Controcorrente - anno XX - n. 38 - set.-ott. 1963

~ONTBO~O OCTOBER 1963 ·, Gaetano Salvemini

Caelano Salvemini: LASTORIACOMEAZIONPEOLITICA Con la scomparsa di Salvemini, che segue a pochi mesi di distanza quella di Gaetano De Sanctis, sembra si compia il ciclo mortale di una generazione di maestri che, quarant'anni fa come l'altro ieri, rappresentavano, con massima autorità, gli studi storici nel nostro Paese. Scorrendo oggi la lista dei titoli delle opere lasciate dal Salvemini, ci si accorge che egli si sentiva impegnato nella lotta politica, cui ha partecipato per mezzo secolo, in maniera solo apparentemente contrastante con la severità del suo assunto storico e con la grande influenza che egli ebbe sulla formazione di una scuola storica italiana. Nel primo quarto di questo secolo, il settimanale L'Unità di Gaetano Salvemini ebbe, per i giovani altrettanta importanza quanta poterono averne, in campo non esclusivamente politico, La Voce di Prezzolini, Lacerba di Papini o La Critica del Croce: a queste riviste, del resto, si potrebbero anche aggiungere Energie Nove e Rivoluzione liberale di Piero Gobetti. Non è una congerie di titoli, questo accostamento di periodici prefascisti, poichè, tutti assieme, rappresentano un analogo sforzo per la creazione, in Italia, di un ceto di governo espresso dalla classe dirigente borghese, veramente capace di dare all'Italia ordinamenti e istituzioni, vita politica e vita morale, corrispondenti alle idealità proprie di quella borghesia intellettuale e liberale che, anche in Italia, aspirava a una funzione di classe dominante analoga a quella conseguita in altri Paesi di moderna democrazia. Se Gaetano Salvemini si distingueva dagli altri uomini rappresentativi del movimento intellettuale e politico del suo tempo, la differenza consisteva in quella sua preparazione di storico e nella posizione di maestro di questi studi, che era il titolo stesso da cui derivava l'autorità con cui poteva parlare agli italiani. Nel suo libro Magnati e popolani di Firenze dal 1250 al 1295 (1899), si affermava un rigore di metodo storico che lo apparentava alla generazione dei positivisti per l'esigenza di rigore scientifico nella ricerca: tuttavia egli già si avvicinava ad altri storici, alcuni dei quali di lui più giovani, in una prevalente attrazione verso lo studio di particolari concreti, si direbbe quasi tecnici, dello sviluppo nella vita politica. Quella che il Croce doveva classificare come "Storiografia economico-giuridica" trovava nel Saivernini un assertore palesemente convinto della necessità di reagire alle deviazioni, spesso agnostiche, del positivismo con una critica storica rivolta all'approfondimento di fatti formali. Mentre la storiografia positivistica tendeva ad annullare le personalità dominanti della storia nella ricerca d'assieme e deterministica sull'ambiente In cui la personalità aveva operato, giungendo fino alla valorizzazione di fatti puramente come il clima o la salute, la successiva generazione, cui apparteneva il Salvemini, rappresentava, più che altro, un raffinamento del metodo positivistico, portando l'interesse dello storico su fenomeni economici, organizzativi e cioè giuridici o amministrativi e, in genere, diretti allo studio della struttura di una società attraverso un coscienzioso metodo di filologia paleografica e archivistica. La sua fama di storico, tuttavia, è assicurata maggiormente a un libro di pochi anni posteriore, La rivoluzione francese (1905), con il quale Il Salvemini ha esercitato grandissima influenza su un pubblico assai più esteso di quello raccolto nelle aule universitarie fiorentine o di quello dei pochi in grado di apprezzare e gustare il suo Magnati e popolani, molto più citato che letto. In La rivoluzione francese si può veramente dire che Salvemini ha lasciato dietro di sè il filologismo della scuola economico-giuridica, per darci un esempio di storiografia che, a più di mezzo secolo di distanza, può ancora corrispondere alle esigenze di una cultura desiderosa di ricerche storiche sensibili alla complessità e alla varietà di ogni fatto umano. Alcune pagine dell'opera salveminiana, come la analisi della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, e la conclusione che lo storico ne trae, cioè il carattere sostanzialmente polemico e negativo del documento, rappresentano uno sforzo riuscito per vedere nei fatti politici del passato non soltanto questioni di diritto o di economia, ma anche di ideologia, di sentimenti e di passioni. cioè fatti veramente umani. Non è azzardato il dire che un'opera come quella sulla rivoluzione francese spiega, anzi preannuncia, il polemista antigiolittiano, che si batte per dare al Mezzogiorno d'Italia una vita politica di tipo europeo, democratico e razionale. Nella critica degli avvenimenti contemporanei, come nei numerosi volumi di battaglia politica antifascista, nella spicciola attività giornalistica come nell'opera di maestro, la personalità unica di Gaetano Salvemini si afferma soprattutto per quel suo vivo e modernissimo riallacciarsi alla tradizione di una storiografia che sa essere quello che da Tucidide In poi deve essere ogni storiografia: opera di azione politica in sede di studio e di critica. MARIO AITILIO LEVI "EPOCA" No. 365

RIVISTA DI CRITICA E DI BATTAGLIA Fondata nel 1938 - Direttore: ALDINO FELICANI Indirizzo: CONTROCORRENTE, 157 Mllk Street, Boston 9, Mass. CONTROCORRENlTs E publlshod bl•monthly, M•II adcrtss: 157 Mllk SL, Boston. Aldino Fellcanl, EAlltor and Publlsher.. Office of publl•tJon 157 'Mllk Strttt, Boston9, Mass. s«oncklass nll prMI- llltllorlzedat Boston, Mass. Subsa'Jptlon$3 a ye,. Voi. 20-No. 2 (New Series #38) BOSTON, MASS. Sept.-Oct., 1963 TRAGEDIA Umiliazione e disperazione si sono abbattute sulla nazione americana nella tragica domenica 15 settembre. La bestialità più deplorevole si è scatenata, immolando sei giovani vittime in uno dei centri industriali del continente: giovani vittime, sacrificate sull'altare dell'Intolleranza, senza altro scopo che di dimostrare al mondo la cecità, la stupidità di coloro che hanno commesso l'efferato delitto. Non si può nemmeno ammettere che coloro che lanciarono una bomba in una chiesa o coloro che abbatterono a fucila te un ragazzo inerme potessero sperare di intimidire una minoranza che insiste per il riconoscimento dei suoi diritti, o che con le loro sanguinarie dimostrazioni potessero galvanizzare al loro seguito una opinione pubblica che ogni giorno più si convince dell'inanità di sforzi per mantenere, in un mondo moderno, le tracce di un sistema schiavistico. I delitti non furono altro che la isterica, mentecatta manifestazione di menti deviate, eccitate al parossismo dalla incapacità dei dirigenti locali di interpretare correttamente le tendenze ed i bisogni del mondo in cui vivono, dalla propria inettitudine a confrontare un conflitto civile inevitabilmente perduto, ad adattarsi ad una situazione che, in un tempo più o meno breve, ma certamente non