Controcorrente - anno XIX - n. 35 - mar.-apr. 1963

~DNTBD~O APRIL 1963 Durruli

BUENAVENTURA D RU Il 20 novembre 1836 moriva a Madrid, dopo breve agonia, il compagno Buenaventura Durruti. Bucnaventura Durruli, tiglio di operai, nacque a Leon, nella provincia dello stesso nome, il 14 luglio 1896. Aveva quindi solo 40 anni. A 14 anni cominciò a fare il meccanico. Dopo la feroce repressione dello sciopero generale del 1917, egli si rifugiò in Francia, per tornare in Spagna nel 1920. Da quell'epoca data la sua amicizia con Acaso, Jover, Garcia Oliver ed altri coraggiosi che lottano nelle file della Confederazione sindacalista del Lavoro di Spagna contro la reazione capitalista e clericale ed i suoi sicari. La lotta assume in quegli anni un carattere sanguinoso, parecchi compagni più in vista vi lasciano la vita e infine uno dei maggiori finanziatori delle bande fasciste, il cardinale Soldevilla, è ucciso a Siviglia. Durruti ed Ascaso riprendono la via dell'esilio, recandosi in Argentina, ma debbono di nuovo fuggire. Si ritrovano a Parigi dove seguitano la lotta contro la reazione spagnuola. Siamo nel 1926; la polizia parigina scopre un complotto destinato a por fine al regno di Alfonso XIII e i due inseparabili agitatori sono imprigionati, assieme a Jover, e minacciati di essere consegnati al boia della monarchia d"oltre Pirenei, dove la loro condanna a morte è pronunciata. Un'intensa agitazione dei nostri compagni francesi riesce ad impedire l'estradizione e, dopo un anno di prigione i tre compagni d'idea e d'azione sono rimessi in libertà. Ancora qualche anno di esilio, nel Belgio, in Germania; poi Durruti ritorna, assieme ai suoi amici, in Ispagna. Siamo nel 1931, la monarchia è caduta per far posto alla repubblica cosidetta "dei lavoratori". Durruti ed i suoi compagni non si accontentano di questo simulacro di libertà, in cui il governo incarcera e fucila quelli che si attentano sul serio a dar mano all'espropriazione delle terre e dei mezzi di produzione. Dopo il vasto movimento di Figols, dell'8 gennaio del 1932, in cui un'intera regione dell'Aragona settentrionale si solleva per realizzare il comunismo libertario, Durruli è nuovamente arrestato e deportato a Fuerteventura (rio de Oro), sul littorale africano. Rilasciato, lo ritroviamo in piena azione nel '33 a Saragozza, mentre per più di un mese tutta la vita economica dell'Aragona è paralizzata da uno sciopero formidabile. Dopo gli avvenimenti di ottobre del '34, e la vittoria del bieco Gil Robles, egli fa di nuovo conoscenza col carcere, rimanendo rinchiuso per lunghi mesi a Valenza. Eccoci alfinc al 19 luglio del 1936, cd al tentativo clerico-fascista di Barcellona. Durruti si trova, come sempre in prima fila e, sebbene appena rimesso da una dolorosa operazione, egli partecipa corpo ed anima alla lotta. Il suo fedele compagno Ascaso rimane ucciso lo stesso giorno, mentre quasi inerme, alla tesla di pochi compagni, si slancia all'assalto della caserma di artiglieria Atarazanas. Questa perdita centuplica le forze di Durruti. Il popolo, coi nostri compagni alla testa, ha sbaragliato il fascismo a Barcellona e s'impadronisce a viva forza delle armi. Occorre incalzare il nemico e fugarlo nelle più lontane provincie, dove il fascismo, con l'aiuto dei preti, cerca di prender piede. Durruti partecipa all'improvvisata organizzazione delle milizie antifasciste e già il 22 dello stesso mese, egli parte alla testa delle colonne dei liberi combattenti della Catalogna alla volta di Saragozza ... La lotta è purtroppo più dura e cruenta di quel che si potesse supporre. Il nemico è trincerato e armato sino ai denti. I fascisti che vedono in Durruti un nemico terribile, non potendolo uccidere, lo colpiscono nei suoi più cari affetti, facendo fucilare la sua vecchia madre e parecchi dei suoi fratelli che si trovavano disgraziatamente ancora nelle zone occupate. La sua attività sul fronte aragonese è stata immensa. Durante quattro mesi Du~ruti ha costantemente diretta la sua colonna, senza mai abbandonare il fronte, provvedendo del suo meglio alla sua efficienza ed animando i suoi uomini con l'esempio e la gran fede nella libertà che albergava nel suo animo prode e generoso. Da Caspe sino a Tardienta il fronte della milizia della C.N.T. e della F.A.I. non cessava di avanzare, seppur lentamente, nonostante la costante inferiorità dell'armamento, la scarsità persino di Cucili e assai spesso la mancanza assoluta di cartuccie che faceva la disperazione dei prodi combattenti di quel settore. Senza questa inferiorità evidente, e di cui un giorno si stabiliranno le vere responsabilità, dopo pochi mesi, forse solo dopo poche settimane, con degli uomini coraggiosi e decisi come Durruti ed i suoi militi rosso-neri, Huesca, ed in seguito anche Saragozza, sarebbero state sbarazzate dal fascismo, lasciando aperta la via per la difesa tempestiva di Madrid e la sconfitta definitiva delle orde di Franco e compagnia. La innata generosità del nostro compagno, il suo spirito cavalleresco, si sono manifestati sino all'ultimo. Di fronte al <pericolo. che minacciava Madrid, egli, dimentico di ogni divergenza o contrasto, non ha esitato ad accorrere, alla testa di un forte contingente di militi, in difesa della capitale attaccata. Buenaventura Durruti è morto da prode, come aveva vissuto. Il suo posto è -con Ascaso-accanto agli eroi ed ai martiri del movimento proletario mondiale.

