e solamente la collaborazione continua, critica, antidogmatica dell'individuo nell'ambito della società può soddisfare il compimento. E perciò non 'PUÒ accettare come valida la soluzione offerta dal partito comunista, se non come transizione occasionale per immettere nella vita moderna gruppi che sono ancora immersi in sistemi sociali incompatibili coll'odierna tecnologia, che debbono per necessità ricorrere a rigide pianificazioni sociali per liberarsi da servitù e distruggere privilegi, per creare dalla forzata collaborazione i mezzi per un futuro sviluppo. Documenti Per contro, però, la rigidità della interpretazione del progresso sociale offerta dagli Stati Uniti, come 'Prodotto di un sistema essenzialmente basato sull'incontrollato movente di profitto individuale può far ricordare che la decadenza delle passate civilizzazioni fu il frutto della loro incaJpacità ad interpretare i bisogni di gruppi che via via acquistavano influenza civile e di adattare i propri istituti alle continuamente variabili circostanze. Davide Jona TESTIMONIANZPAEREICHMANN di PRIMO LEVI Di fronte ai documenti infiniti di accusa che sono esaminati al processo Eichmann, troppi se si trattasse di decidere del semplice destino di un uomo anche se questi è un grande criminale, ci pare che l'accusa più forte si possa fondare su testimonianze come quella di Primo Levi (letta a Torino la sera del 23 febbraio 1961 nel corso di una riunione su "Auschwitz e i campi di concentramento nazisti"). Sarebbe troppo semplice se un uomo solo, o tre, qu,attro, cento o poche migliaia ài uomini potessero compiere tanto male quanto quello che è stato compiuto. L'acC"tt-Sa,oltre che contro i singoli colpevoli, è contro una società, contro un modo che da questa vien fuori di concepire la vjta e la morte. E l'ac=a scaturisce dalla coscienza di poter contrapporre un'altra èoncezione, un'altra società. La testimonianza di Primo Levi ci fa intendere e la società condannata e la società umana che può condannarla. Per questo siamo grati all'autore. (Il Ponte)-Aprile 1961. Dalla fine dei Lager nazisti sono passati ormai molti anni. Sono stati anni densi di avvenimenti per il mondo, e, per noi superstiti, anni di chiarificazione e di decantazione. Siamo perciò in grado di dire oggi cose che appena liberati, abbagliati per così dire dalla vita riconquistata, non avremmo detto con chiarezza. In noi e in tutti, ai moti d'animo più immediati, allo sdegno, alla pietà, allo stupore incredulo, è subentrata una disposizione più estesa, più aperta. Le nostre storie individuali, da cronache concitate, si avviano a diventare storia. Penso che a questo sia dovuto il iiinnovato interesse che i giovani manifestano per le nostre parole: si è creata una nuova atmosfera, i tempi sono maturi per un giudizio. Siamo lieti di constatarlo: nessuna persona normale ha preso partito contro di noi, nessuno giustifica apertamente i nostri persecutori di allora (alcuni anormali si: ma appunto, sono anormali>. Tuttavia, negli incontri ormai numerosi che abbiamo avuto col pubblico, due obiezioni ci sono state frequentemente rivolte. Perchè siete parziali, perohè ci parlate dei Lager nazisti, e non degli altri ca'Pitoli oscuri della storia recente? Oppure, più in generale: perchè continuate a parlarci di orrori? La risposta alla prima obiezione mi pare immediata, obbligata: vi parliamo dei Lager nazisti perchè In quelli noi siamo stati, e perchè essi costituiscono la pagina più turpe della storia umana. Quelle immagini che voi avete viste alle Mostre, anche qui a Torino, fanno parte della nostra esperienza diretta, stanno annidate nelle nostre memorie, hanno agito su di noi; queste prove ci hanno arricchiti, hanno tatto di noi dei giudici. Sappiamo che altro male nel mondo è stato commesso, viene ancora commesso: la nostra condanna si estende a tutto questo male. Questo deve essere chiaro; ogni notizia che ci perviene, di massacri, di torture, di treni piombati, di sofferenze gratuitamente inflitte ad innocenti, di ingiustizie, ognuna di queste notizie ci riguarda, ci trova sensibili: la nostra condanna si estende a tutte. Ognuno che ritorni a narrare di stragi di donne e di bambini, per mano di chiunque, in qualunque terra, in nome di qualsiasi ideologia, è nostro fratello, e siamo solidali con lui. Ma è nostro compito portare testimonianza in primo luogo su quanto abbiamo visto, e qui veniamo alla seconda obiezione. Perchè parlare ancora di atrocità? Non sono cose passate? I tede5chi di oggi non hanno mostrato di rinnegare i loro trascorsi? Perchè seminare altro odio? Perehè turbare le coscienze dei nostri figli? Domande simili S(!afuriscono spesso da mala fede o da coscienza dubbia, ma non sempre; comunque, vi si può rispondere in molti modi. Si può giustamente, sostenere AOOSTO 1961 11
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