differibile, deve infrangere le conseguenze di un secolo di mancamenti di parola e di miopia. Purtroppo ci pare che l'allarme suonato da quell'efferato delitto non abbia nemmeno mosso sufficiente.mente all'azione le sfere governative. E' evidente che le autorità locali in molti stati del sud degli Stati Uniti sono non soltanto incapaci di ristabilire l'ordine e garantire i più fondamentali diritti per una parte della cittadinanza: è evidene che esse, prigioniere di alleanze e di clientele, non sono nemmeno in grado di prendere l'iniziativa per rincuorare e proteggere quella parte della popolazione bianca che, atterrita delle conseguenze di una situazione avviata al disastro, sarebbe incline a rivedere le proprie posizioni di privilegio in confronto alla minoranza di colore, se non fosse intimidita da un E SPERANZA gruppo di sicari razzisti senza scrupoli: è evidente che esse non sono nemmeno capaci di portare a giudizio persone sospette di aver commesso omicidi a sangue freddo, di creare, colla minaccia di conseguenze penali, una indiretta difesa di chi è perseguitato anzi, col loro atteggiamento, palesemente incoraggiano i facinorosi: colle loro azioni, violano la legge del paese. Finor& la compostezza e l'autocontrollo della minoranze di colore della nazione è stata ammin,vole, anche sotto la più brutale provocazione. Ora la sanguinosa, in• giustificabile violenza dei razzisti ad oltranza sta scuotendo la coscienza di molti cittadini, che hanno cercato di evitare di considerare la serietà della situazione per non inasprire ulteriormente la reazione dei pregiudizi in alcune aree, ed anche per coprire i proprii inespressi, ma non meno radicati, pregiudizi. Sarebbe tempo perchè i dirigenti della politica nazionale prendessero l'iniziativa di presentare di fronte alla opinione pubblica l'urgenza dell'intervento di tutta la nazione negli affari di qualche amministrazione, per evitare che l'inerzia e il malvolere di pochi politicanti dividano irrimediabilmente la nazione in due campi in lotta. Una iniziativa del genere, molto probabilmente, comprometterebbe il successo di una parte del programma legislativo che la amministrazione sostiene. Per garantire questo successo, l'amministrazione ha necessità del sostegno di molti dei legislatori eletti nelle aree più retrive nel campo razziale. Ma ci si può domandare se talora la funzione di un vero statista non debba essere opposta alla tattica di un politicante: se il vero statista non sia quegli che, riconoscendo la importanza fondamentale di principi, prevedendo lo sviluppo a venire delle situazioni attuali, immaginando quali sono le tendenze e le necessità future della sua nazione e dell'umanità, sa opporsi a compromessi inefficienti e sa elettr'zzare l'opinione publica e sostegno di provvedimenti che possono sollevare la inimicizia temporanea di gruppi privilegiati e imbevuti di pregiudizi, destinati però ad essere

spa·zzali dal progresso umano. Ci sì può domandare se il prezzo pagato per un temporaneo successo, a costo del sacrificio di un passo sulla via del progresso umano, della difesa dei diritti e della dignità fondamentale di ogni umano, non sia troppo grave. D'altra parte, anche riconoscendo l'importanza di particolari programmi, non si può diminuire il pericolo imminente in una situazione, che, attraverso alla disperazione, può gettare una importante sezione della comunità nazionale nelle braccia di estremisti, che in effetto stanno organizzandosi con pericolosa rapidità, devoti a una dottrina di intransigenza razziale non meno radicale e violenta dei razzisti bianchi. E' questo un pericolo ingigantito dal probabile smarrimento dei gruppi liberali nel caso di nuovi conflitti più estesi, conseguenti allo aperto scontro fra gruppi che riconoscono nella lotta violenta, volontariamente o involontariamente, per la loro innata ideologia o come reazione alle continue delusioni la soluzione ad una condizione insopportabile o lo sfogo ai proprii bestiali istinti. • • • • Di fronte a questa situazione di tragedia gravante su tutta la nazione, nel settore del riconoscimento dei diritti civili e della basica eguaglianza politica e giuridica di tutti i cittadini, i liberali possono trarre conforto dagli sviluppi recenti nel campo della politica estera. La conclusione del patto fra gli Stati Uniti e la Russia per la sospensione degli esperimenti di esplosioni nucleari nell'atmosfera, negli oceani e in generale negli ambienti ove tali esplosioni danno origine a prodotti nocivi agli organismi viventi è solamente un timido inizio sulla via di una vera distensione nelle relazioni fra le grandi potenze. Non è per certo una garanzia che gli arsenali ora già esistenti di bombe atomiche non saranno n1ai usati; anzi l'amministrazione americana ha sentito la necessità di assicurare critici e dubbiosi che le nostre organizzazioni militari, con le bombe immagazzinate e pronte all'uso, sono in grado di annientare decine di volte tutta l'umanità, e senza dubbio il governo russo non è per ora disposto e distruggere i propri armamenti micidiali. Però la conclusione del patto rompe finalmente una dottrina e una praica di politica estera che durava da oltre tre lustri, basata su un infantile concetto dei rapporti fra potenze e su un moralistico assoluto approccio che entrambi gli esponenti dei due gruppi opposti, gli Stati Uniti e la Russia, hanno perseguito. La conclusione del patto significa che un nuovo spirito sta sviluppandosi, che è giunto il momento in cui i due colossi militari e politici riconoscono che un indirizzo in cui ognuno di essi regola le proprie azioni sulla semplice negazione di ogni proposta avanzata dall'altro è la via aperta al suicidio. Sarà forse prossimo il giorno in cui, assieme alla denuncia delle manovre oblique della Russia, il pubblico americano sarà anche condotto ad esaminare più ragionevolmente le szìoni del proprìo govèrno. Invero l'atteggiamento dei due contendenti verso gli avversari, verso i propri alleati, e verso la grande massa dei paesi che, nella neutralità, scorgono la via alla propria elevazione a nazione moderna e la garanzia alla propria indipendenza, non è stato altro che quello del bravaccio, irresponsabile e immaturo, del ragazzaccio che colla forza impone o tenta di imporre la sua volontà. Un atteggiamento che giustamente, ma troppo in ritardo, James Wadsworth, dalla amministrazione Eisenhower scelto come rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite e in moltissimi convegni internazionali, definl come " the policy of the playground procedure". Cioè un indirizzo in cui il timore di essere giudicato "chicken" è servito a far aumentare la bellicosità, in cui il risentimento di avversari e neutrali per essere disprezzati o accusati senza fondamento, molte volte alterando o nascondendo verità, è stato scontato come non degno di attenzione. Un indirizzo che, da parte nostra, ha fatto tacere o alterare fatti da parte della stampa e degli ambienti responsabili, allo stesso momento