RIVISTA DI CRITICA E DI BATTAGLIA Fondata nel 1938 - Direttore: ALDINO FELICANI Indirizzo: CONTROCORRENTE, 157 Milk Street, Boston 9, Mass. CONTROCORRENTIlEpubllshedbf,monthly. Mali •-•: 157 Mllk SL, 8ost.on. Aldl11>Ftllcaol, Editor and Publlslle.r. Office of publlmtlon 157 Mllk Strttt, Boston9, Mass. Stcmf.,1.. , .. 11prlvlif!jOSauth:rlzttl Il 8ost.on,Mass. SublO'lptlon$3 a y..... Voi. 19-No. 5 (New Series ~35) BOSTON, MASS. March-April, 1963 Panorama Americano LA TENSIONE RAZZIALE li livello della tensione razziale negli Stati Uniti ha veramente raggiunto un limite estremamente pericoloso. Non si tratta più solamente delle ripercussioni nel campo morale generale, o tutt'al più della perdita di prestigio che gli Stati Uniti stanno soffrendo fra i popoli appena liberati da regimi coloniali. Oramai si tratta della solidità delle istituzioni americane, della integrità costituzionale degli Stati Uniti, della pace fra gruppi cittadini. Se politicamente la crisi attuale appare meno pericolosa di quella che un secolo fa divise gli Stati Uniti in due campi decisi a dissanguarsi piuttosto che a rinunciare alle proprie posizioni, ciò è soltanto perchè essa non può per ora condurre ad un tentativo di secessione ed a una guerra civile. Ma il pericolo è immenso: invece di dividere la nazione in due fazioni in aperta guerra fra di loro, la crisi presente può facilmente condurre ad una ini1nicizia permanente, o per Io meno di lunghissima durata, ad una guerra capillare fra gruppi nazionali, non dichiarata, ma perciò più difficilmente sanabile. Essa può facilmente significare l'inizio ufficiale di una campagna in cui tutti gli "slogans " razziali, del peggiore periodo hitleriano, saranno risuscitati, in cui tutte le bestialità, che speravamo avessero trovato la loro finale sepoltura nelle rovine di Berlino, riprenderanno piede. E' evidente oramai che la situazione degli elementi moderati, tanto fra la popolazione bianca del sud quanto fra i negri, sta di- ,,en lando precaria. La radicalizzazione verso gli estremi, gli irriducibili razzisti del Ku Klux Clan e i Negro Muslims è un fatto terrificante; se essa non è arrestata, lo scisma può diventare permanente, una piaga inguaribile nel corpo degli Stati Uniti. Con piena ragione, la popolazione di colore degli Stati Uniti può considerare con giudizio assai più severo di quanto ha finora fatto la permanenza di effettiva segregazione. se pure limitata in certi campi, continuata anche nelle sezioni più progressive degli Stati Uniti a danno suo. Le vie di comunicazione fra i due gruppi vanno riducendosi ogni giorno, ogni giorno esse diventano più aspre. Non credo che nessuno potrà riprendere l'opera di Martin Luther King, se esso verrà esautorato dagli avvenimenti. In tal caso fra la maggioranza bianca e Ja n1inoranza negra, per ora, di colore in generale fra breve ci sarà guerra aperta. Non è pessimistico certamente prevedere che una guerra simile non si arresterà ai limite del colore della pelle: da parte della popolazione bianca si risponderà molto probabilmente con una svolta nella direzione degli estremisti nazionalisti, nel rigetto dal seno nazionale di minoranze bianche, ma di origine religiosa o etnica sospetta o invisa, nelle oppressione degli elementi più inclini al riconoscimento della parità e della dignità di ogni essere umano. • • • Ci sono vie di uscita da questo vicolo? E' sufliciente ricorrere una, due, mille volte alla Corte Suprema, attendere con calma un responso, sicuri che esso non potrà contravvenire alla logica della storia, alla necessità del progresso civile e tecnico moderno? Con quali mezzi si potrà convincere gli irreducibili che l'alternativa è soltanto fra la più cieca superstizione e il collasso delle istituzioni civili? E' possibile aprire gli occhi a chi vuol tenerli chiusi e convincerlo a considerare che, come un secolo fa la schiavitù avrebbe impedito lo sviluppo industriale del continente nord americano, la divisione dei cittadini degli Stati Uniti in due, e forse più di due differenti categorie comprometterà fatalmente il progresso deJla nazione, all'inizio di una rivo~ luzione tecnologica di grande portala? E' vero che non si può obbligare alcuno a seguire una legge morale con un apparato di forza. Per altro è anche vero che la nazione non può esistere senza che i suoi membri accettino ed aderiscano a una base uniforme di contegno. Ognuno deve essere libero di far propaganda perchè istituti civili vengano modificati, perché nuove

leggì, anche se esse rappresentano un passo indietro nella marcia del progresso nella opinione di una parte della comunità, siano approvate. Ma non può essere lecito lo scatenamento di passioni e di azioni violente, senza compromettere la struttura stessa della nazione. Purtroppo quanto sta avvenendo indica che il punto di esplosione delle passioni è molto prossimo, e che in molte aree, per lo meno, non esiste più terreno per una razionale discussione. Mi sembra che l'azione dell'amministrazione federale in queste contingenze sia pietosamente insufficiente. Le intenzioni sono buone, non c'è dubbio, e gli sforzi per interporre l'autorità federale per favorire il riconoscimento della necessità di un rinnovamento dei costumi sono commendevoli. Ma io credo che il punto raggiunto richiede, più che misure legali, uno spirito di "leadership" che faccia appello, non soltanto alle forme nazionali, ma pure al sentimenti, forse perfino alla teatralità. Non mi pare per esempio che la proposta fatta da James Baldwin e.ll'Attorney Generai Robert Kennedy, che il Presidente degli Stati Uniti si presenti alla Università di Alabama nel giorno in cui due studenti negri dovrebbero essere ammessi, e confronti colà il governatore Wallace, che ha minacciato di impedire personalmente quanto i tribunali degli Stati Uniti hanno dichiarato legale, sia risibile. Per cei,to, se Eisenhower, allora presidente degli Stati Uniti, al tempo della crisi di Little Rock, avesse avuto il coraggio di recarsi sulla scena del conflitto, prendere per mano due bambini negri e scortarli a scuola, una gran parte delle popolazioni bianche degli stati meridionali avrebbero levato grida al cielo. Ma avrebbe qualsiasi energumeno avuto il coraggio di alzare la mano sul magistrato supremo degli Stati Uniti, quando questi avrebbe impersonato, nella sua azione, il sentimento della maggioranza della nazione? E, se anche un affronto fosse avveRivoluzione nuto, non avrebbe questa violenza messo in chiaro, una volta per sempre, che gli irreducibili razzisti si mettevano senz'altro fuori dal tessuto civile? Cinque anni son passati da quel giorno, e il processo di smantellamento di istituzioni incompatibili collo spirito di questi giorni è stato tentato non con un appello ai senti.menti, ma con l'impiego di truppe. La resistenza si è irrigidita, sotto lo stimolo di difesa di istituzioni locali, facendo appello alla necessità di preservare le libertà individuali