Controcorrente - anno XVI - n. 17 - mar.-apr. 1960

votato, sì recò a bordo d'una seicento, assieme alla moglie Eleonora Sapio, all'unico figlio, alla cameriera ed all'autista in una sua proprietà, in contrada Prato. Verso le 17 decise di tornare in paese e s'avviò in macchina. Prima di giungere sulla strada nazionale, però, l'utilitaria venne fermata da tre idividui mascherati con delle calze di naylon e armati di moschetti militari, i quali dntimarono a Cannata di scendere dalla machina e di seguirli dietro una siepe. Cosa gli dissero non si potrà mai sapere. Ma, ad un certo punto, la moglie senti, secco, il colpo d'un Cucile. Si precipitò dietro la siepe: dei malfattori nessuna traccia ma il marito giaceva al suolo, in una pozza di sangue. Trasportato all'ospedale di Mazzarino il poveretto moriva per dissamguamento. Gli ignoti ricattatori avevano mantenuto la loro promessa. La morte del Cannata suscitò grande impressione in tutta la Sicilia ma i malfattori, coperti dal solito fitto velo dell'omertà, riuscirono a restare impuniti. Angelo Cannata era morto ormai da qualche mese quando le lettere anonime cominciarono a circolare con più frequenza. li primo a riceverle fu proprio il farmacista Colajanni. Nella nuova lettera i banditi chiedevano i soliti tre milioni e davano strane istruzioni. Infatti Colajanni doveva consegnare la somma ad un cappuccino, frate Carmelo (al secolo Luigi Galizia, di 31 anni) che si sarebbe recato da lui assieme al guardiano del convento frate Vittorio, (al secolo Ugo Bonnissut-o, di 40 anni). li pover'uomo quindi, impaurito, versò la somma ma nello stesso tempo si recò dai superiori dei monaci, a Gela, dove espose i fatti. Nessuno ~ppe cosa rispondergli e i frati di Gela si strinsero =Ile spalle. Anche la signora Sapio, vedova del Cannata, ricevette una nuova lettera nella quale le venivano richiesti dieci milioni, pena la morte dell'urtico figlioletto. La donna, che secondo le istruzioni doveva consegnare la fortissima somma nelle mani di un altro monaco, frate Agrippino. dimostrò una buona dose di coraggio e, dopo essersi consultata con il fratello, denunziò il caso ai carabinieri. Intanto frate Agrippino continuava a dir messa ed a confessare. Si dice addirittura che, nel segreto del confessionale egli stesso, mentre la signora Sapio stava confessandooi, ebbe a dirle: "Signora, 'J)er il suo ed il mio bene APRILE 1960 versi quella somma, è gente che non perdona". Questi fatti non potevano essere ignorati, bisognava interrogare i monaci, ed i carabinieri lo fecero. Anzitutto, effettuarono un sopraluogo nel convento ed ebbero la prima grossa sorpresa. Nella stanza destinata al custode e giardiniere, Carmelo Lo Bartolo, venne trovato un fucile da caccia .,on le canne mozzate. RicMesta ai monaci una spiegazione, frate Agrippino in un primo momento sostenne che il fucile era stato comprato dal convento al Lo Hartolo perchè difendesse i religiooi. Poi, però, messo alle strette, confessò che l'autore dell'attentato del quale egli stesso era rimasto vittima nel lontano 21 novembre del 1956 era stato Lo Bartolo, che poi aveva costretto i monaci a sottostare alla sua volontà: li mandava persino a riscuotere le forti somme richieste ai possidenti mazzarinesi. Secondo la confessione del frate quindi, anche i religiosi erano delle povere vittime, costrette ad agire contro la loro stessa volontà. Il giardiniere custode venne immediatan1ente, ma invano, ricercato. Si venne a sapere poi che, munito d'una specie di salvacondotto da frate Agrippino, era riparato in un convento di cappuccini della provincia di Ragusa. Le ricerche ormai a,·evano ormai assunto un ritmo spasmodico. Bisognava trovare la macchina da scrivere sulla quale le lettere ricattatorie erano state battute, ma anche la macchina s'era volatilizzata. Ormai era passato un anno dall'uccisione del Cannata quando si verificò la prima sorpresa. Tre contadini di Mazzarino, Luigi Nicoletti, Girolamo Azzolina e Giuseppe Salemi venivano tratti in arresto quali autori dell'omicidio Oannata. Quasi contemporaneamente a Ge-nova veniva rintracciato Carmelo Lo Bartolo mentre, in 'JlOS· sesso d'una grossa somma, stava contrattando l'acquisto d'una villa in riviera. Tradotto a Caltanissetta il giardiniere, tra l'altro analfabeta, veniva interrogato subito dal giudice dstruttore. La stessa sera però, verso le 20, le guardie carcerarie veni\'ano chiamate da un detenuto che aveva la cella di fronte a quella del Lo Bartolo. Entrate nella cella del giardiniere, le guardie lo trovarono morto, impiccato ad un chiodo alto appena due centimetri più di lui. Le maglie della giustizia si stringevano intorno al monaci di Mazzarino. Intanto 17

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