in cui si proclama va la perfidia e la violenza russe. Come avvenne per esempio, sulla testimonianza dello stesso Wadsworth, quando l'opinione pubblica americana fu eccitata all'isterismo dalla accusa che la Russia, riprendendo all'improvviso due anni fa gli esperimenti di esplosioni atomiche violasse un patto formale, che sospendeva esperimenti del genere, mentre invece un patto simile non esisteva, per il fatto che gli Stati Uniti, tre anni prima, avevano rifiutato di accedere ad una proposta russa a tale scopo. Un indirizzo che presentò all'opinione pubblica americana un solo aspetto di fatti, una sola interpretazione di patti internazionali. Come avvenne, per esempio, nel caso della Germania, sostenendo un governo ancora impregnato di spirito di rivincita ed inquinato da elementi nazisti, travisando questo compromesso come esecuzione dei patti intercorsi alla caduta di Hitler, negando la ragionevolezza delle diffidenze della Russia. Un indirizzo che, da parte russa, portò ai massacri di Ungheria, alle repressioni ed alle cruente epurazioni in molti dei satelliti, se non pure nel seno della Russia stessa, all'ostruzionismo che minacciò più volte, ed ancora minaccia, la vita dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, alle prove di forza a Berlino per citare soltanto qualche caso. E' probabilmente avventato scorgere nel patto per la cessazione delle esplosioni atomiche atmosferiche e subacquee o nel tono generale di moderazione che caratterizza i rapporti fra i due colossi in questi giorni il preludio alla fine della guerra fredda. L'avvenire può ancora riservare amare sorprese. Però gli ultimi avvenimenti rivelano una volontà da entrambe le parti di chiudere un periodo in cui estrema rigidità ha portato più volte l'umanità all'orlo dell'abisso, in cui la ragionevolezza 4 CONTROCORRENTE - Ottobre 1963

ha lasciato troppo sovente il passo alla ostinazione, in cui ogni proposta avanzata dall'avversario è stata considerata non per i suoi meriti, ma soltanto sospettata come un tranello. Essi sono per lo meno una speranza di un avvenire per l'umanità, in cui il continuo incubo di un imminente pericolo sia allontanato. Davide Jona Mercoledl sera, 23 ottobre, re Umberto ha visitato i locali dell'Azione Cattolica in North $quare. Si era voci!ere.to che avrebbe parlato. E' stato un falso rumore. La sera prima ha avuto luogo una riunione clandestina allo Statler Hotel, Parlor "C". Parlor "C" contiene al massimo 40 persone. Il locale era mezzo vuoto. Era presente l'ex governatore Volpe. Furono distribuiti manifestini di benvenuto al Re, firmati Matteotti Club. Forse ritorneremo sull'argomento. I cafoni presenti allo Statler devono essere ricordati, specialmente quelli decorati dal governo repubblicano italiano. Archivio HANNO ANCORA P URADIBARTOLOME Trentasei anni !à - il 23 agosto 1927 - morivano sulla sedia elettrica del carcere di Boston Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, vittime innocenti di un tragico errore giudiziario. Cogliamo l'occasione dell'anniversario per riprendere la discussione sulla riabilitazione dei due martiri vittime dell'intolleranza. L'avvento alla massima carica degli Stati Uniti del presidente Kennedy in quanto cattolico e in quanto bostoniano aveva aperto il cuore alla speranza per un sollecito atto riparatorio. Due anni sono purtroppo trascorsi, invano. Noi comprendiamo che il presidente americano nel momento in cui faceva il suo ingresso nella Casa Bianca si è trovato a dover affrontare problemi di politica interna e internazionale senza dubbio più impegnativi - non diciamo più Importanti perchè dal punto di vista morale riabilitare due innocenti dovrebbe essere il compito primo di ogni persona NICOLA SACCO che crede nella Giustizia, nella legalità -. Può anche darsi che ragioni a noi oggi Ignote consiglino di rimandare il gesto che tutto il mondo attende oppure che la pressione del Comitato americano per la riabilitazione e dell'opinione pubblica non abbia raggiunto la !orza necessaria. Il comitato americano - a differenza di quello italiano - ha sempre avuto l'appoggio attivo di un gran numero di autorevoli personalità del mondo politico statunitense e di milioni di cittadini, di lavoratori. Questi americani hanno sempre detto e scritto a chiare lettere che la bandiera della giustizia statunitense deve essere lavata della macchia compparsa il giorno in cui Sacco e Vanzetti furono uccisi. Noi abbiamo fiducia che la BARTOLOMEO VANZETTI lotta giusta e tenace di questi uomini onesti e coraggiosi alla fine prevarrà su coloro che vorrebbero seppellire e cancellare il passato in nome di un amor patrio fasullo. Siamo anche confortati In questa nostra certezza dalla battaglia che da un quarto di secolo stà conducendo a Boston la rivista "Controcorrente" diretta dal collega Aldino Felicani che, proprio nell'ultimo numero a noi pervenuto, ripubblica una interessante intervista che lo stesso Felicani aveva avuto nel settembre 1957 un giornalista di 0 Epoca". u Controcorrente" non perde occasione per riproporre all'attenzione dell'opinione pubblica americana la tragedia di Sacco e Vanzetti, per sollecitarne la riabilitazione. "Controcorrente" e il Comitato americano, che se non andiamo errati fa capo al dottor Musmanno giudice della Corte Suprema della Corte di Pennsylvania, sono CONTROCORRENTE- Ottobre 1963 5

i due pilastri sui quali ingrana l'azione riparatrice che presto o tardi dovrà felicemente concludersi. E da noi? In Italia? A Cuneo? Non crediamo di far torto a coloro che da anni dirigono o hanno diretto con ammirevole passione e commossa partecipazione il Comitato Italiano se diciamo che l'organismo è oggi - per cause che sarebbe lungo elencare - ancora troppo debole per imporsi sul piano nazionale e per creare un vero e proprio movimento d'opinione. La responsabilità di questa situazione - che non torna certo a onore della patria dei due martiri e, per quanto ci riguarda, della terra che ha dato i natali a Bartolomeo Vanzetti - va equamente divisa fra tutti noi, democratici e socialisti, base e vertici dei partiti dei lavoratori. Il Comitato italiano è sempre stato lasciato troppo a sè stesso perchè la sua attività potesse fruttificare. Con la rappresentazione del dramma teatrale "Sacco e Vanzetti" a Cuneo si sperava che qualche passo avanti sarebbe stato fatto. Invece la delusione si è aggiunta a tante delusioni precedenti. Il dramma teatrale ha avuto successo, il pubblico si è commosso ma tutto purtroppo è finito li. E' mai possibile che Cuneo - sempre -prima nella lotta al fascismo durante e dopo la guerra di Liberazione - abbia dimenticato il sacrificio di Bartolomeo Vanzetti? C)le da nessuna parte escano dirigenti di buona volontà che si affianchino a coloro che da anni tengono in piedi li comitato italiano per la riabilitazione? D'acordo he noi, per la presenza della policzia del regime, furono assai meno vive le proteste he nel 19Z7 scossero il mondo per ottenere che fosse salvata la vita