Controcorrente - anno XIX - n. 36 - mag.-giu. 1963

GENTE 24. - Consenso Un compagno di Long Island, N. Y. che si firma "La Vedetta" scrive: "plaudo alla nuova rubrica "g e n te". Si legge di un fiato. Tratta soggetti che il lettore alla buona segue con interesse. Sono discussi col linguaggio usato nella strada. Senza sfoggio di saccenteria filosofica. Sopratutto si discutono azioni e attività di uomini che noi conosciamo. Si ricordano le loro attività dei giorni quando il " sole si levava da Roma". Da quando IL MARTELLO ha cessato le pubblicazioni, CONTROCORRENTE ne ha ripreso il posto. Tresca usava lo stesso metodo per stanare gli sporcaccioni dalle fogne ove si nascondevano. Le campagne di Tresca contro i patriaioli del "Progresso", del "Corriere d'America" e degli altri giornali minori, non saranno dimenticate. Neanche quelle di CONTROCORRENTE. Quando giunge la nuova copia della rivista si respira. CONTROCORRENTE riporta alla mente l'aggressività di Tresca. Gli altri giornali si vedono volentieri, anche. Ma non è la stessa cosa. I vostri continui attacchi contro i sopravvissuti della delinquenza fascista rinfrescano la memoria sugli attentati alla vita di Tresca e alla sua soppressione. Non so comprendere perchè le grandi organizzazioni che avevano in Tresca un esponente coraggioso e battagliero, non sostengano finanziariamente la rivista di Boston ... Perdonate se ho voluto dire la mia, ma certe cose dovrebbero essere dette con più frequenza. Continuate la rubrica " g e n te" e non risparmiate le scu~ <lisciate contro la prominentaglia ... I canaglioni sono ancora in giro e non devono essere dimenticati. I lettori alla buona come me vi seguiranno e faranno il loro dovere. Ad multos annos ... ". - Siamo grati a " La Vedetta" per l'esortazione a continuare. Questa è la nostra determinazione. Tireremo sassate fino a tanto vi sarà traccia di talpe fasciste nelle chiaviche. • 25. Un "Giornalista" Un quadro di altri tempi. Nel 1914 la colonia italiana di New York aveva cinque giornali quotidiani - "Il Progresso" "Il Giornale Italiano", "Il Telegrafo", "Il Bollettino della Sera". Allora l'emigrazione era libera. La gente andava e veniva. Ogni vapore che giungeva dall'Europa vomitava a New York !rotti di umanità che aveva bisogno di respiro e di pane. Tutti i giornali erano letti. Vivacchiavano. Come riuscivano a .tenersi In piedi era un mistero. In quei giorni i "banchisti" italiani si trovavano in ogni angolo di strada. Le Insegne multicolori delle "bancherelle" aggiungevano gaiezza alla pulsante vita della Piccola Italia. Non ci voleva molto a concludere che i giornali italiani vivevano di espedienti. In un giornale coloniale di New York del 1914, ho trovato uno schizzo di Giovanni Vicario, proprietario-direttore de "Il Telegrafo". Leggendolo a distanza di tanti ahni, si comprendono molte cose. Dà un'idea dell"ambiente. Vicario era " uno" dei giornalisti. Gli altri non erano diversi da lui, Vicario non era una eccezione. Egli impersonava il "giornalismo" di quei giorni. Quello era il "costwne" di una fase della vita coloniale. Ecco lo schizzo, intitolato "VICARIO IL PRUDENTE": Per chi non lo sapesse Giovanni Vicario usa il suo nome di nascita quando scrive. Ce ne consoliamo. I maligni dicono che egli scrive con le penne dei suoi scribivendoli, e che il suo nome di nascita l'usa quando gli fa comodo. Ma io non bado ai maligni. Tiro dritto. Giovanni Vicario scrive latino e italiano. Chissà perchè? I maligni aggiungono che il latino - e che latino - gli serve per le antifone che vogliono significare " o pagate le pezze o canto", e l'italiano per cantar corna di coloro che non hanno voluto pagare. Son sempre i maligni, e .Uro diritto. Ma non sempre posso fare il sordo. Alle volte i maligni sono cosi insistenti che debbo pure accordare loro una qualche considerazione. Io penso: sbaglia oggi, sbaglia domani, una volta tanto questi maligni debbono pure averla un po' di ragione. Per esempio, essi mi mettono oggi sott'occhio un monito che il giornale di Vicario pubblica contro un certo can barbone dei paraggi del parco di Mulberry; e dove dice: "Lo vorremmo vedere allo sportello e restituire tutto in una volta, tutto il denaro che non è suo". Tante cose mi gridano i maligni, e nonostante il mio ottimismo mi sento perplesso. Metto una fila di puntini reticenti ... poi mi pare che nel tutto si debba riassumere il significato dell'articolo. Nel quale, Giovanni Vicario dice: "Io che scrivo col mio nome di battesimo e che da ventun'anni sono nel giornalismo coloniale ho il diritto e forse il dovere di scrivere il nome di tutti: a nome, dico, di questa stampa coloniale, che ogni male intenzionato può offendere, animato solo dal desiderio di farsi della pubblicità morbosa". Ah! qui m'inalbero. Questo non lo permetto al signor Vicario. Non basta scrivere col proprio nome di battesimo ed essere da ventuno anni nel giornalismo coloniale per parlare a nome di tutta la stampa. C'è stampa e stampa, signor Vicario. C'è stampa onesta, e stampa disonesta. C'è stampa che vive del proletariato e per il proletariato, e stampa che vive di ricatti e contro il proletariato. Voi prima di parlare a nome di tutta la stampa coloniale dovete dirci a quale stampa appartenete e non bastano quattro chiacchiere di auto-apologia per presentarvi ed essere accettato. Prima di ogni cosa dovete mostrarci la fedina 22 CONTROCORRENTE - Giugno 1963

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