attraversando un periodo di profonda revisione dei metodi produttivi, e di conseguenza anche dei rapporti fra lavoratori e datori di lavoro. Un periodo che condurrà molto probabilmente entro pochi anni alla eliminazione dell'intervento umano in ogni operazione produttiva ripetitiva, alla organizzazione di sistemi di lavoro, anche ne, processi in cui l'attendenza umana non sarà eliminata, che moltiplicheranno la produttività individuale in proporzioni grandiose. Io credo che questo processo verso l'automatizzazione non sia arrestabile; anzi sono convinto che esso potrà aumentare il benessere generale umano nelle stesse proporzioni in cui fu accresciuto dalla prima rivoluzione industriale. Però nessuno può dimenticare con quanto sangue, con quante sofferenze fu pagato il balzo che trasformò le condizioni economiche e sociali dell'umanità da un sistema agricolo e artigiano al sistema industriale affermatosi negli ultimi centocinquant'anni. Simili sacrifici devono essere evitati: l'ottuso egoismo che improntò le relazioni fra datori di lavoro e lavoratori quasi tutto il tempo in cui la prima rivoluzione industriale si sviluppò deve essere controllato, e molto probabilmente solamente l'intervento del totale complesso sociale, attraverso limitazioni ed incentivi, attraverso pianificazioni a lungo programma può evitare dolori, disperdimenti di forze, ricchezze e tempo, conflitti ed arresti nel progresso umano. Purtroppo non mi pare che nemmeno le unioni operaie abbiano una chiara idea della entità del problema: finora la loro più efficace reazione alla urgenza dei tempi nuovi è costituita dalla resistenza più o meno velata alla introduzione dei nuovi mezzi di produzione, alla richiesta che i lavoratori attualmente impiegati in schemi produttivi inefficaci non siano rimossi. Se ciò è uno spiegabile palliativo ispirato da umana solidarietà, esso non costituisce certamente una soluzione permanente. Nè d'altra ·parte è ammissibile che la riduzione della collaborazione umana nel fenomeno produttivo debba risultare in un puro vantaggio degli investitori che impiantano nuovi macchinari automatici. Se è vero che molti imprenditori sono ormai convinti che il loro benessere è fatalmente legato al continuo elevamento del livello economico delle masse, ciò non pertanto sono parecchi, e forti, coloro che, nel nome della libertà individuale, vorrebbero ritornare alle leggi della giungla. Quali saranno i cambiamenti nella struttura sociale imposti dalla nuova rivoluzione industriale non sono ancora facilmente prevedibili: come io non credo che nessuno possa per ora discutere quali vie dovranno essere trovate, non soltanto nel campo sociale, ma perfino in quello più strettamente tecnologico, per adattare la capacità umana alle nuove condizioni. I problemi di rieducazione di vasti strati di lavoratori, della educazione delle nuove generazioni in vista delle nuove richieste tecniche sono vasti, e la loro soluzione, parte del programma sociale di adattamento alle nuove esigenze, attende l'esame e l'appoggio di coloro che credono il benessere generale fatalmente legato all'espansione equilibrata ed integrata nel complesso sociale di ogni individuo, in tutte le sue caratteristiche, economiche, civili, educative e politiche. * * * Il successo della politica estera degli Stati Uniti non deve far dimenticare una questione fondamentale: il sistema sociale americano rappresenta una forte struttura, ma con basi di sviluppo storico unico. Troppo facilmente l'opinione pubblica americana è estremamente sospettosa di ogni sistema che valuti in modo più radicale i fattori generali sociali. Ma l'argomento che la più gran parte dell'umanità, sorta da poco a indipendenza nazionale, non possa attendere il lento sviluppo di una classe media per iniziare un processo di rapida industrializzazione è cosi ovvio che diventa ozioso richiamarlo. Come pure è evidentemente impossibile sperare che gruppi sociali che godono privilegi in gran parte della superficie terrestre siano pronti a rinunciare ad essi soltanto riconoscendo che nuove forze battono alla porta. Il pratico fallimento dell'Alleanza per il progresso nel!' America Latina, la instabilità di governi conservatori nell'Asia, vana• mente sostenuti dalle finanze e dalle forze armate americane sono prove del fatto che qualcuno deve prendere l'iniziativa di prospettare all'opinione pubblica americana la necessità che altri sistemi, anche se accusati da social-comunismo dai patriottardi, hanno diritto di esistere ed esperimentare i loro metodi e programmi. Il fatale errore di Cuba non dovrebbe essere ripetuto: ma lo spirito prevalente è chiaramente diretto a non ammettere in alcuna parte del mondo un sistema di governo che abbia come programma fondamentale la spogliazione dei monopoli di poche famiglie controllanti le fonti produttive di intere nazioni. Troppo facilmente gli americani dimenticano gli insegnamenti degli avvenimenti di cento anni fa; troppo facilmente essi non rammentano che la emancipazione degli schiavi, premessa fondamentale della evoluzione industriale degli Stati Uniti, che sarebbero stati dilaniati se l'operaio schiavo fosse stato messo di fianco al lavoratore libero, fu avverata soltanto attraverso una operazione di esproprio non compensato di pro• porzioni gigantesche. Ai liberali spetta il compito, anco.ra vivo ed attuale, di preparare l'opinione pubblica alla comprensione dei tempi nuovi. Ad essi resta il carico di influire perchè i profondi rinnovamenti urgenti in molte nazioni su cui gli Stati Uniti esercitano influenza siano riconosciuti e siano affidati a coloro che li possono effettuare, che hanno la volontà di attuarli. L'immenso continente sud americano è evidentemente in ebullizione: non basteranno certamente le poche centinaia di milioni di dollari forniti da Wash· ington, e immediatamente prevaricati da coloro che dovrebbero usarli a distruggere 4 CONTROCORRENTE - Febbraio 1963
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