a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzettl. Ma il passato patrimonio, popolare, il patrimonio della lotta antifascista sono pur sempre intimamente connesse alla vita della nostra popolazione. Si dovrebbe cioè comprendere che come l'uccisione di Sacco e Vanzetti fu un delitto dell'odio, dell'Intolleranza, In ultima analisi del fascismo cosi la battaglia per la riabilitazione dei due martiri è lotta antifascista che dovrebbe impegnare tutti gli antifascisti. C'è bisogno di un impegno cosciente perchè anche in provincia c'è chi ha ancora papura della figura grandissima di Bartolomeo Vanzetti, chi è stato male informato, chi ancora crede che Sacco e Vanzetti anarchici erano due personaggi che propagandavano il loro ideale a suon di bombette e di attentati ai monarchi. Non è questa forse la paura che ancora oggi senti amo ben viva a Villafalletto, il paese dove il martire è nato e dove riposano le sue ceneri? Sotto certi aspetti la situazione anzichè migliorare con la cacciata del fascismo è peggiorata invece. Quando le ceneri di Bartolomeo arrivarono dall'America un vero corteo le segui in mesto pellegrinaggio sino al cimitero. E pure allora c'era la dittatura, c'erano i poliziotti, non ci voleva molto a finire al confino. Oggi a Villafalletto sono pochi a reclamare che la riabilitazione di Bartolomeo cominci di li, dal suo paese. Si prenda il caso della lapide che il Comitato italiano vorrebbe sulla casa del martire e che nessuna autorità del paese, per non parlare di quelle provinciali, ha il coraggio di autorizzare, di firmare la carta che consente di mettere la lapide. E non sempre - si badi - questa paura nasconde la malafede, il livore antisocialista. Spesse volte c'è gente che ragioni male, che decide peggio solo perchè è ancora ferma a vecchi " cliches " che nessuno ha saputo distruggere. Che significato avrebbe la riabilitazione americana di Sacco e Vanzetti se qui, nella provincia di Bartolomeo, sempre presente nei suoi ricordi tino all'ultimo respiro, non avviene la riabilitazione morale tanto importante quanto queJla giudiziaria? Sono considerazioni, le nostre, che non vogliamo imporre a nessuno ma che sottoponiamo all'attenzione di tutti. Perchè ogni persona che ci legge assuma una parte responsabile. RENATO CASTELNUOVO "Lotte Nuove" Cuneo, Agosto 1963 E' difficile comprendere come il sindaco di New York, Wagner e il governatore di New York, Rockefeller, abbiano accettato di onorare l'ex re d'Italia Umberto II, con un banchetto al Waldorf Astoria di New York, il 16 ottobre 1963. I due rappresentanti deJlo stato di New York, non potevano ignorare che Umberto II, era re d'Italia quando Mussolini dichiarò guerra all'America. E non potevano ignorare neanche che Mussolini fu il compare di Hitler e che insieme furono responsabili della più grande carneficina che abbia colpita l'umanità. Essi non possono ignorare che Mussolini fu il mandante negli assassinii di Giacomo Matteotti, dei fratelli Rosselli, di don Minzoni e di altre migliaia di uomini il cui delitto era quello di avere amato la libertà. Il sindaco Wagner e Il governatore Rockefeller si sono seduti a tavola con il complice di un delinquente che desta ancora schifo e ribrezzo. Essi dovrebbero vergognarsi a parlare di democrazia e di libertà. Coloro che hanno banchettato e onorato re Umberto II, di Savoia, hanno dimostrato di non avere a cuore la causa della democrazia. Umberto II di Savoia è stato per lunghi anni complice di Mussolini, e dovrebbe essere riguardato come un delinquente. Stringergli la mano significava far causa comune con un delinquente, manutengolo del fascismo. 6 CONTROCORRENTE- Ottobre 1963

'GENTE 31 - Valachi e la Mafia Da circa un mese assistiamo ad uno spettacolo di esibizionismo che fa venire il mal di stomaco. Il maggiore protagonista, J oseph Valachi, un " informer " confesso membro della Mafia. Questo schifoso spione gongola nella sua delazione quotidiana, Si sente nella sua gloria. Per diversi giorni ha continuato ad informare sulle attività dei suoi ex compagni di delitto e di rappresaglia, e di smercio di stupefacenti e di traffico di narcotici e di prostituzione. . . Questa ininterrotta denunzia dei suoi associati in delitto, messa in scena dal Comitato Senatoriale di Investigazione governativa, ha tenuto incatenata 1attenzione del pubblico sulle rivelazioni incredibili e fantastiche. Lo spettacolo è stato trasmesso attraverso la televisione. E' stato visto da tutta l'America. Lo spione ha fornito una lunga interminabile lista di nuovi nomi di delinquenti italiani che sarebbero parte della tenebrosa associazione, questa volta presentata sotto il nome di "Cosa Nostra". L'Agenzia federale è costituita da veri mafiosi, i quali hanno messo in scena questo spettacolo col quale mirano a raccogliere il plauso del pubblico per il loro zelo nel supplire informazioni e dettagli sulle attività della tenebrosa associazione della Mafia. Ancora una volta si tenta di terrorizzare il pubblico col ripetere episodi noti, rincarando la dose per rendere efficace la diffamazione contro la gente di nazionalità italiana. La recitazione delle circostanze e dei fattacci è stata tale che il pubblico in generale deve pensare che la comunità italiana deve essere ostracizzata perchè tollera l'esistenza di una associazione a delinquere che mina la fondazione dell'ordine sociale. Questa continuata diffamazione contro gli italiani non dovrebbe essere permessa da coloro che sono in posizione di poter controllare le agenzie dello stato attraverso le quali questa indiscriminata diffamazione è resa possibile. Questo continuo martellare sulle attività della Mafia facendola credere un prodotto esclusivamente italiano, non dovrebbe essere permesso. Gli italiani non sono tutti mafiosi. In nome della decenza e del buon senso si dovrebbe provvedere a riparare a questa ingiustizia. La storia della comunità ltaiana che vive in questo paese è nota. Una storia fatta di lavoro duro, di sacrifici e di abnegazione. Essa è tutt'altro che perfetta. Nessun'altra comunità è perfetta. Non è giusto far credere che la comunità italiana sia infestata di tutta la delinquenza che le si vuole attribuire. Nessun'altra comunità è stata oggetto della diffamazione e del discredito come lo sono gli Italiani. Questa maldicenza tendente a dimostrare che gli Italiani sono delinquenti dovrebbe cessare. Sarebbe ora. Gli italiani sono sempre stati disposti - in ogni epoca - di cooperare alla erezione di tutte le grandi cose che l'America ha costruito nel corso degli anni, e l'hanno resa famosa e rispettata. E' ora che l'italiano non sia ritenuto come appartenente ad una razza inferiore. Egli ha guadagnato - con la sua operosità - il diritto di essere trattato con rispetto e dignità. Non crediamo che questo sia chiedere troppo. Non c'è bisogno di essere nazionalisti per risentire questo trattamento che non fa senso e che offende atrocemente, oltraggiando con cinico sadismo un gruppo etnico di milioni di gente operosa