sfogliò precocemente Il libro della vita. Godevo l'anùcizia e la stima di tutti: attendevo all'esercizio del caffè, e alla coltivazione del giardino di mio padre. Ma tale serenità fu presti, annientata dalla più atroce sventura che possa colpire un uomo. Un triste giorno mia madre si ammalò. Ciò che soffri essa, la famiglia, lo, nessuna penna può descrivere. Il più lieve rumore le cagionava spasimi atroci. Quante volte moosi alla sera ver.so allegre oomltive di giovani che s'avvrclnavano cantando, ,pregandoli per l'amor d'iddio e delle loro madri, di smevtere il canto; quante volte pregai gli uomini che conversavano sull'angiolo della via, di scostarsi. Nelle ultime settimane le sue sofferenre divennero cosi strazianti, che nè a mio padre, nè ai congiunti e amici più cari 'bastava Il cuore di assisterla. Io solo 'ebbi l'animo di non abbandlonarla mai. L'assistetti giorno e notte; per due mesi non ml spogliai. Non valsero gli sforzi della scienza, I voti, le cure, l'amore: dQpoOtre mesi di letto, nel silenzio crepuscolare d'una sera, spirò tra le mie braccia. Mori senza udirnù piangere. Io la composi nella bara; io l'accompagnai all'ultima dimora; i:o gettai per primo, sulla bara, un pugno di ter,ra; sentii che qualcosa di mie era sceso con mia madre nella fossa. Ma fu troppo: il tempo anzichè affievolire, rincrudeliva il nùo dolore. Vidi mio padre incanutire In breve teml)O. ' Anch'i:o divenivo sempre :più cupo e silenzioso; non parlavo per intere giornate e passavo il giorno errando per le foreste che fiancheggiano la Magra. Molte volte, cercandone Il ponte, mi fermavo a guardar le ·pietre bianche e asciutte del suo !et.bo secco, con una gran volontà di gettarmi a capofitto e sfragellarmi il cranio sovr'esse. In breve, vedevo con disperazione la pazzia ed il suicidio dinanzi a me. Fu allora che decisi di venire in Am'erica. Il 9 giugno 1908 lasciai i nùei cari. Era tale la piena del dolore in me che baciai loro le mani, senza poter pronunziare sillaba. Mio padre stretto dalla medesima morsa, era muto a ,pari di me, mentre le sorelle singhiozzavano come quando moriva la mamma. La popolazione era corsa sul limitare delte porte ml sautava commossa. Dagli anùcl che ml accompagnarono in OTTOBRE 1960 massa alla stazione, m'acoonùatai con un bacio e saltai sul treno. Chiudo con un aneddoto. Poche ore prima di partire mi recai a salutare una buDlla vecchia che aveva per me un amor materno. La trovai sulla soglia dell'uscio, assieme alla giovane sposa di suo figlio. - Ah! sei venuto - mi disse - ti aspettavo. Và e che Dio ti benedica; non si è mai visto un figliuolo rare per la madre quello che hai fatto tu. Va; che tu sia benedetto. Ci baciammo. Mi rivolsi alla giovane sposa e le tesi la mano. ' - Mi baci anche me; io le voglio tanto bene, chè lei è tanto bu,ono - mi disse fra il ,pianto quella nobile popolana. La baciai e fuggii. Le intesi singhiozzare. L'undici giugno lasciavo Torino diretto a Modane. Mentre la macchina sbuffante, volto il tergo all'Italia, mi ,portava verso i confini, qualche silenziosa lacrima cadde dai miei occhi cosi poco usi al pianto. Così, abbandonava la terra natia questo senza patria! Cosi, florlvalllo le benedizioni di quelle semplici anime, di quei nobili cuori! • • • Dopo due giorni di treno attraverso la Francia, e sette di navigazione attraverso l'Oceano, giunsi a New York. Un compagno di viagg~o mi condusse alla 25.ma strada, all'angolo della 7th Avenue, ove abitava un mio concittadino. Alle otto di sera scendevo melanconicamente le scale. Solo, straniero, senza intendere nè essere inteso, passeggiavo ,per quel quartiere in cerca di un al1oggio. Alla batteria il personale di servizio, tratta i passeggieri di terza classe a mò d"armePbo - triste sorpresa per chi sbarca speranzoso su questo lido - questo povero quartiere poi, mi fece un'impressione addirittura spaventevole. Trovai un meschino aUoggio in una casa equivoca. Dopo tre giorni dal mio arrivo, il mio concittadino che lavorava da capo cuoco in un Club alla 86.ma strada West in riva all'Hudson, mi portò al lavoro in qualità di sguattero, IO'Verimasi tre mesi. L'orari-o era lungo: in soffitta, dove si dormiva Il caldo era soffocante, e i "paraS3iti" non lasciavano chiuder occhio, quant'era lunga la notte. Decisi di dormire sotto gli alberi. Lasciato quel posto trovai la stessa occupazione al Ristorante Mauquin. • La "pantry" era orribile. Nessuna finestra; se si 11
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