da parte di coloro che conoscevano il vero esiguo numero. Ma le spie sono più forti della prudenza, le spie non perdonano al coraggio. Un giorno, il 14 settembre 1944, indicarono alle brigate nere una casa di via del Miliario. Là c'erano alcuni gappisti e l'Irma. Tra i gappisti Sergio Galanti, il suo fidan· zato. S'impegnò il combattimento a forze dispari. I partigiani tentarono una sortita per raggiungere la base di via Ponte Romano dove era l'Ada con altri compagni. Vi giunsero sparando, ma anche là avevano fatto gioco le spiate, e li aspettava un rinforzo di fascisti. Dopo tanto rumore di spari in via Ponte Romano tornò il silenzio. E' una piccola strada che finisce sul Reno, contro una enorme draga per lo scavo della ghiaia. Un paesaggio profondo e seri-o a causa del lungo braccio nero inclinato. E quella sera il grande strumento del lavoro, fermo, sembrava che acquistasse una vita e uno sguardo, verso il cadavere di Sergio Galanti, caduto li vicino, che i fascisti non permisero di muovere per tre giorni. "Per un esempio" dissero. I rari terrorizzati abitanti delle case intorno, aprivano appena le persiane, vedevano il corpo, richiudevano. • • • Dal momento in cui l'Ada e l'Irma furono portate alla caserma di via Borgolocchi non se ne seppe più niente fino alla notizia scarna della fucilazione. Sicuramente i "neri " di via Borgolocchi non raccontano che cosa hanno fatto di loro nei due giorni che le hanno tenute là dentro. E tanto era quello che hanno fatto che non poterono fare a meno di ammazzarle. Se anche qualcuno avesse detto: "Che peccato, due belle ragazze, meglio cercare di portarle a letto! " doveva essere un ingenuo, o appena arrivato, e subito tutti gli avrebbero dato sulla voce. "A letto di loro voglia con noi non ci vengono. E poi non vedi come sono conciate?" Tutto devono avere patito le due ragazze in quei giorni misteriosi. Torture, offese, violenze e di quale specie s'immagina, lusinghe, promesse, terrori. Niente. L'Ada e l'Irma non dissero una parola che potesse lacerare il tessuto clandestino o portare danno ai compagni. Forse avranno gridato, ma i gridi non sono nomi non dicono niente se non la inesorabile ;evizia fisica e altrettanto inesorabile, la forza della resistenza. Soltanto una persona poteva narrare i fatti del martirio. Era un religioso cui l'Irma, credente, si confessò. Ma egli si mise in salvo dietro il segreto della confessione. Nulla del resto si poteva aspettare da un uomo che, vestendo un santo abito, andava nella caserma delle brigate nere di via Borgolocchi. La mattina del 16 settembre portarono l'Ada e l'Irma al Poligono e le fucilarono. Certo la morte fu l'operazione meno dura per il corpo. L'istinto di continuare ad esistere, il diritto di rimanere al mondo con tanti anni da vivere, non si sa come siano stati nell'ultimo momento. Certo non furono tali da rompere in loro il grande silenzio. Al colmo dell'ira i fascisti fucilarono il ragazzo che anche lui non aveva parlato. --- RENATA VIGANO' Al prossimo numero: LIVIA VENTURINI - ROSA ZANOTII NOTE SUI CAVALIERATI Non seguiamo diligentemente le cronache dei cavalieri e delle commende che sono conferite all'estero su proposte dei Consoli o sono barattate da certi Ordini cavallereschi il cui periodo di resurrezione rimonta alla fine della maledetta monarchia sabauda. Le notiziole su questi sedicenti Ordini che appagano le brame di cafoni arricchiti e di f>anti vanitosi, le spulciamo dalla stampa coloniale che si presta a soffiettare tali cretini. Le informazioni sulle stelle e croci d'Italia che piovono sulle colonie le raccogliamo dalla stessa stampa. Il Console non ci tiene al corrente e anche se lo facesse, i suoi comunicati sarebbero cestinati. Però ci piace essere imparziali: noi che frequentemente diamo una violenta tirata d'orecchie al Console dottor Trinchieri, di Boston. per le affettuose cure che egli prodiga ai fascisti di ieri. caricandoli di ;medaglie e croci, stelle e diplomi, ora dobbiamo dire 1•Per una volta. va bene!", riferendoci alla croce di cavaliere che è stata conferita alla professoressa Angelina La Piana. La notizia di questo riconoscimento ad una colta italiana l'abbiamo letta in uno dei moribondi giornali italo-americani di Boston. Siamo certi che la professoressa La Piana non si interesserà del nostro giudizio. Ottima conclusione. Noi non soffiamo nel mantice, per nessuno. In questo caso specifico. siamo del parere che la signorina non legge affatto i giornali italiani di Boston perchè sa che in quelle pagine non v'è un articolo degno di esser letto. O riletto, perchè quel prodotto delle forbici è già apparso nei giornali d'Italia. E' una vera frode giornalistica. Se gli avvisanti fossero più intelligenti dei lettori, non sprecherebbero danaro servendosi di quel giornalucoli. Ma questo non è affare nostro. Parlando di stampa italiana e di Ordini caYallereschi che puzzano di cavalli morti, abbiamo letto in un paio di riviste italo-americane l'incredibile annunzio di un titolo nobiliare decretato ad un annunziatore radiofonico da un principe, o qualche cosa similmente pomposo, che, lasciato l'Italia, ha messo su la sua giostra nel Sud America, e di là spaccia titoli di barone, conte etc., oltre che croci e patacche di ornatissima fattura. Tra le linee il neonobiluccio (dice lui!) fa comprendere che egli può raccomandare gli aspiranti a tali onori ( !!! ? ? ?) , accompagnando la richiesta con una generosa offerta. Dunque, quei prominenti in Boston i quali stanno ad ansimare per una crocetta, stella o altro gingillo, vadano a fare la loro richiesta al suddetto cacacroci. S. 22 CONTROCORRENTE - Febbraio 1962
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