alla quale si vuole ostinatamente attribuire l'infame monopolio della criminalità: un marchio che, purtroppo, tocca tutte le razze! a. f. • 32 - Caccia alla patacca La voce del popolo, quella ch'è indice dell'opinione in generale, sussurra che siamo alla vigilia di una nuova Infornata di cavalieri e di commendatori con l'inizio del nuovo regime consolare, quello di Giorgio Carega. Egli è nuovo di Boston, ma sta sudando pià della solita camicia In una corsa che gli sta togliendo Il respiro per accattivarsi le simpatie dei "prominenti". Venire a contatto con questa gente è parte della funzione di un Console, cosi come è parte anche il venire a contatto col " popolino", quello dei bravi e modesti lavoratori, i quali fanno generose rimesse ai loro congiunti in Italia e, qui, comprano il formaggio pecorino, i pomodori impaccati in Italia, · gli olii etc. Abbiamo alluso al pecorino o formaggio romano perchè apprendiamo dalla cronaca di un giornale italiano di Boston che il dottor Carega ne parlò al ricevimento fattogli dai prominenti, con a capo una manata di cavalieri e di aspiranti cavalieri. Si dice che il Console sia in procinto di avallare la cambiale lasciatagli dal suo predecessore prima di andarsene in Francia a mangiare gambe di rospi. Cioè la cambiale coi nomi dei vari candidati alla patacca. Il furbo Trinchieri avrà forse detto e sè stesso: il diluvio venga dopo di me! Non conosciamo il nuovo Console e con tutta probabilità non avremo mai motivi di farne conoscenza diretta, ma apprendiamo dai giornali che egli si schierò coi Partigiani. Dunque, egli non fu coi fascisti. Ne prendiamo atto e perciò lo ammoniamo a non fare qualche passo sbagliato che susciterebbe reazione sfavorevole fra la gente che non va facendo dichiarazioni di patriottismo onde ottenere una crocetta. Sarebbe un peccato per lui, per noi, per la stragrande maggioranza della colonia, se il Console dovesse proporre riconoscimenti ufficiali a certi fascistoni sfacciati della risma di Vinzo Vomito, o di un oleoso annunziatore radiofonico, di spacciatori di biglietti d'imbarco e di altri sicofanti, Incluso qualche sedicente campione del lavoro organizzato. O pseudo "dottori u e "professori ". O " nobiltà" di dubbio stemma. O prezzolati giornalisti, ed in questo gruppo includiamo tanto gli scriba a tanto la pagina che I CONTROCORRENTE - Ottobre 1963 7

" publishers " che vivacchiano con l'altrui penna, le forbici e la colla. Non abbiamo partecipato ai banchetti, ricevimenti e ad altre feste in onore del nuovo Console. Non abbiamo tempo da perdere e danaro da buttar via. Dobbiamo guadagnarci il pane. E la nostra presenza avrebbe fatto alzare la coda a molti prominenti! Però vorremmo che il Console, dati i suoi ottimi precedenti, non si facesse prendere per il naso dagli egoisti ambiziosi che come lupi famelici corrono dovunque egli va, leccando, facendo salamelecchi, battendo le mamni, ma tenendo sempre l'occhio fisso ulla crocetta che ancora non viene. Noi staremo sul campo, con la frusta nelle mani, pronti a sferzarla sulla pieghevole schiena dei lecca-patacche. . . . . (Apprendiamo dalla "Gazzetta" che tra i fascisti alla tavola d'onore, al pranzo dato al Console, erano Ettore Caiola di Boston e Luigi Scala di Providence; altri fascisti erano sparpagliati alle altre tavole.) SOLITARIO • 33 - Drew Pearson corregge Durante il corso della interrogazione dello spione Joseph Valachi da parte del comitato senatoriale, nella colonna di Drew Pearson " Washington - Merry-go-Round " era stato pubblicato, sotto firma di Jack Anderson, che Carlo Tresca era stato ucciso a New York City e che era membro della Mafia. Questo falso ci aveva sorpreso ed indignato. Pensavamo di richiamare l'attensione di Drew Pearson perchè la falsa informazione fosse rettificata. Drew Pearson si è accorto dell'errore ed ha rettificato il giorno dopo, con questa dichiarazione - " Un errore è stato commesso in questa colonna recentemente, asserendo che Carlo Tresca, ucciso da malviventi a New York, faceva parte della Mafia. Carlo Tresca era un liberale di New York, che prese parte attiva nella difesa di Sacco e Vanzetti ". Diamo corso a questa rettifica che chiarisce l'errore. Ringraziamo Drew Pearson per l'atto di lealtà. a. f. • 34-E' vero? Traduciamo da "Rèvolution Proléterienne" di Parigi: Qualche settimana dopo il garrottamento in Madrid dei compagni Granados e Delgado, al momento stesso che stava svolgendosi Io sciopero delle Asturie contro i pseudo Sindacati cosiddetti "verticali", ecco quel che annunciava un dispaccio del1' Agence France-Presse da Madrid e riprodotto da "Le Monde ": " Otto sindacalisti sovietici andranno prossimamente in Spagna per studiarvi il sistema del sindacalismo verticale. Il loro viaggio avrà luogo probabilmente in ottobre o novembre, dopo la firma del trattato, a Mosca, sulla interdizione delle armi nucleari. " Secondo la stessa fonte l'URSS aveva, una dozzina di mesi or sono, suggerito tramite l'UnesCQ l'invio di questi otto sindacalisti. Non sarebbe impossibile, si pensa a Madrid, che otto sindacalisti spagnoli si rechino a loro volta in URSS per studiarvi il sistema sindacale sovietico". Lo diciamo subito: non vogliamo credere a tale informazione. Si son viste molte cose, molti revirements e delle rinnegazioni, ma questo no! Questo ci pare impossibile. Degli accordi fra governi, passi ancora; non ci riguardano. Ma questa in tromissione, in questo momento, dell'antisindncalismo di Franco, questo tentativo di sdoganamento, questo no! L'ignominia sarebbe troppo intollerabile e - speriamolo - non soltanto per noi. Non possiamo perciò fare a meno di chiederci: E' veroY A nostra conoscenza non è giunta ancora alcuna smentita per denunciare tale inaudita notizia come un falso e una provocazione . Non siamo punto rassicurati dalla dichiarazione apparsa su L'Huma,ùtè del 2 Settembre, prendente posizione contro i dirigenti cinesi. Nessuna allusione a questa " informazione franchista". Vi leggiamo soltanto delle frasi generiche di questo tipo: "II popolo spagnolo impegnato in una dura battaglia contro la dittatura franchista sa per esperienza propria che i progressi della coesistenza pacifica, della distenzione internazionale, accentuano la decomposizione del regime di Franco e stimolano in rèvance le forze dell"opposizione che lottano per stabilire una situazione democratica nel nostro paese". Si converrà che qui c'è molta "moderazione". Bisognerà dunque attendere "Ottobre o Novembre", secondo i termini del dispaccio dell' Agence France-Presse, per sapere se un nuovo crimine contro la classe operaia è in via d'essere perpetrato? Ancora una volta: E' vero? Ed ecco la conferma: Si apprende all'ultima ora che un dispaccio da Mosca annuncia in data 9 Settembre: " Un portaparola del seggio dei Sindacati a Mosca ha annunciato oggi che la vista prevista per la prossima settimana d'una Delegazione Sovietica in Spagna è stata prorogata. La Centrale Sindacale spagnola che l'aveva invitata è stata avvisata per cablogramma di questa decisione, dovuta all'impossibilità, per i Delegati, di recarsi attualmente all'estero, causa la preparazione del prossimo CoRgresso dei Sindaca ti Sovietici ". ERA DUNQUE VERO!! • • • • Per parte nostra aggiungiamo soltanto che " pateracchi" del genere dovrebbero choquer non solo i tesserati dei Partiti Comunisti e dei Sindacati annessi del mondo 8 C"'01ITROCORRENTE- Ottobre 1963

