Controcorrente - anno XVI - n. 17 - mar.-apr. 1960

UNA DATA: 24 MARZO 1944 I ROMANIALLEARDEATINE Chi voglia comprendere che cosa rappresenti il massacro delle Fosse Ardeatine per i romani, vada alle Tombe in pellegrinaggio, come noi facciamo ogni anno, tenendo per mano i nostri figli. Ci vada nel giorno dell'anniversario, perchè è bello che vi sia un giorno nel quale il popolo fa attestazione pubblica e -soleJl!Iledi fede, e inchina le bandiere e brucia l'incenso dei vari riti su quelle tombe. Ma torni nel luogo sacro, in qualche ora silenziosa del mattino, da solo o in piccola brigata: perchè più bello ancora è vivere qualche minuto Jn solitudine con quei morti, e cogliere daJle grotte, dalle tombe, dal monumento, dalla campagna circostante quell'ineffabile mescolanza di vita e morte che in nessun altro cimitero abbiamo sentito. Felice l'artista che seppe esprimere con si profonda intuizione, per le vie misteriose dell'arte, la commozione di quel sacrificio. E fortunato il nostro paese, che seppe trovare quell'artista, e affidargli, perchè lo esprimesse, col granito, con la terra rossa, con l'erba verde dei colli circostanti, un sentimento cosi puro. Certo noi eravamo aJlora tutti più giovani: certo la nostra speranza nel rinnovamento del mondo era ancora viva, e più caldo il sangue che ci scorreva nelle vene, e intatta ancora la fiducia nella fresca forza dei nostri ideali. Come avremmo potuto, altri.menti, trovare un così perfetto accordo di linee, di colori, di luce e di silenzio? La campagna intorno è pur sempre la campagna romana, silenziosa e solenne, augusta nella sua solitudine: ma il sole di primavera la scalda, la fa viva di fremiti, di colore, di pigolii d'uccelli. E le tombe si allineano sotto quella gran pietra bigia, la coltre funebre che tutte Insieme le copre, e tutte le schiaccia. Quella è la nota che ci dice che i nostri cari, giovani e vecchi, poveri e ricchi, sconosciuti e amici, sono morti; per quella pietra sentiamo che torrenti di vita furono fermati per sempre, e spenti per l'eternità occhi luminosi e corpi guizzanti furon fatti pietre immobili ... Oosl !s'avvia il colloquio con quei morti. Un discorso non lieto, tutto sommato: come sempre accade, ci vien fatto di pensare a ciò ohe il mondo avrebbe dovuto esserP dopo di loro, un mondo puro e giovane, e a quello che è, così stretto e meschino e pettegolo: a questa repubblica, pallido fant81Sma di quella che essi sognarono, splendida, raggiante: a questa Italia, che fatica tanto a scuotersi di dosso gli stracci dei vizi suoi secolari: l'accidia, la furberia, il compromesso, l'approssimazione, il cinismo; questa Italia, che essi volevano coraggiosa senza gonfiezza, allegra, senza buffoneria, austera senza bacchettonaggine. Ma poi il d,scorso si placa. Non si sta qualche tempo con quei morti e in quel luogo, senza salire nella visione della pace, e pacate speranze, e forza per combattere e per sperare ancora. Ca ira. Cosi è che noi portiamo alle Fosse Ardeatine i nostri figli. E peggio per chi non sente quel che essi dicono. Peggio per chi non ha avuto ancora il coraggio di condannare e rinnegare i principii bestiali che cacciarono i nostri morti là, in quelle tombe allineate. Peggio per chi, per tema di ammettere e riconoscere gli errori che ciascuno di noi, qual più qual meno, ha commessi, non osa sconfessare quelle formule che volevano rigenerare il mondo, e segneranno un'età rozza, ignorante, confusa e crudele. Verrà giorno in cui gli uomini saranno civili davvero: e •studiando la storia di questi anni nostri tormentati, si meraviglieranno che le prime conquiste durevoli e penetranti sulla natura si siano accompagnate a massacri inenarrabili, aJlo sterminio di razze intere, alle camere a gas, alle fucilazioni di Marzabotto e delle Fù5Se Ardeatine: dolori inauditi, fiumi di lagrime, ondate di sangue in onore di chi? In omaggio a che cosa? A vecchi miti consunti, scoperti dall'umanità nei vagiti della sua infanzia, e cento volte condannati e maledetti e poi infine rispolverati per nostra sventura. Ma più ancora desterà meraviglia che dopo quegli anni di lutto vi sia stato ancora - ma per quanto tempo? - qualcuno che sacrificasse a quei miti grossolani e incolti, ed osasse perfino spacciarli agli occhi dei giovani come degni di accendere una fede e di alzare una bandiera. Per congenita rozzezza, per interesse, per vanità, ma soprattutto per quell'orgoglio che ci vieta di riconoscere che abbiamo sbagliato. Nicola RomuaJdl La Voce Repubblicana 24 Marzo 1957

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