e comunali, reagendo all'affronto sofferto per una occupazione militare. E forse l'azione, risvegliando timori di interferenza di lontane autorità in molte parti della nazione, non tanto inquinate da pregiudizi razziali, ha sollevato dubbi anche fra molti che riconoscono la giustizia delle richieste della minoranza di colore. Oggi la amministrazione Kennedy si trova ad un delicato punto: una gran parte della legislazione che essa propone al Congresso non ha possibilità di approvazione, se non attraverso la cooperazione dei rappresentanti delle aree del Sud. Inimicandosi questi, con un appello sensazionale alla nazione, il programma legislativo può essere compromesso. Ma è tempo, io credo, di domandarsi se la realizzazione di particolari programmi di legge è una cosa tanto preziosa da poter essere pagata col collasso completo della struttura sociale e civile della Nazione, colla violenza e colla alienazione dalla vita nazionale di una importante minoranza, che da un secolo attende la realizzazione di una solenne promessa. La lacerazione nel tessuto nazionale non si può fermare nei limiti di un conflitto fra due gruppi: essa fatalmente si estenderebbe ad un collasso di tutte le garanzie civili, all'arresto dello sviluppo tecnico del paese, ed anche aprirebbe quasi certamente la via alla presa di potere di un regime autoritario e razzista. Davide Jona La primavera del 1963 sarà ricordata per lungo tempo. Sarà ricordata come l'epoca quando la rivoluzione dei negri per la conquista dell'uguaglianza ebbe inizio e si estese in tutti i fronti degli Stati Uniti. Questa rivoluzione ha assunto proporzioni imprevedute. I negri hanno affrontato cani poliziotti feroci, aizzati contro di loro dai razzisti del sud. I negri hanno sfidato l'arresto in massa. Sono andati in galera a migliaia. Sono stati assaliti da folle minacciose nei restaurant pubblici. Sono stati attaccati nelle loro case con le bombe. Sono stati brutalmente assaliti ed aggrediti dai poliziotti. Essi hanno mandato i loro ragazzi ad affrontare gli uomini nelle strade. Nelle settimane, nei mesi, negli anni, c'è da prevedere che questo conflitto rallenti, diminuisca. Se ciò avverrà si tratterà di cosa temporanea. Oramai la rivolta è in marcia. Non si torna indietro. Troppo sangue. Troppa violenza. Non è possibile dimenticare quello che è successo. Le atrocità alle quali assistiamo giornalmente riportano la mente alla vita della jungla. I politicanti razzisti del sud hanno dominato la situazione per cento anm. Si sono messi sotto i piedi i diritti della gente. Sono rimasti sordi alla voce della giustizia. Hanno imposta la loro volontà. Ora basta. La nostra solidarietà va ai negri che combattono con una determinazione che porterà loro la vittoria. 4 CONTROCORRENTE - Aprile 1963

Archivio IlPresidenLteowelel il cosoSocco-Vonzelli Siamo lieti di riprodurre questa significante analisi del rapporto del cosidetto "Lowell Committee" sul caso Sacco-Vanzetti. Questa analisi è apparsa nel The Harvard ORIMSON del 17 Aprile 1963. E' un documento significante. Rivela che fra gli studiosi ve ne sono molti che sono turbati dall'epilogo di quella tragedia che fece singhiozzare il mondo. Questo commento dovuto alla penna di Donald E. Graham, presentemente studente all'Harvard, non potrebbe essere più devastatorio ed eloquente. Ai nostri lettori non potrà sfuggire la sua importanza. Per questo lo passiamo nel nostro archivio. Deve essere conservato. E' una testimonianza importante. THE HARVARD CRIMSON è senza dubbio la pubblicazione più importante fra quelle di tutte le università d'America. E' anche la più vecchia. Fu fondata nel 1873. Si pubblica quotidianamente. Alla sua direzione sono state personalità che hanno poi occupato posizioni importanti nella vita della nazione. Fra i suoi direttori è stato Franklin D. Roosevelt, quando egli era studente alla Harvard Law School. By DONALO E. GRAHAM Da ora in poi, vorrei sapere, dovrà l'istituzione di studi di Cambridge, che una volta noi chiamammo Harvard, essere chiamata la casa dell'impiccatore? Heywood, Broun, Agosto 6, 1927 Se Heywood Broun non fu il meno vetriolico dei commentatori del caso Sacco e Vanzetti, egli non fu neanche il più infiammato. La condanna del povero pescivendolo e del buon calzolaio nel 1921 impressionò i liberali del '20 al punto tale che quella divenne la loro causa; centinaia di migllaia di essi picchettarono, scrissero lettere, diedero denaro e implorarono disperatamente per la loro liberazione. E quando quelli che credevano negli accusati appresero che essi dovevano morire, essi scagliarono o sfogarono la loro ira contro gli uomini che avevano deciso la loro morte; nessuno era più colpevole di Lawrence A. Lowell, allora Presidente dell'Harvard. Se Lowell l'avesse desiderato avrebbe potuto fermare l'esecuzione di Sacco e Vanzetti; egli era il capo del comitato che doveva consigliare il Governatore del Massachusetts sul caso e se lui o qualsiasi altero membro del comitato avessero mancato di trovare gli accusati colpevoli oltre ragionevole dubbio, essi avrebbero potuto essere salvati. Ma il comitato lasciò che gli uomini fossero uccisi, e la protesta dei simpatizzanti di Sacco e Vanzetti fu rivolta contro il Lowell Committee con incredibile forza. Le vituperazioni montarono (o strariparono) contro Lowell per posta e per telefono; la minaccia di bombe divenne quotidiana. Ogni giorno, fino a tanto che visse, Lowell era certo di ricevere una nuova ondata di insulti, il 23 agosto, l'anniversario dell'esecuzione di Sacco e Vanzettl. Rapporto e rappresaglia Queste rappresaglie possono sembrare dure, ma nessuno può leggere il rapporto dei Lowell Committee senza realizzare che alcuni fatti sono stati mal presentati LOWELL altri omessi in modo sconcertante, altri ancora accettati e rigettati senza alcuna spiegazione. Il rapporto del Lowell Committee non è un documento convincente. Il caso ebbe inizio il 15 aprile 1920, quando Fred Parmenter e Alessandro Berardell! furono assaliti ed uccisi mentre trasportavano il payroll per un calzaturìftc!o di South Braintree. I loro aggressori si impossessarono e fuggirono con le valigie contenenti $15,000 (che costituivano i salari da esso pagati alla maestranza dell'opificio - n.d.r.) Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono arrestati quando caddero in una trappola preparata per un altro italiano, Michael Boda, un "bootlegger" che la polizia sospettava fosse coinvolto nella grassazione. Entrambi erano armati di rivoltella al momento dell'arresto; essi dissero diverse bugie ai poliziotti che li arrestarono e li interrogarono sui loro rapporti con i loro associati e sulle attività nel giorno del delitto di South Braintree. Nessuno potè provare di avere un solido alibi per quel giorno. Sacco, operaio CONTROCORRENTE - Aprile 1963 5