intero, ma specialmente tutti quegli anarchici che continuano invece a creder duro come ferro al "sincero antifascismo" del comunismo moscovita e son "simpatica ... mente" disposti ad affiancarlo nella di lui azione contro un regime del quale, al tempo stesso, si studiano invece d'apprenderne e d'imitarne i metodi antiproletarl ed anlilibertari. A quando una buona apertura d'occhi degli anarchici, almeno di quelli "della base"? "L'ICONOCLASTA" • 35 Pagina di Diario I. NOTA - Rovlatando fra vee<:hle carte abbiamo trovato delle pagine di dlarto 1cr1tle meno eecolo ra. Le abbia.mo trovate di un certo lnterease. Ne riproduciamo alcune. Non per ,Il loro vaJore lette• rarlo, ma perche' d:umo pennellate di un ambiente dimenticato, molto cambia.LO. MASSIMO LORIS e' un peeudontmo da me usato per coae acr1tte e pubblicate In alcuni gtomalt dl quel periodo. La. proalma pagina di dlarlo rtprodurra' la. de!:crtzlone fatta da Giuseppe Glacoea. den•ambtente ttallano di New York ("La Piccola. Italia") - a. t. New York, N. Y. 25 Luglio 1914 New York è una città fantastica. I suol grattacieli, il suo porto, ove approdano piroscafi provenienti da ogni angolo della terra, i mezzi di comunicazione e di trasporto, frequenti e rapidi, impressionano anche chi è abituato a vivere nella grande città italiana. L'aspetto fisico della città è brutto. Le ferrovie elevate che serpeggiano nelle Interminabili Avenue dell'East e del West della città sono quanto di più. antiestetico si possa immaginare. Le abitazioni che fiancheggiano le ferrovie elevate sono sporche e non possono essere diversamente. Il traffico continuo, Interminabile, dei treni che si inseguono a breve intervallo, rendono la pulizia esteriore delle case quasi Impossibile. Le ferrovie sotterranee a prima vista sono ancora peggiori. Chi vi scende per la prima volta si sente a disagio per l'aria umida che si respira. La presenza di una folla Immensa che di continuo vi si accalca, In ogni ora, di giorno e di notte, ,fa dissipare li senso di disagio che uno prova nello scendervi. La sensazione che uno prova giungendo a New York dal vecchio mondo è di confusione e di smarrimento. La prima curiosità di un Italiano appena arrivato è di conoscere ove la massa Italiana è concentrata e vive. La prima visita è diretta a Mulberry Street, Elizabeth Street, Mott Street, Spring Street, e le strade popolate da gruppi che provengono da tutte le regioni d'Italia. Sarebbe pretenzione tentarne la descrizione. E' un ambiente mai visto. La sensazione che uno prova è una stretta al cuore. Si sente subito che occorrerà del tempo, molto tempo, per ambientarsi. La tanto decantata e discussa Piccola Italia lascia molto a desiderare. Vivono nella metropoli oltre mezzo milione di italiani. Tutti I quartieri ove gli italiani risiedono si assomigliano. Banche, bancherelle, agenzie di navigazione, negozi di generi alimentari, restauranti, botteghe di ogni genere con insegne che ricordano il paese d'origine di chi le gestisce. Nelle strade sono allineate le carrettelle ove sono esibiti prodotti " importati" e " domestici" di ogni genere. Colpiscono l'occhio la sporcizia e il disordine. Vita gaia nondimeno e continuo ciarlio di gruppi di umanità sempre presenti, sempre in moto, sempre affaccendati, asslllati dal problema dell'esistenza . Ml sono avvicinato ad un crocchio. Sono curioso di sentire dalla viva voce del connazionali che cosa si pensa in questo ambiente veramente nuovo. Dalle osservazioni fugaci e spontanee si deduce che i problemi che assillano I proletari sono gli stessi di quelli che abbiamo lasciato dietro di noi, in Italia. Il problema della vita non è diverso qui. V'è disoccupazione. Prede>- mina l'incertezza. C'è in preparazione una " festa " con processione e fuochi artificiali. La gente è eccitata per l'evento. Lo zelo patriottico e paesano, è evidente. La " festa " è una riminiscenza viva del paese d'origine. E' una maniera per tener vivo il pregiudizio e il costume del paese. L'occasione della festività dà all'ambiente un aspetto allegro. Sono frequenti I negozi ove sono in mostra I giornali Italiani. Ne noto I titoli. "Il Progresso Italo-Americano", " Il Giornale Italiano", "Il Telegra[o ", " Il Bollettino della Sera ". Le prime pagine sono affollate di titoli cubitali. Se si deve giudicare dai titoli New York è Infestata dalla malavita. Lascio le altre impressioni nella penna. Non mancherà occasione di ripararne. MASSIMO LORIS • 36 - Lasagnone Da comunicati pubblicati dalla stampa coloniale e trasmessi anche direttamente da un'agenzia giornalistica di Roma, apprendiamo che vari politicanti e arrivisti si contendono l'onore di ricevere a Boston l'ultimo rampollo coronato, ed ora spodestato, della rapace casa sabauda, il Lasagnone, cioè Umberto II, cretino ex re, il quale pesò gravemente sull'erario italiano e, con le sue azioni insulse, sulla coscienza della flagellata nazione. Zimbello di Mussolini, al cui fianco si disse orgoglioso di combattere (ma si guardò dal partecipare personalmente alla più lieve battaglia nella disastrosa guerra scatenata dal trovo duce e dal matto sanguinario di Berlino), Il re cretino ed emulo del suo bisnonno in liete avventure, ha già visitato New York, ricevuto dal Cardinale Spellrnan e, dicono I giornali, da altre personalità. Lasagnone, accompagnato da vari blasonati I quali sognano il restauro della bacata monarchia, si ripromette di visitare Filadelfia, Boston. Che cosa vuole questo ex reuccio? I CO· municatl dicono che si tratta di un viaggio CONTROCORRENTE -Ottobre 1963 9

