Controcorrente - anno XIX - n. 35 - mar.-apr. 1963

L'Ultimodei monarchici: ALBERTO BERGAMINI Si è spento a Roma, il 23 dicembre, Alberto Bcrgamini, l'ultimo della vecchia schiera dei n1onarchici conservatori. Fu uno dei pochi che, tra il mutare di eventi e di sistemi, si siano conservati fedeli lino all'ultimo alla Dinastia dei Savoia ed allo spirito e alla lettera della Costituzione Albertina, come intesero e vollero applicarla Salandra, Sonnino, Ber.tolini allorchè ebbero attività politica di governo. Da parte sua non vi furono cedimenti nè pentimenti, nè prima nè dopo, con la Repubblica. La sua fedeltà alla Dinastia non si smenti mai. E nessuna concessione egli intese mai fare alla Democrazia ei ai suoi istituti, nonostante che i democratici degli ultimi tempi gli fossero stati larghi di omaggi, di riconoscimenti e, qualche anno addietro, Io chiamassero a ricoprire la più alta carica rappresentativa della libera stampa italiana. Del resto, potrebbe forse ritenersi davvero che, dalla caduta del fascismo ad oggi, la stampa sia riuscita ad essere veramente libera, così come, nonostante tutto, era riuscito ad esserlo prima che il fascismo si impadronisse del potere? Vogliamo rendere, anche da parte nostra, onore alla intransigenza ed alla dirittura politica di quest'uomo che, a differenza di tanti altri, ha tenuto a non smentirsi e a non rinnegarsi mai: e rimase sempre fedele al suo passato, alla sua concezione politica di conservatore rigido, intransigente e, allo stesso tempo, abbastanza illuminato come lo furono gli uomini dei quali aveva seguilo le idee e l'insegnamento, i quali sapevano cosa volere e dove arrivare, pronti 1nagari a togliere di mezzo gli avversari appena Io ritenessero necessario per i loro fini politici, ma anche riguardosi, Jinchè non recavano disturbo, per le loro qualità personali di pensiero e di coltura, e aperti comunque ai dibattili. Conservatori di questo tipo non se ne trovano più! Giolittiano, Alberto Bergamini non lo fu mai.: non perché la politica di Giolitti fosse meno conservatrice e più democratica - come tanti oggi pretendono, da Salvatorelli a Togliatti - ma pcrchè non la riteneva conseguente ed adatta, come lo sarebbe stata invece quella voluta da Sonnino e Salandra, alla stabilità e alla continuità della istituzione monarchica. Come, infatti, non lo fu. La Democrazia non gli piaceva; ancor meno gli piaceva il conservatorismo ammantalo da liberalismo democratico. Vero è però che attualmente il concetto di democrazia si è fallo tanto confuso ed equivoco ed è in tal maniera inteso ed interpretato da coloro che dicono di rappresentarla nelle posizioni che occupano nello Stato, cosi che si è potuto vedere come, per rendere onore alla memoria di Bergamini dopo la sua scomparsa, gli siano stati attribuiti, in due Alti Messaggi di condoglianze alla famiglia, qualifiche e meriti che non gli appartengono e che egli, se avesse potuto udirli, avrebbe sdegnosamente rifiutato. Abbiamo, infatti, potuto leggere come il Presidente della Repubblica vivamente si sia rammaricato per la scomparsa dello "impavido cultore degli ideali di libertà e di democrazia" ( ?) e, ancora più, nel particolare e accorato messaggio del Presidente della Camera, apprendere che la memoria dello scomparso "è legata alla storia del giornalismo italiano e alle battuglie più corc,ggiose per lu democrazia e la libertà". Ebbene dobbiamo pure dire che la memoria di Alberto Bergamini è, senza alcun dubbio, legata alla storia del giornalismo italiano. Basterebbe per questo il !atto che egli diede vita, e lo continuò fino al 1926, al "Giornale d'Italia" sotto la ispirazione e la guida politica di Sonnino, e che, se non politicamente, culturalmente rappresentò nel giornalismo un fatto molto importante, chiunque sia oggi a continuare nello stesso giornale il titolo e l'indirizzo politico. Quanto, però, alle "battaglie più coraggiose per la democrazia e per la libertà della stampa", dobbiamo, per diretta conoscenza dei !atti, !are le riserve più ampie e recise. Escludiamo, ad ogni modo, che Bergamini abbia combattuto in qualche modo per difendere la libertà di stampa nel momento in cui q ucsla ebbe maggiore bisogno di essere tutelala e difesa. La verità è ben diversa: cd è che lino a che il fascismo ebbe il favore e l'approvazione di Salandra ebbe puurc il consenso e l'appoggio da ,parte di Bergamini e del "Giornale d'Italia" da lui diretto. E se è vero che - come venne ricordalo - nel 1924 egli si trovava, insieme ad altri fautori del regime, alla Presidenza dell'Associazione della Stampa Periodica italiana (così si chiamava allora quella di Roma) ci corre pure l'obbligo di ricordare come nel 1925, allorchè i provvedimenti restrittivi della libertà di stampa incominciarono ad essere rigorosamente applicali, la Presidenza tenuta dal Bcrgamini venne dall'assemblea dei giornalisti rovesciata e sostituita con un'altra Presidenza ed un Consiglio direttivo, del quale chi scrive queste righe, fu pure egli chiamalo a farne parte. Fu solo quando il fascismo non risparmiò nemmeno il "Giornale d'Italia" che Bergamin, cessò, come aveva già fatto Salandra, di solidarizzare con esso e preferì ritirarsi a vita privata. Caduto il fascismo, vent'anni dopo, se ritornò alla vita politica fu per schierarsi accanto alla Dinastia e per sostenere (come fece con grande impegno) la causa, durante e dopo il referendum istituzionale. CONTROCORRENTE - Aprile 1963 17

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