in una fabbrica di scarpe, era stato libero quel giorno, per recarsi a Boston e ottenere un passaporto per un viaggio in Italia. Vanzetti era un venditore ambulante di pesce e non poteva dipendere sulla parola dei suoi clienti per un alibi. Il processo in maggio I due uomini furono imputati e processati nel maggio 1921. L'accusa fece sfilare un numero di testimoni oculari che dissero di aver visto gli imputati nella banda dei grassatori. La difesa produsse un numero superiore di testimoni i quali affermarono che gli imputati non erano fra i grassatori. Diversi altri testimoni attaccarono la reputazione dei testimoni d'accusa. STRATTON GRANT L'accusatore (o procuratore o pubblico ministero, n.d.r.) introdusse un berretto trovato sulla scena del delitto, che il padrone di Sacco dichiarò essere simile al berretto che Sacco portava spesso sul lavoro. Sacco dichiarò che il berretto non era il suo, d'altro lato sembrò che il berretto non gli stesse bene. Lo stato cercò anche di provare che il revolver trovato addosso a Vanzetti al momento dell'arresto era lo stesso ch'era stato tolto a Berardelli da uno dei banditi. La signora Berardelli testimoniò che il revolver di Vanzetti era simile a quello di suo marito; un perito balistico testimoniò che il revolver aveva un nuovo grilletto - Berardelli aveva fatto mettere un nuovo grilletto nel suo revolver poco tempo prima del delitto. Le bugie che Sacco e Vanzetti dissero al momento deWarresto furono portate fuori come evidenze di "consapevolezza della colpa". La difesa ammise che gli arrestati avevano dato l'impressione di colpevolezza, ma aggiungeva che essi credevano di essere stati arrestati per la loro idea politica e non per assassinio. Il loro interrogatorio ebbe luogo durante Il periodo del "Terrore Rosso", quando i radicali stranieri erano deportati e la paura dei lanciatori di bombe imperversava (o dominava) negli stati dell'east. Finalmente l'accusa presentò un perito balistico il quale dichiarò "di essere inclinato a credere" che la rivoltella di Sacco aveva sparato il proiettile che aveva ucciso Berardelli, ed un altro che dichiarava che era "compatibile" assumere che il proiettile rosse uscito da quella pistola. Due periti balistici testimoniarono per la difesa, dichiarando che il proiettile, nella loro opinione, non avrebbe potuto uscire dalla pistola di Sacco. A questo punto furono prodotte altre evidenze balistiche; il proiettile che uccise Berardelli era di un tipo raro, non più manifatturato. Un perito della difesa e due dei suoi assistenti, non erano riusciti a trovare simili cartucce nelle loro ricerche in tutto lo Stato del Massachusetts. Sacco aveva sei di quelle cartuccie in tasca al momento del suo arresto. Gli alibi Gli imputati offrirono i loro alibi. Diversi uomini teslimoniarono che essi avevano comperato del pesce da Vanzetti all'ora che rendeva impossibile per lui di essere a South Braintree all'ora del delitto; alcuni rimasero confusi nell'interrogatorio di contesto e si contraddissero. Il Console italiano di Boston, e numerosi altri testimoniarono che Sacco ern in Boston per ottenere il passaporto il 15 aprile come egli aveva dichiarato al padrone della fabbrica ove lavorava. In base alle prove presentate la giuria condannò entrambi, Sacco e Vanzetti. Dopo il loro processo, il caso divenne ancora più complicato. Walter R. Ripley, foreman della giuria, ammise di aver portato nella camera delle deliberazioni, delle cartuccie in suo possesso per confrontarle con quelle della rivoltella di Vanzetti, in violazione alle regole delle evidenze. Un'altra più seria violazione: si riferì che Ripley avrebbe detto ad un amico prima del processo che i due "guineas" dovevano essere impiccati non importa se essi erano colpevoli o innocenti. Un poliziotto testimoniò che il capo della giuria era noto di nutrire (o avere) forti pregiudizi contro gli italiani. Il giudice Webster Thayer, uomo pettegolo e piuttosto semplicione, aveva l'abitudine di intavolare frequenti e indiscrete conversazioni fuori dell'aula della corte, stando a quanto hanno dichiarato cinque testimoni. In una occasione recitò ad un amico parte della sua arringa alla giuria, ripetendo spesso "questo sarà sufficiente per tenerli a posto, non credi?" In una altra occasione egli disse ad una sua conoscenza: "Hai visto come ho conciato quei bastardi di anarchici, l'altro giorno," Il capitano William Proctor, un testimone per lo stato, il quale aveva detto al processo che il proiettile che aveva ucci,o Berardelli era "compatibile" con la teoria di essere passato per la canna della pistola di Sacco, ammise, dopo il processo, che il District Attorney aveva concepita quella risposta per influenzare la giuria. Quello che aveva inteso dire con l'uso della parola "consistent" (compatibile) era che il proiettile era uscito da una rivoltella Colt, calibro 32 - delle quali ve ne erano allora in esistenza 300,000. Proctor mori, prima 6 CONTROCORRENTE - Aprile 1963

che egli potesse testimoniare in corte a proposito di ciò, ma il suo affidavit fu presentato in corte dalla difesa con una mozione per un nuovo processo. THAYER FULLER Finalmente, un portoghese, criminale professionale, di nome Celestino Madeiros, che si era appellato per una condanna per omicidio, diede un biglietto ad una guardia della prigione di Dedham, in cui era detto: "Confesso di aver partecipato al delitto di South Braintree, e Sacco e Vanzetti non erano in quel delitto". Le mozioni per un nuovo processo furono udite dal giudice Thayer che le rigettò tutte sommariamente. Le mozioni, dopo tutto, erano basate in gran ,parte contro il giudice Thayer, per la sua condotta antagonistica. L'appello del caso fu sottoposto al Governatore Alvan T. Fuller. Egli sapeva bene che la decisione di qualsiasi uomo non avrebbe potuto soddisfare i partigiani estremi delle due fazioni. Decise di nominare un comitato che lo consigliasse. Assegnò questo compito a A. Lawrence Lowell come uno dei membri del comitato. A sua volta Lowell raccomandò il presidente del M. I. T., Samuel W. Stratton, per secondo membro, e il giudice Robert Grant (pensionato) per terzo. Nonostante non fosse stato nominato "chairman ", Lowell era considerato il capo del gruppo. I giornali non persero tempo nel chiamare il gruppo "The Lowell Committee ". Grant intervenne nelle discussioni molto raramente. Stratton, per quello che può essere accertato, non disse mai una parola durante l'intero tempo che il comitato si riunì. Fu Lowell per la maggior parte che interrogò i testimoni, fu Lowell che funzionò da portavoce del comitato. Sembra che fosse anche Lowell a decidere, nonostante le strenue obiezioni della difesa, che le udienze non fossero aperte al pubblico. All'avvocato della difesa era permesso di essere presente all'interrogatorio di alcuni testimoni, ma non a quello del giudice Thayer e dei membri della giuria. Questa costituiva una vera difficoltà per la difesa; molto del caso dipendeva dal manifesto pregiudizio del giudice Thayer; e tanta parte del rapporto del comitato era basato