di studio e di istruzione per prendere contatto e visitare le principali istituzioni culturali, accademie, musei etc., e incontrerà numerosi amici, specialmente italiani residenti all'estero. La storiella dei contatti culturali ci fa ridere. Quando mai Lasagnone si è occupato o preoccupato di questioni culturali, in Italia o finanche nel Portogallo ove si sta godendo l'esilio spendendo allegramente i milioni di lire trafugati dalla Penisola che si dibatteva nella miseria. In quanto agli italiani residenti in America, ma la grande massa che lavora e suda, s'impipa di questo traballante ex re che ebbe la fortuna di sfuggire alla sorte toccata al nonno, quel fannullone Umberto di cui porta il nome. Siamo certi che politicanti, cafoni arricchiti, pacchiane che vogliono passare per signore di una buffa "aristocrazia" coloniale, suderanno le fetide ascelle nella ressa per giungere ai piedi del monarca spodestato. Altri non vi saranno. Che cosa sa questo Lasagnone spelato delle sofferenze, dei sacrifizi delle turbe italiane che lasciarono la patria, assillate dal bisogno o assetate di libertà? Come potrebbe saperne qualche cosa, di questa gente nostra, qui, questo Bertuccio che non si curò mai di conoscere la miseria che regnava in Italia e si associò pienamente al brigantaggio economico, politico e morale del fascismo? Bisognerebbe fischiare o accogliere con pernacchio napoletano questo bighellone che ha a sfrontatezza di parlare agli italiani d'America! FANTASMA • 37 - "The Advocate" Un nuovo dramma "The Advocate ", basato sul caso Sacco e Vanzetti, ha avuto la sua premiere in Broadway, all'ANTA Teatre, Lunedl 14 Ottobre, 1963. Un pubblico di 1214 persone ha assistito alla rappresentazione. Mentre il dramma era prodotto sul palcoscenico regolare, il lavoro è stato trasmesso dalla Westinghouse e da quattro altre stazioni televisive con una udienza di sette milioni e mezzo, sparsa nelle zone di Boston, Baltimore, Cleveland, Pittsburgh e San Francisco. Il dramma, venuto di sorpresa, non poteva avere un responso più entusiasta. L'America proletaria si è commossa ancora di fronte alla interpretazione della tragedia che costò la vita a Sacco e Vanzettl. Il pubblico che ha visto la produzione si è commosso ancora e parla, manifestando il sentimento intimo di condanna contro la conclusione di quella tragedia. Quello che colpisce è che quarantatre anni dopo l'arresto di Sacco e Vanzetti, si continui a parlare di loro e del loro sacrificio in preda a commozione sempre viva. La pubblicità data dalla stampa a questo evento è stata veramente straordinaria. Noi potremmo dilungarci in commenti che trasporterebbero il nostro sentimento chissà dove. Ci limitiamo invece a registrare l'evento veramente straordinario. Avremo modo di discutere ancora il caso Sacco e Vanzetti e la crudeltà delle autorità responsabili della tragedia. Per ora vogliamo conservare fra i nostri documenti anche i nomi di coloro che hanno partecipato a rendere questo evento, che ricorda i nostri amici, memorabile. THE ADVOCATE - dramma in the atti di Robert Noah, presentato Lunedl, 14 Ottobre 1963 al Teatro ANTA, Broadway, New York, N. Y. Simultaneamente trasmesso per televisione dalla Westinghouse, !ne. Diretto da Howard De Silva e prodotto da Michael Ellis and Wi!liam Hammerstein. Diretto per la elevisione da Mare Daniels e prodotto da Jack Keuney. PERSONAGGI: Warren Curtis James Daley Rose Sacco ................. . Tresa Hughes Yanzetti ...................... Dino Fazio Bertelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paul Stevens Judge Ballantine .......... Joseph Warren The Governor ............ Barnard Hughes Captain Riordan ........... John Crowley Nicola Sacco . . . . . . . . . . . . . . . . Dolph Sweet Arthur Burns ........... . John Cecil Holm Tom Stark . . . . . . . . . . . . . . Allen Nourse Ed Hughes . . . . . . . . . . . . . . . . Martin Brooks • 38 - Spiegazione Questa volta ho voluto dare alla rubrica "g e n te" un aspetto diverso. Consiste in una discussione di soggetti vari, commentati da diverse persone. Personalmente questo trattameno mi piace. Voglio sperare che piaccia anhe ai nostri lettori. Se la reazione del lettore sarà favorevole. continueremo cosi. Aggiungerò che la collaborazione attiva del lettore sarà apprezzatissima. Servirà da stimolo per discussioni su soggetti vitali e di attualità. Negli ultimi anni si è persa l'abitudine di discutere. Ripigliamola. Sarà una cosa piacevole e educativa per tutti. Matita Rossa CONTROCORRENTE vuole essere letta. E' necessario l'aiuto di coloro che la ritengono efficace. La rivista ,e• una Iniziativa volontaria. Le spese di CONTROCORRENTE sono due - quelle di stampa e quelle di spedizione. Tutto Il resto e' lavoro volontario, fatto di fede. La nostra sola fede non e' sufficiente. Occorre altro per far vivere una rivista di battaglia che tira frecciate In ogni direzione. Se ogni abbonato si Impegnasse di farne un altro, Il nostro problema sal"lebbe risolto. Cl metterebbe In condizioni di intensificare le frustate. Lettore, coopera ln quest'opera di epurazione sociale. 10 CONTROCORRENTE - Ottobre 1963

Quaderno Proletario GARIBALDI Il Cavaliere dell'Umanità, più che un eroe della guerra, meglio di un soldato dell'indipendenza italiana, fu un apostolo delle rivendicazioni sociali. Garibaldi accorreva sempre laddove c'era una buona causa da rivendicare, degli oppressi da difendere. Egli odiava l'Austria perchè il bastone che percuoteva il popolo era austriaco. Nella lontana America fu chiamato "pirata" perchè vendicava le vittime delle barbariche imprese dei tirannelli infami e crudeli. E Carlo Alberto che lo seppe combattente audace e cospiratore arditissimo, lo fece chiamare " sciabolatore" e gli preparò la fucilazione nella schiena quale volgarissimo malfattore. Son questi proprio i titoli di benemerenza che l'audacia garibaldina guadagnava più che sui campi di battaglia, nella guerriglia di strada, sui patiboli ove conducevano tanti martiri le sfortuna te cospirazioni carbonare. La divisa rossa era il fuoco vivissimo di una fede sentita, l'audacia senza fine, il più bel coraggio indomito. Si dissero tante leggende sulla fede di Garibaldi. Chi lo chiamò monarchico, chi repubblicano, chi militarista, chi rivoluzionario, chi ateo, chi religioso. La verità è che Garibaldi aveva fatto suo il motto mazzm,ano: "Pensiero e Azione". Ma il pensiero non era per lui la filosofia dei saccenti o la retorica degli esaltati. Nè l'azione si contraffaceva nel gioco speculativo di un fine egoista, dominatore, personale. Ed attraverso le mille sue imprese, una è rimasta gloriosa ed imperitura: quella che era dominata dal potente grido di rivolta e di audacia: Roma o morte! e di cui furono tappe gloriose la resa di Fantina e la ritirata a Passo Corese. Ma Roma non era per Garibaldi il soglio presuntuoso e chimerico di fantasticherie imperialistiche. No! Egli voleva sottratta Roma al governo teocratico, non per farne centro di dinastia, ma per crearne città di liberi. Nella sua mente di apostolo gagliardo di quella grande Rivoluzione Umana che andava gradatamente formandosi nel ciclo storico italiano, aveva il Grande di Caprera esaminato le fasi delle dominazioni precedenti: la Roma dei re, la Roma degli Imperatori, la Roma dei papi. Onde alla triplice Roma dell'oppressione, della superstizione e della tirannide, voleva sostituire la nuova epoca dei liberi, che si compendiava nella Roma del popolo, come quella brutalmente soffocata e soppressa nel 1849 dalle sciabole e dai cannoni di Oudinot, il sicario al soldo dell'avventuriero napoleonico, del Giuda repubblicano. N'è prova l'audace tentativo che fu coronato ad Aspromonte dai fucili regi italiani ed a Mentana dai " chassepots" francesi. GIUSEPPE GARIBALDI Egli aveva donato un reame a Vittorio Emanuele, ma sol perchè Napoli e Sicilia non davano la garanzia di continuare la gloriosa epopea leggendaria dei Mille di Marsala. Garibaldi non vide il suo sogno compiuto, perchè l'Italia che passò a Roma per la storica