Controcorrente - anno XVII - n. 19 - lug.-ago.1960

TENSIONE I.E NAZIONI UNITE Il presente stato di tensione, provocato dall'oscura situazione del Congo, abbandonato in condizioni di completo collasso dalla recente ed improvvisa rinuncia belga alla sovranità coloniale, non è finora precipitato in una più vasta e disastrosa crisi, con immediato pericolo di interventi armati da parte delle grandi potenze, soltanto in grazia della esistenza della Organizzazione d-eile Nazioni Unite. E' purtuttavia uno stato di tensione estremamente pericoloso, e l'azione moderatrice dell'Organizzazione può proprio in questi giorni esser resa vana da un qualsiasi irrigidimento, sia da parte d-el governo del nuovo Congo, sia da parte di una delle grandi pot-enze. E' senza dubbio grave responsabilità dei belgi il non aver voluto, negli ottant'anni e più di dominio nel Congo, offrire agli indigeni qualsiasi opportunità verso un autogoverno, awr negato ad essi ogni possibilità di educazione. Molto probabilmente è vera e giustificata l'asserzione del premier Lumumba, sostenuta dal blocco comumsta, che i belgi hanno creato un artificiale movimento separatista, ed hanno messo al potere un loro vassallo di colore, nella ricca provincia del Katanga, soltanto per prolungare, se non perpetuare, il loro sistema di sfruttamento delle ricchezze e delle popolazioni Indigene. Qualche settimana fa parve che l'intervento di una organizzazione sopranazionale, sostenuta da truppe tratte da paesi certamente non sospetti di mire imperialiste, fosse il rimedio più sicuro, più immediato, per riportare la calma in un paese dilaniato da disordini, incapace di costituirsi in pace e civiltà, all'orlo del collasso, proprio all'indomani dello stabili• mento della indipendenza. Purtroppo la calma non è tornata al Congo, e la crisi si sta proprio in questi giorni estendendo nel seno della Organizzazione delle Nazioni Unite. Il governo in· digeno si ritiene diminuito, ridotto ad un pupillo senza potere di una istituzione lontana, non facilment,e spiegabile, quando sperava di esercitare appieno una sovranità nazionale. Perciò si ribella a queJla lontana, incompresa autorità, e richiede di poter usare le truppe internazionali per ridurre all'obbedienza i ribelli e traditori del Katanga. Il Belgio, che ha ancora investimenti finanziari importanti nell'area, che sa che le vite di connazionali, oltre che i loro averi, sono in pericolo, resiste all'ordine di ritirare le sue truppe, rimaste o di recente mandate nel Congo. I due colossi, Stati Uniti d'America e Russia manovrano più o meno sott'acqua, da una parte per non scontentare il Belgio aJJeato e per salvare investimenti capitalistici, tanto belgi come americani; dall'altra per sfruttare a scopo di propaganda la impazienza dei popoli da troppi anni oppressi e sfruttati, 4 molte. voit_e,. e per troppo a lungo, con sistemi orr1b1imente barbarici e crudeli che ingenuamente sperano che la partenza degli antichi padroni, o meglio ancora la loro cacciata violenta segni l'inizio del loro progresso e della loro felicità. Sopratutto per le manovre dei due più grandi poteri industriali e militari la situazione può diventare esplosiva. Mollo probabilmente, lasciali a sè stessi, i popoli africani riconoscerebbero i vantaggi di una azione delle Nazioni Unite: essi dovrebbero presto riconoscere che dalle Nazioni Unite possono e debbono ricevere aiuto per superare crisi di sviluppo, per evitare situazioni che possono sfociare in implicazioni internazionali. Ma che essi pure debbono risolvere i propri problemi interni in modo civile, senza richiedere l'uso delle foi-~e internazionali per soffocare quella che può essere benissimo una rivolta, ma che può pure essere la manifestazione spontanea di forze locali giustitl· cale. Che cosa possono le nuove nazioni sperare da una crisi che demollsea l'Orgamzzazione delle Nazioni Unite, che le abbandoni, in un momento di difficile sviluppo, alle mire ed agli appeUli dei più potenti? Soltanto in un foro in cui essi possano far sentire la loro voce essi possono trovare difesa. Nello stato di crisi più o meno aperta in cui esse dovranno adattarsi per anni, prima di educare una classe dirigente, come possono essi sperare di sopravvivere in libertà? Dobbiamo forse tornare alla politica di cento, cinquanta anni fa, alla conferenza di Algeciras, alle spedizioni di flotte per intimidire conati di libertà. alla spartizione del mondo in zone di colonizzazione a favore di uno o dell'altro dei potenti, soltanto perchè i tentativi di organizzazione delle nuove nazioni incontrano difficoltà? Soltanto perchè nessuno dei potenti può tollerare che il suo competitore si approfitti delle condizioni di disordine di una nuova nazione per in'filtrarsi incontrollato in una nuova zona? Ma d'altra parte è anche evidente che le grandi potenze stesse non possono arrischiare l'impellente pericolo di guerra scalzando l'azione della Organizzazione. Le conseguenze di un conflitto, ognuno lo sa, sono catastrofiche oramai, e nessuno potrà mai es9ere un vincitore, se non con <perdite cosi sanguinose, da compromettere la propria esistenza, se non la continuazione della Tazza umana sulla faccia della terra. Perciò la truculenza dei pronunciamenti e le minacce alla esistenza della Organizzazione, che in questi giorni sono diventate comuni, possono molto probabilmente coprire intenzioni meno bellicose. Senza dubbio la Russia, dura quanto è nelle trattative, ha dato prova in questi ultimi tempi di sapersi contenere se il pericolo di guerra CONTROCORRENTE

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