Controcorrente - anno XX - n. 37 - lug.-ago. 1963

Tutto ciò, nelle grandi città industriali per lo meno, indica un elevamento economico di vasti strati. E questo non può essere salutato che con sollievo. • • • • Per contro però non si può dire che il benessere economico sia veramente esteso a tutta la popolazione italiana nelle stesse proporzioni. Anzi, esistono sacche di miseria, in molti casi veramente disperata. Prima di tutto in generale l'agricolura è in crisi o in uno stato molto prossimo alla crisi. Salvo che nella pianura padana, dove da molto tempo esistono estese tenute coltivate con concetti moderni, i principi su cui si basa l'economia dei coltivatori italiani non si adattano che con estrema difficoltà ai sistemi di agricoltura industrializzata. La struttura fisica stessa dell'Italia, montuosa o collinosa, non rende facile la introduzione di mezzi di coltura meccanici. Di più il piccolo e medio coltivatore, non avendo mezzi finanziari adeguati, non può molte volte investire capitali in nuove macchine: se anche talora lo fa, i mezzi che egli acquista sono molto leggeri, primitivi ben lontani dalle possenti macchine agricole impiegate nei complessi agricoliindustriali americani. Tradizionalmente la piccola proprietà agricola, specialmente nelle zone dell'Italia settentrionale e centrale, dove essa era stata più efficace, è ancora legata ai vecchi concetti, per cui i bisogni della famiglia del coltivatore hanno importanza principale: cioè la preoccupazione principale dell'agricoltore è troppo sovente quella di provvedere un po' di grano per il pane, un po' di granturco per la polenta e per il mangime dei polli e del bestiame, un po' di vino, di allevare un maiale o due, unica o quasi unica sorgente di carne per la famiglia, di usare un paio di magre mucche per il latte e per il lavoro dei campi. Per di più troppo sovente le proprietà sono frazionate in appezzamenti lontani fra di loro, cosa necessaria per il diverso scopo a cui essi sono dedicati. In conseguenza l'uso del lavoro umano nelle campagne è in generale di basso rendimento, e la concorrenza dei prodotti di altri paesi, ottenuti con mezzi più razionali ed efficaci è insostenibile. In generale a tutto questo si aggiunge la scarsa capacità economica del coltivatore, che deve cedere i suoi p·rodotti a intermediari appena essi sono raccolti, e non quando egli potrebbe ottenere dal mercato il prezzo migliore. Nell'Italia del Sud la sorte dell'agricoltore è rimasta press'a poco stazionaria. ~ meglio, da quando la limitazione aUa emigrazione in America divenne effettiva quarant'anni fa, una situazione ogni anno immiserita dal naturale aumento della popolazione. Il bracciantato agricolo meridionale, con un prospetto di poche decine di giornate di lavoro rimunerato all'anno, è ancora la regola. Si è tentato di rimediare a questa situazione organizzando i ~oltivatori in ~orma cooperativa. Ma, a mia conoscenza, 1n un solo caso il tentativo ebbe successo. In una zona del Piemonte settentrionale, ove la situazione era divenuta tanto disperata che i contadini, oberati di debiti, realizzavano che era prossima la loro espropr_iazione, in una zona di falso piano e di colhna, hanno ceduto davanti al prospetto di un nerissimo futuro hanno messo da parte i sospetti e le ani~osità che nelle comunità agricole, sorgono quasi naturalmente fra i var_i n_iembri, e si sono collegati, mettendo rn~iem~ le proprie risorse, usando in comune _ivan appezzamenti per una migliore, ra~ional_e coltivazione riducendo ad una frazione il numero di braccia occorrenti, liberando un buon numero di giovani dai lavori della campagna per allenarli in attività industriali con profitto economico di ogni famiglia, mettendosi in grado di impiegare mezzi scientifici di coltura e di allevamento, e ai aumentare la capacità di controllare il mercato, eliminando agenti ed intermediari. Per contro, bisogna riconoscerlo, questo successo fu dovuto essenzialmente ad un fattore esterno, artificiale in un senso, praticamente non ripetibile. Cioè all'intervento finanziario e missionario di un finanziatore che sostenne il tentativo per gli anni più difficili, con un impegno non scevro da testardaggine, per fare del caso un esempio. Per altro però il rifiorire di una zona, che pareva avviata al disastro economico può indicare quali soluzioni potrebbero essere realizzate da un intervento sociale ben diretto. • • • • L'immiserimento delle campagne italiane, in certi casi soltanto relativo all'industria, ma in molti altri assoluto, ha provocato una intensa emigrazione verso le città. Naturalmente le grandi città industriali e commerciali, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze e il grandissimo centro amministrativo e burocratico, Roma, sono lo scopo immediato e più attraente per questa emigrazione. Quando gli emigranti provengono da regioni circostanti, la comunanza del dialetto, di costumi, una certa preparazione psicologica e tecnica alla nuova vita, acquisita anche solamente attraverso a contatti personali, rendono il passaggio alla nuova vita meno difficile. Ma quando, come avviene, ogni giorno i treni dal sud sbarcano centinaia di famiglie, cacciate dalla miseria, attirate dal miraggio di facili guadagni, in un ambiente più che diverso dal loro abituale, ma veramente ostile, il problema diventa molto serio. E l'ambiente, anche quello operaio industriale è senza dubbio nemico. Esso sa che i nuovi immigranti, capaci soltanto a manovrare una zappa o un piccone, senza risorse economiche, piombati in un ambiente che non può offrire applicazione alle loro capacità, divengono in breve gli elementi fra cui gli industriali arruolano sovente gli "strike breakers ", ed in oi;ni caso una mano d'opera a condizioni di fame. I costumi tradizionali del bracciantato meridionale, i concetti di onore personale e di necessità di vendetta tramandata per generazioni, la posizione della donna, o schiava o prostituta, costituiscono un 4 CONTROCORRENTE - Agosto 1963

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