breccia, non era quella che aveva vestito la camicia rossa: obbed:ente nel Trentino, ribelle e vindice nella dura impresa di Roma, olocausta a Digione, povera nella modestia dei suoi militi, non insuperbita dalle cento leggendarie apoteosi. Da Porta Pia entrarono i profittatori, gli avventurieri che sono il carico di ogni esercito, tutti i millantatori ed i frodatori delle imprese politiche. I garibaldini videro esule il loro Duce e dimenticarono nella pace del lavoro e della miseria la ingratitudine dell'Italia ufficiale che invece di conquistarsi l'indipendenza in nome della audacia garibaldina - sintomo di santità di pensiero e libertà di spirito - aveva sottomesso alla regia Casa di Savoia tutto un popolo che si era redento assai più che sui campi di battaglia, nel fuoco delle cospirazioni cruente, negli ergastoli di cui aveva popolato i suoi figli, nel sacrificio quotidiano di sè stesso per il trionfo di una Idea di libertà e di giustizia per cui l'Italia doveva scrivere con questa ed a caratteri indelebili nelle tavole del suo libero reggimento. La camicia rossa divenne poi paurosa sobillatrice di più ardite concezioni per la CONTROCORRENTE - Ottobre 1963 11

Monarchia che aveva mal ringoiato la sentenza capitale di Genova contro Mazzini e Garibaldi, anche il governo regio lasciava nell'oblio ogni tradizione garibaldina ed a pochi anni dal 20 settembre 1870 fornicava col Papato al quale non soltanto esso donava guarentigie spirituali e temporali, si che gli restituiva emblema di sovranità e di potenza, ma gli legava l'anima della nazione aggravando con i fatti più evidenti il legame ingiusto che donava al popolo una fede coatta, che stabiliva al prete funzioni statali di dominio, che al carro della Chiesa legava l'infausta politica delle classi dirigenti asserventi le masse ed asservite esse stesse al giogo sacerdotale. Si dirà: a che pro" queste ripetizioni storiche? Non è forse esaurito con la morte di Lui il ciclo storico dell'epopea di Garibaldi e dei garibaldini? Eppure non è così. Il garibaldinismo appartiene più che al passato all"avvenire. Non muore un Ideale insieme al corpo fragile e caduco di chi lo visse, specie quando di sacrificfo e di gloria è materiata tutta la storia dell'audacia garibaldina. Garibaldi, a tanti anni di distanza dalla sua vita e dalla sua morte, molte cose può insegnarci. E tra tante, le sublimità del sacrificio, la santità dell'Ideale, le supreme bellezze della fede, gli eroismi dell'azione. La camicia rossa ha una tradizione insopprimibile. Provate pur oggi a vestire cento, mille uomini con la camicia rossa, e voi sentirete già un fremito d'attorno; e mentre per essa i popoli avranno di nuovo palpiti ed entusiasmi, ecco i governi tremare e fabbricare violenti propositi di reazione per spegnere il rinnovato focolaio di rivolta. Io credo che la missione storica della camicia rossa, ch'è la manifestazione più palpi tante dell'audacia garibaldina, non debba terminare mai. Onde appena la Grecia ha fieri sussulti sotto l'impeto della formidabile strozza turchesca, tra le camicie rosse che correranno a difendere la libertà del popolo - non quella del trono - nell'Ellade fino a Domokos, c'è anche Amilcare Cipriani, Giuseppe Ciancabilla, Antonio Fratti. I tre interpreti: del socialismo internazionale, dell'anarchismo rivoluzionario, della repubblica del popolo. E nel fosco periodo odierno, in cui dei tristi capitani di ventura hanno osato imitare la tradizione garibaldina sporcando di nero la loro camicia non pulita, e facendo ministra di male e di capestro una divisa resa sempre ingloriosa dalle sue imprese assassine, non devesi dimenticare che l'epilogo di questa mala ventura italiana, non può essere che una riscossa aiutata dall'impeto di audaci che non badando al pericolo ed al sacrificio, si associno in uno sforzo supremo di liberazione. Io non so se c'è già chi tesse nel segreto il panno scarlatto delle camicie garibaldine, nè se Garibaldi si chiami Colui che nel nome dell'Italia libera suscita già entusiasmi e fremiti nella gioventù italiana. Se ciò fosse poi avremmo contati al fascismo i suoi giorni. Perchè la congiura garibaldina ha una tradizione cosi meravigliosa che, ripeto, trascina le folle in entusiasmi indescrivibili. Può vantarsi il fascismo di aver conquistato una gioventù vestendola della nera assisa simile a quella del prete e del becchino. E' una realtà che noi non gli contestiamo, ma il fascismo crede forse che i giovani sian tutti, proprio tutti, fregiati del teschio e del littorio? Codesta è la gioventù decrepita che si sollazza in turpi imprese e non cerca la gloria nel sacrificio. Se invece domani si batterà la diana in nome della Camicia Rossa, noi vedremmo le sane generazioni degli operai e {!Ontadini, giovani nell'anima e nel sangue, accorrere ad inscriversi nelle sacre ed ardimentose Legioni del Popolo. Perchè, fino a che tutte le Nazioni non si saranno redente, l'internazionalismo sarà solo una vaga aspirazione. Giusto, legittimo, ma pur sempre dell'idealismo astratto. E poichè di italiani e per gli italiani sarà lo sforzo di libertà, noi formuliamo l'ipotesi positiva di una Rivoluzione Sociale italiana. E cosi posto il problema, la Rivoluzione che si compierà qui non può avere che una sola pausa transitoria di compimento. Ed è Roma. Una rivoluzione italiana che non avesse Roma per mèta e punto d'arrivo rischierebbe di marciare infinitamente senza un punto d'appoggio, senza una mèta definita. Ciò sapeva bene Garibaldi, quando come il Catone del " Delenda Chartago" rispondeva alle chiacchiere della diplomazia ed alle vane fatiche dei Congressi plenipotenziari, con il potente grido di redenzione: "Roma o morte! " Ed era Il che egli chiamava a convegno gli assertori della libertà italiana. SI! Perchè è a Roma il centro dello Stato, è a Roma che oggi deve condursi il popolo che vuole riconquistare gli elementi della sua vita libera e felice. Onde ben a proposito ,per le legioni garibaldine c'era una mèta sola, in ogni ardimento, in ogni proposito, per le legioni garibaldine c"era morte! Ma la morte non negli agguati di strada e nelle scorribande punitive, come nella recente parodia di una marcia che di Roma non aveva bisogno che per soddisfare la sete di potere, e che la morte dava ad altri per impresa di violenza sanguinaria e prepotente. I garibaldini morivano da generosi sul campo della gloria e lasciavano brandelli della loro carne sui patiboli piuttosto che servire cause ignominiose. Io sono convinto, ripeto, che al grido possente di "Roma o morte!" che riecheggerà in questa Italia oppressa, chiunque avrà la fede di indossare la camicia rossa, troverà moltitudini che risponderanno all'eco generosa, con palpiti di entusiasmo e fremiti di libertà. Io penso che allora da ogni borgata, da ogni città, dai campi, dai monti, dalle valli, imperioso e forte si ripeterà il grido di libertà delle camicie rosse e la 12 CONTROCORRENTE-Ottobre 1963

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