sulla semplice dichiarazione che i giurati non erano pregiudiziali dallo atteggiamento ostile del giudice Thayer. Gli avvocati della difesa avevano lo svantaggio di non conoscere l'atteggiamento del giudice e di sapere quello che i membri della giuria avevano detto. In altra occasione Lowell fece il tentativo di attaccare l'alibi di Sacco col dimostrare che un banchetto che Sacco e i suoi testimoni avevano detto di aver discusso in Boston il 15 aprile (che aveva avuto luogo quella sera), non aveva avuto luogo che il 13 maggio. Gli fu provato che egli, Lowell, aveva errato, ma egli maliziosamente tenne la correzione del suo errore fuori del record ufficiale. Ancora ,più importante: Lowell ruppe le regole del comitato, accettando evidenze e investigando per conto suo, senza il consenso di Stratton e Grant. Gli avvocati della difesa di Sacco e Vanzetti si convinsero che il comitato era irrevocabilmente pregiudiziato contro di loro. " La sorte dei nostri clienti sembra inevitabile come quella di Socrate e noi siamo decisi a non continuare di fronte all'ingiusto trattamento", dichiarò uno degli avvocati della difesa. Un documento sconcertante Il rapporto del Comitato, consegnato al Governatore due giorni prima dell'argomento finale, che ebbe luogo il 2 luglio, è un documento sconcertante. E' una agglomerazione di conclusioni senza base, ed ogni conclusione sembra la stessa: i testimoni d'accusa sono creduti, quelli della difesa non lo sono. Trova che il processo è stato giusto ed equo, e se il giudice era stato " indiscreto " in conversazioni con estranei egli non aveva comunicato le sue predisposizioni alla giuria - questo è basato su dichiarazioni di giurati che il giudice non aveva influenzato la loro decisione. Le evidenze concernenti il pregiudizio del "foreman" della giuria, sono liquidate con una dichiarazione che i suoi runici devono avere mal compreso la sua affermazione che i " guineas" dovrebbero essere impiccati ad ogni modo"; la dichiarazione del poliziotto all'effetto che " il foreman della giuria era pregiudiziato contro gli italiani ", fu completamente ignorata. In quanto al capitano Proctor, il quale aveva giurato che lui e il District Attorney avevano coniato una risposta per influenzare in senso avverso la giuria, il comitato affermava che la giuria " deve aver compreso le parole in chiaro inglese". Questo è discernibilmente falso. Il giudice Thayer non spiegò alla giuria quello che Proctor voleva dire quando dichiarava che il fatale proiettile era passato attraverso la canna della Colt automatica trovata addosso allo imputato Sacco al momento del suo arresto. I giornali di quel tempo mancarono anche di comprendere e di interpretare le parole " in chiaro inglese " - "I PERITI BALISTICI IDENTIFICARONO LA PISTOLA DEL DELITIO" - cosi si leggeva in un titolo del "Boston Herald" Il Comitato rigettò la confessione di Madeiros, adducendo che la sua conoscenza (di Madeirosl dei dettagli del delitto erano CONTROCORRENTE - Aprile 1963 7

insufficienti per orrrire delle prove che egli era stato presente alla grassazione. l,'i• nalmente il rapporto concludeva che il peso della testimonianza dei testi oculari, la questione del berretto, quella della "consapevolezza della colpa", e la testimonianza dei periti balistici, provavano che Sacco era colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Poi sommando le evidenze giungeva alla esasperante conclusione che "nell'insieme, noi siamo dell'opinione che Vanzetti era colpevole al disopra e al di là di ogni ragionevole dubbio", semplicemente non sembra compatibile. Il rapporto fu consegnato al governatore Fuller, che ne accettò la conclusione. Sacco e Vanzetti furono mandati alla sedia elettrica il 23 agosto 1927, mentre gli uomini continuarono il dibattito sulla loro colpevolezza o innocenza. Ma a parte che Sacco e Vanzetti abbiano o no veramente ucciso Parmenter e Berardelli, non vi è dubbio che il Comitato Lowell non fu all'altezza della sua missione, che doveva essere una onesta rivalutazione del caso. Sarebbe ridicolo credere che la decisione del Presidente Lowell fosse raggiunta solamente per pregiudizio contro gli italiani e contro i radicali. Loweli si era messo contro la sua propria classe prima e lo avrebbe fatto ancora. Quando gli alunni reclamarono le dimissioni di Felix Frankfurter, che aveva aiutato la difesa durante il caso, Lowell non volle avere nessuna parte In questa mossa. Egli sostenne la Lega delle Nazioni quando questa era una causa impopolare e rifiutò di espellere Harold Laski quando la pressione degli alunni per l'espulsione del socialista era intensa. Sarebbe ancora egualmente ridicolo affermare che la decisione del Lowell Committee fosse in ogni modo una decisione logica. La valutazione delie evidenze nello incidente Proctor e quelia delle accuse contro Ripley, il !oreman della giuria, e in diversi altri incidenti dimostra una costante ripetizione di stile: una decisione intuitiva che l'accusa fu corretta e la difesa in errore. Sembra che il Comitato Loweli abbia fin dal principio deciso che Sacco e Vanzetti erano colpevoli, ed abbia interpretato le evidenze per poter meglio sostenere questa conclusione. Ma non vi può essere alcun dubbio che Lowell e gli altri membri del Comitato credettero che la loro decisione fosse corretta. Questa è la vera e reale tragedia di Sacco e Vanzetti: che la gente migliore, con le migliori intenzioni commise la peggiore azione - uccidere due uomini che non meritavano di morire. 8 CONTROCORRENTE - Aprile 1963

Il Vaticano e il fascismo I L PAPA CHE CI VOLEVA Per impedire lo scoppio della guerra - racconta Giovannetti - pare che Pio XII abbia perfino avuto l'idea di recarsi In volo a Berlino e a Varsavia. " Passò anche per la mente del Papa, in quei giorni, l'idea di recarsi in aereo a Uerlino e a Varsavia, per tentare un componimento della vertenza? Un comunicato ufficiale, pubblicato sull'Osservatore Xomano del 15 settembre 1939, riferendo tale notizia come divulgata da alcuni giornali inglesi, tra cui il M(l!1cheste1· a,wrctian, si limitava ad affermare che il Santo Padre si era incessantemente adoperato fino all'ultimo minuto per scongiurare le ostilità, "non solo con l'azione conosciuta dal pubblico, ma anche con passi confidenziali e di ordine pratico". Volendo accertare quale fondamento avesse la ipotesi del Giovannelli, sono andato a ripescare, nello Osserv<itore Rom<tno, il comunicato a cui si riferisce: l'Osseruntore scrisse solo che "qualche giornale Inglese, per esempio il Manl'hester Guarcli<m, aveva reso noto, che, negli ultimi giorni prima dello scoppio della guerra, erano stati inviati al Santo Padre vari telegrammi con la preghiera di visitare immediatamente e personalmente il cancelliere del Reich, sig. Hitler, e i popoli tedesco e polacco, al !