Quaderno Proletario GARIBALDI Il Cavaliere dell'Umanità, più che un eroe della guerra, meglio di un soldato dell'indipendenza italiana, fu un apostolo delle rivendicazioni sociali. Garibaldi accorreva sempre laddove c'era una buona causa da rivendicare, degli oppressi da difendere. Egli odiava l'Austria perchè il bastone che percuoteva il popolo era austriaco. Nella lontana America fu chiamato "pirata" perchè vendicava le vittime delle barbariche imprese dei tirannelli infami e crudeli. E Carlo Alberto che lo seppe combattente audace e cospiratore arditissimo, lo fece chiamare " sciabolatore" e gli preparò la fucilazione nella schiena quale volgarissimo malfattore. Son questi proprio i titoli di benemerenza che l'audacia garibaldina guadagnava più che sui campi di battaglia, nella guerriglia di strada, sui patiboli ove conducevano tanti martiri le sfortuna te cospirazioni carbonare. La divisa rossa era il fuoco vivissimo di una fede sentita, l'audacia senza fine, il più bel coraggio indomito. Si dissero tante leggende sulla fede di Garibaldi. Chi lo chiamò monarchico, chi repubblicano, chi militarista, chi rivoluzionario, chi ateo, chi religioso. La verità è che Garibaldi aveva fatto suo il motto mazzm,ano: "Pensiero e Azione". Ma il pensiero non era per lui la filosofia dei saccenti o la retorica degli esaltati. Nè l'azione si contraffaceva nel gioco speculativo di un fine egoista, dominatore, personale. Ed attraverso le mille sue imprese, una è rimasta gloriosa ed imperitura: quella che era dominata dal potente grido di rivolta e di audacia: Roma o morte! e di cui furono tappe gloriose la resa di Fantina e la ritirata a Passo Corese. Ma Roma non era per Garibaldi il soglio presuntuoso e chimerico di fantasticherie imperialistiche. No! Egli voleva sottratta Roma al governo teocratico, non per farne centro di dinastia, ma per crearne città di liberi. Nella sua mente di apostolo gagliardo di quella grande Rivoluzione Umana che andava gradatamente formandosi nel ciclo storico italiano, aveva il Grande di Caprera esaminato le fasi delle dominazioni precedenti: la Roma dei re, la Roma degli Imperatori, la Roma dei papi. Onde alla triplice Roma dell'oppressione, della superstizione e della tirannide, voleva sostituire la nuova epoca dei liberi, che si compendiava nella Roma del popolo, come quella brutalmente soffocata e soppressa nel 1849 dalle sciabole e dai cannoni di Oudinot, il sicario al soldo dell'avventuriero napoleonico, del Giuda repubblicano. N'è prova l'audace tentativo che fu coronato ad Aspromonte dai fucili regi italiani ed a Mentana dai " chassepots" francesi. GIUSEPPE GARIBALDI Egli aveva donato un reame a Vittorio Emanuele, ma sol perchè Napoli e Sicilia non davano la garanzia di continuare la gloriosa epopea leggendaria dei Mille di Marsala. Garibaldi non vide il suo sogno compiuto, perchè l'Italia che passò a Roma per la storica breccia, non era quella che aveva vestito la camicia rossa: obbed:ente nel Trentino, ribelle e vindice nella dura impresa di Roma, olocausta a Digione, povera nella modestia dei suoi militi, non insuperbita dalle cento leggendarie apoteosi. Da Porta Pia entrarono i profittatori, gli avventurieri che sono il carico di ogni esercito, tutti i millantatori ed i frodatori delle imprese politiche. I garibaldini videro esule il loro Duce e dimenticarono nella pace del lavoro e della miseria la ingratitudine dell'Italia ufficiale che invece di conquistarsi l'indipendenza in nome della audacia garibaldina - sintomo di santità di pensiero e libertà di spirito - aveva sottomesso alla regia Casa di Savoia tutto un popolo che si era redento assai più che sui campi di battaglia, nel fuoco delle cospirazioni cruente, negli ergastoli di cui aveva popolato i suoi figli, nel sacrificio quotidiano di sè stesso per il trionfo di una Idea di libertà e di giustizia per cui l'Italia doveva scrivere con questa ed a caratteri indelebili nelle tavole del suo libero reggimento. La camicia rossa divenne poi paurosa sobillatrice di più ardite concezioni per la CONTROCORRENTE - Ottobre 1963 11
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