assassine, non devesi dimenticare che l'epilogo di questa mala ventura italiana, non può essere che una riscossa aiutata dall'impeto di audaci che non badando al pericolo ed al sacrificio, si associno in uno sforzo supremo di liberazione. Io non so se c'è già chi tesse nel segreto il panno scarlatto delle camicie garibaldine, nè se Garibaldi si chiami Colui che nel nome dell'Italia libera suscita già entusiasmi e fremiti nella gioventù italiana. Se ciò fosse poi avremmo contati al fascismo i suoi giorni. Perchè la congiura garibaldina ha una tradizione cosi meravigliosa che, ripeto, trascina le folle in entusiasmi indescrivibili. Può vantarsi il fascismo di aver conquistato una gioventù vestendola della nera assisa simile a quella del prete e del becchino. E' una realtà che noi non gli contestiamo, ma il fascismo crede forse che i giovani sian tutti, proprio tutti, fregiati del teschio e del littorio? Codesta è la gioventù decrepita che si sollazza in turpi imprese e non cerca la gloria nel sacrificio. Se invece domani si batterà la diana in nome della Camicia Rossa, noi vedremmo le sane generazioni degli operai e {!Ontadini, giovani nell'anima e nel sangue, accorrere ad inscriversi nelle sacre ed ardimentose Legioni del Popolo. Perchè, fino a che tutte le Nazioni non si saranno redente, l'internazionalismo sarà solo una vaga aspirazione. Giusto, legittimo, ma pur sempre dell'idealismo astratto. E poichè di italiani e per gli italiani sarà lo sforzo di libertà, noi formuliamo l'ipotesi positiva di una Rivoluzione Sociale italiana. E cosi posto il problema, la Rivoluzione che si compierà qui non può avere che una sola pausa transitoria di compimento. Ed è Roma. Una rivoluzione italiana che non avesse Roma per mèta e punto d'arrivo rischierebbe di marciare infinitamente senza un punto d'appoggio, senza una mèta definita. Ciò sapeva bene Garibaldi, quando come il Catone del " Delenda Chartago" rispondeva alle chiacchiere della diplomazia ed alle vane fatiche dei Congressi plenipotenziari, con il potente grido di redenzione: "Roma o morte! " Ed era Il che egli chiamava a convegno gli assertori della libertà italiana. SI! Perchè è a Roma il centro dello Stato, è a Roma che oggi deve condursi il popolo che vuole riconquistare gli elementi della sua vita libera e felice. Onde ben a proposito ,per le legioni garibaldine c'era una mèta sola, in ogni ardimento, in ogni proposito, per le legioni garibaldine c"era morte! Ma la morte non negli agguati di strada e nelle scorribande punitive, come nella recente parodia di una marcia che di Roma non aveva bisogno che per soddisfare la sete di potere, e che la morte dava ad altri per impresa di violenza sanguinaria e prepotente. I garibaldini morivano da generosi sul campo della gloria e lasciavano brandelli della loro carne sui patiboli piuttosto che servire cause ignominiose. Io sono convinto, ripeto, che al grido possente di "Roma o morte!" che riecheggerà in questa Italia oppressa, chiunque avrà la fede di indossare la camicia rossa, troverà moltitudini che risponderanno all'eco generosa, con palpiti di entusiasmo e fremiti di libertà. Io penso che allora da ogni borgata, da ogni città, dai campi, dai monti, dalle valli, imperioso e forte si ripeterà il grido di libertà delle camicie rosse e la 12 CONTROCORRENTE-Ottobre 1963
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==