ìne di impedire una cnrneficina internazionale". Così vengono "dolcemente sollecitali i testi " dagli storici vaticani. E la cosa ancor più divertente è che il Messaggero del 20 settembre (invece di pubblicare il tradizionale articolo commemorativo sulla "breccia di Porta Pia") ha pubblicato una lunga ed entusiastica recensione del libro del Giovannetti con questo titolo a cinque colonne: "Pio XII allo scoppio della guerra voleva recarsi a Berlino". Ecco le successive fasi della evoluzione da un fatto alla leggenda: 1.o tempo: l'Osservatore Romano comunica che del giornali inglesi hanno pubblicato la notizia che Pio xrr è stato da diverse parli pregato di recarsi a Berlino; 2.o tempo: mons. Giovannetti fa l'ipotesi che Pio XII abbia avuto l'idea di recarsi In aereo a Berlino; 3.o ten,po: il Messaggero afferma che Pio XII voleva recarsi in aereo a Berlino. Manca ancora un passo per arrivare a: "Pio XII si recò in volo a Berlino"; poi I nostri nipoti potranno ammirare, tra i quadri che illustrano nelle chiese le virtù eroiche del Papi, Pio XII che anatemizza Il Fuhrer, come Leone I, che, levando alta la croce davanti ad Attila sbigottito, arresta l'Invasione degli Unni. Anche se Pio xrr, nell'agosto del 1939, fosse veramente andato a Berlino, questo suo gesto non avrebbe potuto certo riscattare il suo passato filo-fascista e filo-nazista. Il giorno dopo la sua nomina, il G marzo 1939, Galeazzo Ciano scrisse nel suo Du,rio, che il duce era molto contento della scelta, ed il 18 marzo, al ritorno dalla prima udienza concessagli da Pio XII, annotò: "Credo che con questo Pontefice le cose potranno andare bene". Ciano aveva ragione: era prevedibile che le cose sarebbero andate molto meglio che col suo predecessore, il quale aveva proibito agli ecclesiastici ed alle organizzazioni cattoliche di svolge1·e qualsiasi attività politica antifascista; eveva fatto pregare nelle chiese per la salvezza del duce; aveva, con i Palli Lateranensi canonizzato il fascismo; aveva manifestato una "perenne riconoscenza " all'Uomo inviato dalla Provvidenza; aveva esaltato in una enciclica gli ordinamenti corporativi; aveva fatto dare tutto l'appoggio delle madonne, dei santi, delle gerarchie ecclesiastiche, dei giornali diocesani, alla impresa etiopica e alla guerra civile in Spagna; ma era un impulsivo: in diverse occasioni aveva avuto degli scatti di nervi ed aveva fatto delle sfuriate, perchè Mussolini non si accontentava di servire da braccio secolare della Santa Madre Chiesa, voleva sottrarre i giovani all'educazione del preti, si rifiutava di riconoscere che l'unico vero regime totalitario - "totalitario di fatto e di diritto" - era soltanto quello della Chiesa. Con Pio XII, freddo e navigatissimo diplomatico, non c'erano da temere reazioni del genere. Una importante testimonianza della soddisfazione dei fascisti per la nomina di Pio XII si può trovare ora anche nel libro del Giovannetti, là dove ricorda che Buffarini Guidi, sottosegretario agli interni (fucilato alla !ìne della guerra, per sentenza della Corte d'Assise di Milano), parlando il 20 agosto 1939 col nunzio ebbe a dirgli: "E' proprio il Papa che ci voleva". Contenti loro, contenti tutti ... purchè, ben s'intende, fossero contenti anche i nazisti. Ed I nazisti erano, pure loro, soddisfatti che la scelta rosse caduta sul Pacelli. In data 2 marzo 1939, Ciano annotò nel Diario che " il Pacelli era il cardinale favorito dai tedeschi", ed il 21 maggio scrisse di aver discusso a lungo, a Berlino, sul rapporti fra lo Stato e la Chiesa col braccio destro del Fuhrer: "Vi è simpatia per il nuovo Pontefice - gli aveva detto Himmler - e si ritiene possibile un modus ,·ivendl ". Era una speranza più che fondata. Infatti Pio XII, in data 6 marzo 1939, " nella cara memoria dei lunghi anni trascorsi, in qualità di nunzio apostolico in Germania, aveva inviato una cordialissima lettera al Fuhrer per annunciargli In sua elezione. Nonostante le violazioni del concordato del CONTROCORRENTE - Aprile 1963 9

1933, nonostante la soppressione di moltissime abbazie, case religiose, seminari e di quasi tutte le scuole confessionali, nonostante gli arresti e i processi contro migliaia e migliaia di sacerdoti per cause infamanti, nonostante i violentissimi attacchi sferrati contro la Chiesa cattolica da tutta la stampa nazista, il papa scrisse allora ad Hitler che desiderava " rimanere legato da intima benevolenza col popolo tedesco affidato alle sue cure". Il più vivo desiderio del Papa era che la collaborazione fra la Chiesa e lo Stato tedesco potesse svilupparsi sempre più con reciproco vantaggio (cfr., a pag. 217, Il nazionalsocialismo e la Sm,ta Sede, edito nel 1947, con l'imprimatur del Vaticano). Ed il 16 aprile del medesimo anno Pio XII aveva indirizzato agli spagnoli un radio-messaggio, in cui aveva manifestata la sua "immensa gioia" per la vittoria di Franco, con la quale "Dio si era degnato di coronare il cristiano eroismo". I nobilissimi sentimenti cristiani di cui avevano dato sicura prova il capo dello Stato e tanti suoi fedeli collaboratori, davano al Papa la sicurezza che essi avrebbero sempre continuato a seguire i principii di giustizia contenuti nel Santo Vangelo e nella dottrina della Chiesa. Le amichevoli disposizioni di Pio XII verso il governo nazista furono - si direbbe - ancor più migliorate dalla conclusione (!ella folgorante campagna polacca con la distruzione di Varsavia. L'll marzo 1940 Pio XII ricevè in Vaticano von Ribbentrop, venuto a Roma per chiedere l'intervento dell'Italia a fianco dell'alleata. Nell'articolo dell'aprile scorso ho riportato alcuni brani del rapporto (compreso nella collana di documenti segreti della Wilhelmstrasse, pubblicati dopo la guerra), che il ministro degli esteri tedesco inviò al Fuhrer per informarlo del suo colloquio col Papa. Mons. Giovannetti ora non cita questo importante documento, ma ne conferma implicitamente il contenuto, riassumendo in dieci pagine (le più interessanti del libro> un resoconto sui due colloqui che il card. Maglione ebbe con Ribbentrop, subito dopo la udienza concessagli dal Papa. Von Ribbentrop manifestò al segretario di Stato tutta la sua soddisfazione per aver potuto rivedere il Santo Padre: sapeva che tutti i cattolici lo ammiravano e lo ritenevano un santo, ed anche lui lo apprezzava moltissimo; quando aveva avuto notizia della elevazione del Pacelli al soglio pontificio e delle dichiarazioni affettuose che aveva fatto sulla Germania, egli stesso aveva esclamato: "Ecco un vero Papa!". Nella udienza ottenuta poche ore prima, aveva potuto constatare, " con profonda soddisfazione", che il Papa "aveva sempre il cuore in Germania e una grande buona volontà di giungere ad una intesa " (le parole sono in corsivo nel libro del monsignore). Egli aveva detto al Papa che il Fuhrer deside• rava arrivare ad un accordo solido e duraturo con la Santa Sede; il nuovo ordinamento non poteva, però, venire altro che dopo la vittoria delle armate tedesche. Alle lagnanze del card. Maglione per le persecuzioni degli ecclesiastici in Germania, von