Controcorrente - anno XVIII - n. 30 - mag.-giu. 1962

provìncìale deì cappuccm1. Era pallidissi· mo e sembrava in preda a grande agita• zione. Disse che poche ore prima Carmelo Lo Bartolo, l'ortolano del convento, era stato avvicinato nelle campagne da due uomini mascherati i quali gli avevano imposto di esigere, propno dal venerando rettore provinciale, la consegna immediata di duecentomila lire. Il vecchio monaco aveva visto la cella di padre Agrippino sconvolta dai pallettoni a lupara e non ebbe esitazioni. Il primo esperimento era riuscito. Cosi cominciò il terrore a Mazzarino. Non è stato possibile conoscere, nè forse lo sarà mai, quante estorsioni furono con• sumate in due anni. Non ci fu una sola denuncia; ancora oggi è probabile che molte delle vittime, sopraffatte dal terrore, abbiano rinunciato a denunciare le violenze che subirono. La più atroce di tutte fu quella consumata contro la famiglia del cavaliere Cannata, un ricchissimo agricoltore. Gli arrivò una lettera in cui gli si ordinava di pagare entro una settimana la somma di dieci milioni di lire, conse• gnandola a frate Carmelo, il più vecchlo dei cappuccini. C'era un particolare: frate Carmelo, anche egli nahlvo di Mazzarino, era un intimo amico e confidente della famiglia Cannata da oltre un cinquantennio: aveva fra l'altro unito in matrimonio il cavaliere Angelo con la moglie, celebrava ogni domenica messa nella loro cappella privata, aveva battezzato il loro unico bambino. Il cavaliere Cannata era proprietario di giardini d'aranci e d'uliveti, aveva denaro di che pagare, ma era anche un po' avaro e spavaldo. Cercò insomma di resistere. Fece chiamare il vegliardo frate Carmelo e gli mostrò la lettera. Il cappuccino la lesse con malinconica attenzione, poi la piegò accuratamente e la restitul. " Mi avevano già informato - disse. - Ahimè: o pagare o morire!" Il cavaliere Cannata ebbe uno scoppio di collera. "Al massimo io pago duecentomila lire! " gridò. " E se i picciotti non accettano? " chiese docilmente il monaco. Il cavaliere Cannata non pagò e quindici giorni dopo, mentre con la moglie e 41 figlio andava in auto verso la sua tenuta, si vide il passo sbarrato da due individui armati di moschetto i quali lo fecero scencfere dalla vettura e inginocchiare nei pressi di un muretto. Alla donna ed al bambino paralizzati dalla paura dissero: " Fate attenzione allo spettacolo e ricordatevelo!". Poi cominciarono a sparare contro il Cannata. Gli tirarono sei proiet· tili alle gambe poichè forse intendevano solo ferirlo e indurlo a pagare, e lo lasciarono infatti svenuto e sanguinante in mezzo all'asfalto. Invece il cavaliere Can• nata mori un'ora dopo, mentre lo trasportavano all'ospedale di Caltanissetta. Passò appena una settimana. Mentre la povera vedova, ancora in gramaglie, rice• veva le visite di condoglianze, le arrivò una lettera: "Abbiamo ucciso vostro marìto che non voleva pagare. Decidetevi a consegnare quei dieci milioni a padre Carmelo o uccideremo anche vostro figlio!". Poche ore dopo arrivò ansimando il vec· chissimo padre Carmelo e sedette dirimpetto alla vedova. Le prese una mano fra le sue e gliela carezzò a lungo a mo' di consolazione. " Coraggio, coraggio - disse. - Ho portato fiori sulla tomba del cavaliere e gli ho consolato l'anima con una prece! ". Poi carezzò sulla testa anche il figlioletto della vedova: "Com'è bello - mormorò. - Povevino! ". La vedova Can• nata dette mezzo milione a Padre Carmelo; poi dopo solo due giorni un altro mezzo mi• !ione, che il vecchio frate conservò nella sacca delle elemosine. " Speriamo che i picciotti si contentino!" disse. In quelle stesse settimane bruciava misteriosamente la farmacia del dottore Colajanni, uno dei possidenti più ricchi di Mazzarino che tergiversava pure nel pagare i quattro milioni richiestigli dai banditi. Il sabotaggio fu subito convincente. Ad incassare la prima "rata" dell'estorsione venne padre Venanzio. Era il più ruvido dei quattro frati incaricati delle esazioni, il più barbuto di tutti. Soppesò nel cavo della mano le cinquanta carte da diecimila lire che il farmacista gli consegnava e fece una smorfia: "E che si comprano le siga• rette con queste? " obiettò. La seconda rata di mezzo milione venne invece a trattarla padre Vittorio, che era il guardiano del convento e quindi dotato di maniere più gentili e convincenti. Assicurò persino la vittima che avrebbe provveduto ad avvertire di quanto accadeva il rettore provinciale dei cappuccini, padre Costan· tino ed infatti gli inviò padre Venanzio come ambasciatore. " Imploro la vostra benedizione - disse padre Venanzio al superiore. - Ma al convento le cose vanno di male in peggio. Ogni sera quel povero ortolano del Lo Bartolo arriva morto di paura a riferirci nuovi ordini e ricatti dei mafiosi alla popo• !azione. Ora, per esempio, i banditi vo• gliono da vossignoria altre quattrocento• mila lire. Se non paga entro sette giorni è morto. Rispettosamente mi chiedo cosa dobbiamo fare?". E che avrebbe dovuto fare il povero padre Costantino a settant'anni, pavido per na• tura, ammalato di gotta, sempre più terro• rizzato dall'incubo di prendersi due fucilate alla schiena (l'assassinio del cavaliere Cannata aveva spento oramai qualsiasi spirito di ribellione). Il vecchio frate subl anche questa volta; vendette i paramenti sacri, l'anello di sacerdozio, una coperta d'altare intessuta di filigrane dorate, e pagò le quattrocentomila lire. La liberazione venne improvvisa. Come spesso accade fu il disperato coraggio di un uomo solo a liberare la comunità. Un uomo povero e umile, la guardia munici· pale Giovanni Stuppia alla quale i banditi avevano chiesto soltanto quarantamila lire, cioè l'equivalente di uno stipendio. "Se un monaco s'azzarda a chiedermi soldi gli taglio la barba!" rispose. Di notte, mentre tornava a casa, gli spararono alle gambe 14 CONTROCORRENTE - Giugno 1962

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