Ribbentrop rispose affermando di non esserne informato e accusando la Chiesa cattolica di mescolarsi troppo alla politica. Il segretario di Stato gli assicurò che la Chiesa "poneva una cura del tutto particolare per mantenersi al di sopra e al di fuori della politica: tali erano le direttive date dalla Santa Sede al clero di tutto il mondo e anche a quello tedesco, il quale, ad onor del vero, vi si atteneva, in generale almeno, scrupolosamente. \"on Ribbentrop consegnò al card. Maglione una pubblicazione ufficiale sopra le atrocità commesse dai polacchi con preghiera di presentarla al Santo Padre: "Sua Santità - disse - potrà rilevare quanto sia ingiusta verso di noi la stampa cattolica quando parla delle pretese crudeltà germaniche, mentre tace delle provate atrocità polacche". Il segretario di Stato rispose che la Santa Sede voleva solo essere esattamente informata, perciò desiderava inviare nel territorio polacco un visitatore apostolico: la sua presenza in Polonia avrebbe giovato a dissipare i malintesi e a confermare i sacerdoti nel proposito di dedicarsi esclusivamente al ministero pastorale. (,Lo sterminio di tre milioni di ebrei polacchi, per il segretario di Stato, era un semplice malinteso>. Il card. Maglione aggiunse che l'inviato della Santa Sede avrebbe potuto "aiutare i vescovi a normalizzare a poco a poco la situazione religiosa "; anche il governo francese, "proprio in seguito a preghiera del governo germanico", aveva consentito ad ammettere un visitatore apostolico, " della cui opera la Germania non aveva certo avuto da lamentarsi: anzi, se ben ricordava, si era dichiarata soddisfatta più della Farncia ". Von Ribbentrop non accettò neppure questa richiesta, presentata in forma cosi umiliante: per O normalizzare" i paesi occupati bastavano le S.S .... Sul numero di febbraio del 1943 della rivista anarchica di Boston, Controcorrente, Gaetano Salvemini diede una lunga esposizione cronologica delle principali manife• stazioni di connivenza del Papa con i fautori del conflitto. Dopo conclusi il "patto d'acciaio" e lo accordo Mosca-Berlino, dopo l'invasione della Cecoslovacchia e la spartizione della Polonia, dopo la riaffermazione da parte dell'Italia dell'alleanza con la Germania e la dichiarazione provvisoria della " non belligeranza", il 21 dicembre 1939 il re e la regina vennero solennemente ricevuti in Vaticano: Pio XII fece loro un discorso, in cui lodò " la chiaroveggente guida" dei governanti fascisti. La settimana successiva, Pio XII restitul la visita in Quirinale e profittò dell'occasione per supplicare Dio e la Vergine Madre di stendere la loro protezione anche " sull'illustre Capo e sui membri del Governo". Tutti i giornali misero allora in grande rilievo che, a partire dal 1870, era quella la prima volta che un Papa CONTROCORRENTE - Aprile 1963

si era recato in Quirinale, e l'Osservatore Romano commentò indirettamente l'avvenimento, riportando un brano del giornale fascista di Madrid, A.B.C.: "Il Supremo Pontefice ha voluto, con questa visita, attestare la sua approvazione alle direttive di politica internazionale seguite dall'Italia". Il 5 maggio 1940, Pio XII ricevè in particolare udienza il principe di Piemonte, che era uno dei due generali destinati a comandare l'esercito nella guerra imminente. Dopo l'aggressione italiana alla Francia, alla Grecia, e dopo la occupazione della Jugoslavia, Pio XII, il 18 maggio 1941, ricevè il duca di Spoleto, che il giorno successivo doveva essere ufficialmente proclamato re di Croazia, ed il giorno stesso della proclamazione ricevè Ante Pavelic, che era stato condannato a morte in contumacia dai tribunali francesi per l'assassinio di re Alessandro I di Serbia e di Luigi Barthou. "Quando il Papa accolse con tutti gli onori Ante Pavelic e la sua banda di assassini - ricorda Edmond Paris in Le Vatican contre l'Et1rope - i massacri degli ortodossi avevano già raggiunto il loro culmine in Croazia, di pari passo alle conversioni forzate al cattolicesimo". Nove giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Francia e all'Inghilterra, Pio XII, parlando a un gruppo di novelli sposi italiani, ricordò i doveri che avevano verso la patria (" La patria di cui la terra fecondata dal sudore, e forse anche dal sangue dei vostri avi, domanda pure a voi di essere generosi nel servirla"), e con maggior calore tornò sullo stesso tema in un discorso del 4 settembre 1939 alle rappresentanze dell'Azione cattolica italiana (" Rendano gli iscritti all'Azione Cattolica il debito rispetto e prestino la leale e coscienziosa obbedienza alle autorità civili e alle loro legittime prescrizioni", e siano "pronti a dare alla patria anche la vita, ogni qualvolta il legittimo bene del paese richiegga questo supremo sacrificio "). Pio XII non rivolse mai parole analoghe ai francesi, agli inglesi e agli americani, e Benedetto XV, non fece mai esortazioni del genere agli italiani durante la prima guerra mondiale. I ' ·ile Salvemini diede anche un elenco d'èile udienze concesse nei primi due anni del suo pontificato, da ·Pio XII ai soldati e agli ufficiali italiani e tedeschi in divisa, ricordando quali indignate reazioni questa forma di propaganda indiretta, in favore del1'" asse", aveva destato nei paesi anglosas• soni, dato che i militari americani e inglesi non avevano allora alcuna possibilità di recarsi in Vaticano a farsi benedire. "Quando parlava alla radio a tutto il mondo - rilevò anche Salvemini - Pio XII pregava per la pace ed esortava alla pace. Quando parlava ai soldati tedeschi e italiani ammirava l'eroismo dei combattenti". Fino alla disastrosa campagna invernale delle truppe tedesche in Russia ed allo sbarco americano nel Nord Africa, la "imparzialità" del Santo Padre zoppicò, dunque, sempre da una sola parte. Giovannetti riporta i telegrammi di solidarietà inviati da Pio XII ai sovrani del Belgio, dell'Olanda e del Lussemburgo, subito dopo che questi paesi neutrali erano stati invasi dalle truppe tedesche; ma non ricorda che Pio XII non disse neppure una parola di deplorazione per l'aggressione della Cecoslovacchia, della Polonia, della Norvegia, della Danimarca, dell'Albania e della Grecia; che consenti all'episcopato tedesco e italiano di fare le più clamorose manifestazioni in favore della guerra nazista e fascista; che niente fece per impedire ai dirigenti dell'Azione cattolica e agli scrittori della Civiltà Cattolica di incitare gli italiani a portare il tricolore fin sul Santo Sepolcro ed a combattere valorosamente contro i "popoli sazi"; che non levò mai la voce contro le atrocità dei campi di concentramento in Germania e che lasciò mano completamente libera ai tedeschi per Io sterminio degli ebrei. Se l'avesse ricordato, anche i lettori del suo libro avrebbero forse potuto capire perchè aveva acquistato tanto credito, specialmente fra le classi lavoratrici, "la più mostruosa e la più as· surda calunnia" - come disse Pio XII il 13 giugno 1943 - e cioè l'accusa " che il Papa aveva poluto la guerra, il Papa manteneva la guerra e forniva il denaro per continuarla, il Papa non faceva nulla per la pace". "A chi rilegge oggi i volumi degli Atti del Suo Pontificato - scrive mons. Giovannetti - appare chiaro che certi biasimi e certe condanne non potevano essere rivolte, attesa la situazione politica o militare del momento che a determinati belligeranti per i loro metodi di lotta, di occupazione, di trattamento di feriti e di prigionieri". Appare forse oggi chiaro a monsignor Giovannetti; ma non appariva certo chiaro all'uomo della strada che leggeva i gnornali o ascoltava alla radio quei biasimi e quelle condanne. La verità è che nella sua lunga carriera diplomatica Pio XII aveva appreso a perfezione l'arte di scrivere e di parlare in modo Jrnatissimo senza dir niente, a dar sempre un colpo al cerchio e un colpo alla botte, ad adoprare espressioni polivalenti, che ammettevano le più opposte interpretazioni. Dopo ogni discorso o messaggio di Pio XII, i governi di tutte e due le parti in contrasto lo ringraziavano calorosamente per aver dato ragione alle loro tesi, ed i giornali cattolici e le gerarchie ecclesiastiche locali affermavano che il Papa aveva bollato, in modo inequivocabile, i misfatti e le atrocità degli eserciti nemici. da 1L MONoo ErnPsto Rossi ABBIAMO alcune collezioni della nuova serie. Costano $5.00 all'anno. Il ricavato sarà devoluto alla estinzione del deficit. Regalate una collezione alla biblioteca del vostro paese in Italia. CONTROCORRENTE - Aprile 1963 11

GENTE CONTIENE: i delitti di Franco - la malattia del Papa - Prominenti in 1iarata - Ricordo del Gen. Graziani - Gli scrupoli di Edda Ciano - I pi-eti e il fascismo - Giuseppe Saragat e " Il Progresso " - La pena di morte rimane in vigore - L'odissea di John Flenry Faull. - Jm,1es Cannon rettifica. Il 20 aprile 1963 il plotone d'esecuzione di Francisco Franco, ha funzionato ancora. In seguito a sentenza del Tribunale Militare, GIULIANO GRIMAU GARCIA, è stato fucilato. Sono stati inutili gli appelli e gli interventi di associazioni, di personalità, di istituzioni. Franco, il bieco tiranno, pupillo del Vaticano e glorificato dalla chiesa, ha aggiunto un'altra vittima della sua ferocia alle migliaia, sacrificate durante la sua ferrea e criminale dittatura. Sono ormai centinaia di migliaia le vittime di questo freddo e feroce mostro in sembianze umane. Le sue vittime non si contano. Le galere della Spagna rigurgitano di esseri umani che hanno r~clamato pane e libertà per i loro simili. Il nuovo delitto ordinato da questo sanguinario baciapile, che concepisce le sue vendette nel confessionale e nella sacrestia, è passato quasi inosservato dalla opinione pubblica. I governi "democratici" sono rimasti indifferenti all'eco della fucileria del plotone di esecuzione. Il che prova che la salute è in noi. A noi soli spetta il compito di vendicare le vittime delle iene reazionarie. La fucilazione di GIULIANO GRIMAU GARCIA dovrebbe spronare all'azione contro il macellaio di Madrid. Ogni azione è buona. I compagni di Milano che l'anno scorso sequestrarono il vice console spagnolo dimostrarono che tutti i mezzi sono buoni per punire le rappresaglie con le quali i mastini della reazione tentano di punirci. L'importante è fare. Attaccare in ogni modo, con qualsiasi mezzo. Non bisogna 'perdonare. Bisogna rendere pane per focaccia. Guai a chi dimentica. • Gli occhi del mondo sono sul Vaticano. Si annunzia che PAPA GIOVANNI XXIII è in fin di vita. SI è vociferato che il cancro consumi lentamente anche l'ultimo Papa. Questa esperienza del rappresentante di dio in terra, è in se stessa una lezione per i fedeli che credono nell'onnipotenza di dio. Infatti perchè il rappresentante di dio in terra dovrebbe esperimentare la stessa malattia terribile che causa la fine di tanti mortali? Questa tremenda lezione dovrebbe essere sufficiente a convincere che dio non interferisce di fronte alla legge della natura. Infatti se dio è onnipotente perchè permettere che il suo rappresentante sulla terra sia colpito come un mortale qualunque? Noi non vogliamo speculare con alla mente in ci fermiamo. deduzioni che deduzioni che si presentano circostanze come queste. E Chi sa ragionare faccia le le circostanze suggeriscono. il Nel numero di maggio 1963 "GUNS" - una rivista di carattere sportivo pubblicata a Skokie, Illinois - stampa un articolo di Shelley Braverman sul caso Sacco e Vanzetti. Il signor Braverman è un ben noto perito balistico e di armi da fuoco da oltre 30 anni. Egli definisce i giudizi e le opinioni espresse sulle evidenze tanto discusse nel caso Sacco e Vanzetti, completamente false. Nel corso dell'articolo Mr. Bravermann si domanda: 11 Furono Sacco e Vanzetti "framed '!" E risponde senza esitare: "Nella mia opinione entrambi quegli uomini furono vittime di una congiurn. Uno per uno, pezzo per pezzo, i testimoni e le evidenze usate dallo stato, sono state discreditale. Ora rimangono soltanto le evidenze nel campo balistico. - Ed è di queste evidenze che mi occupo. Data la sua posizione di perito balistico, il signor Braverman è in posizione di affermare che le evidenze usate contro Sacco e Vanzelti erano o false o malamente interpretate. Questa inattesa testimonianza è intesa a frustare in piena faccia Francis Russell, autore di TRAGEDY IN DEDHAM, il libro nel quale il signor Russell ha ammassato più distorsioni che non siano il numero delle •pagine. Il consenso sulla tela delle distorsioni contenute in questo libro, non potrebbe essere più unanime, fra coloro che conoscono bene il caso. Russell, il mercenario, ha poca ragione di essere orgoglioso. Barabba! • Alcuni lettori hanno suggerito di passare al pettine alcuni "PROMINENTI" che indossarono la camicia nera e che ora fanno sfoggio di linguaggio democratico. Ce ne occuperemo certamente. Specialmente di quelli che al posto della cimice fascista, hanno messo l'emblema della Stella della Solidarietà. Con gli anni che sono passati, sarà difficile ricordare nei dettagli le parate fasciste, col gagliardetto in testa, al grido di viva l'Impero, Viva il Duce. Allora si faceva a gara ad esibire la camicia nera, ed a seminare la calunnia contro i " nemici" della "patria". Ora i prominenti cafoni hanno imparato il linguaggio usato da "IL PROGRESSO ITALO-AMERICANO " e delle gazzette minori. Ora i cafoni prominenti che si sono spellate le mani per applaudire il duce e il fascismo, possono vantare di avere ottenuto le 'patacche dal governo che ha surrogato il fascismo. Fra questi svergognati si trovano campioni di farabutti come LUIGI SCALA, FELIX FORTE, ETTORE CAIOLA, e molti altri cantastorie dei quali avremo occasione di occuparci. Noi continueremo a mettere in vetrina i cafoni fascisti fino a tanto che avremo vita. Anche se è stata loro assegnata la patacca. 12 CONTROCORRENTE - Aprile 1963

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