~DNTID~O December 1958 Giovanni Bovio
I FRA NOI I I COLLABORATORI faranno bene a farci tenere i loro scritti In tempo. Dovrebbero giungerci non più tardi della fine del mese successivo alla pubblicazione della rivista. • CONTROCORRENTE vuole circolare. Coloro che approvano la sua propaganda mandino un nuovo indirizzo oggi stesso. Aiutateci a penetrare nella casa proletaria. • LA BUSTA di ritorno che inviamo sovente con la rivista deve essere conservata. E' Inviata per facilitare comunlcaziDni e ri· messe di aiuti. Tutte le contribuzioni contano - non importa quanto modeste esse siano. • I COMPAGNI che desideran,o vedere la rivista uscire puntualmente si facciano vivi. Esprimano la loro solidarietà con due righe o una modesta contribuzione. • CONTROCORRENTE è una pubblicazione nonconformista. Non oonosce misoneismi. Combatte gli arrivisti di ogni colore. La sua porta è sempre aperta a coloro che hanno qualche cosa utile da dire. • COLORO che rlcevOllJOla rivista e non la desiderano sono pregati di notificarcelo. Questa cortesia ci metterà in condizione di eliminare dalle liste nomi superflui . • COLORO che inviano contribuzioni e desiderano che il loro nome non appaia nelle liste della sottoscrizione faranno bene a comunicarcelo. • COMPAGNO, ricordati che la, rivista ha bisogno. La maniera pratica per aiutarci è quella di fare sottoscrizioni e nuovi abbonati. Dacci una mano. • Mandaci un nuovo abbonato oggi stesso . • NEL NOTIFICARE il cambiamento di indirizzo sarà bene menzionare anche il vecchio per facilitare la correzione nelle liste di spedizione. Aggiungere sempre il numero della zona postale. • COPIE DI SAGGIO sono state spedite anche nel Sud America e in Italia. Non sappiamo se l'indirizzo è corretto. Coloro che ricevono faranno bene a dirci se dobbiamo continuare a spedire. Non ricevendo nessun cenno sospenderemo . • CONTROCORRENTE in Boston è in vendita presso la Farmacia Mondello, angolo Hanover e Richmond Streets, oppure all'ufficio di pubblicazione, 157 Milk Street. 'LA 'MIGLIOR:ti:maniera per rendere siétml la vita a Controcorrente è quella di abbonarsi. Una pubblicazione come la n:ostra per essere efficace ha bisogno di lettori assidui. Noi vogliamo migliorarci. Ciò sarà possibile se i nJOStrlamici ci aiuteranno a risolvere questo importante problema . • LE NUOVE disposizioni postali ,permetton,o un limitato numero di COPIE DI SAGGIO. Presto dovremo sospendere l'invio a coloro che non avranno inviato l'abbonamento. Chi desidera ricevere regolarmente la rivista provveda. • LA STEREOTIPATA notifica della posta "Mloved - Left no Address", ci ha costretto a sospendere l'invio della rivista a molti compagni. Fra questi ve ne sono di quelli che siamo certi riceverebbero volentieri. Coloro che cl leggono sono pregati di mandare 11 nuovo indirizzo. • I COMPAGNI che non vedessero registrate le loro contribuzioni correttamente sono pregati di notificarne l'amministrazione. • SOVENTE riceviamo dall'Italia richieste di aiuti. Si tratta di compagni conosciuti e meritevoli. Nel passato abbiamo fatto quello che potevamo personalmente. In qualche caso abbiamo anche cercato di interessare altri. Non è sempre possibile ottenere quello che si vorrebbe. Attualmente molti compagni vivono di pensione e non ci sembra giusto importunarli. Se la rivista avesse fondi di riserva - invece che deficit - li useremmo in casi urgenti. I mezzi mancano. Chi ci scrive cerchi di comprendere la nostra situazLone. CON VERO RAMMARICO registriamo la scomparsa di alcun! vecchi militanti, comunicataci dopo l'uscita dell'ultimo numero. Le loro attività nell'opera di seminagione per realizzare un migliore ordine sociale, saranno ricordate per lungo tempo. Erano quasi tutti lettori e sostenitori della rivista. Volendo evitare ripetizioni 1n eulogle superflue ci limitiamo alla menzione del nome e della data In cui li decesso è avvenuto. * NELLO GIUMETTI (51 anni) a Needham, Mass., il 24 ottobre 1958. * NINO NAPOLITANO, a Palermo (Italia), il 27 novembre 1958. * ALESSANDRO BAGNERINI (72 anni) a Los Gatos, California, il 13 novembre 1958. * FRANK MANDESE (71 anni), a Brooklyn, N. Y., il 15 dicembre 1958. * ALBERTO MESCHI (79 anni), a Carrara (Italia), 1'11 dicembre 1958. In questa triste circostanza Controcorrente esprime alle famiglie degli scomparsi i più vivi sensi di cordoglio.
RIVISTA DI CRITICA E DI BATTAGLIA Fondata nel 1938 - Direttore: Aldino Fellcanl Indirizzo: CONTROCORRENTE, 157 Mllk Street, Boston 9, Mass. CONTROCORRENlTs Epubllshedbl•morrthly.Mali addrns: 157 Mllk SL, Bosu,n. Aldino F•llcanl, Editor and Publlslw.r. Offlu al publlellon 157 Mllk Stroot, Boston9, Mass. Sec:ond-clasms ali prMleges aulhcrlud at BosU>nM, ass. Subscrlptlon $3 a yoar. Voi. XV-No. 3 (New Serles # 9) BOSTON, MASS. Nov.-Dec., 1958 MONITO DI GIOVANNI BOVIO Corruziongealoppante La lettura di giornali o riviste americane che accennino anche in modo superficiale e senza commenti alla recente inchiesta di una commilssione speciale del Congresso sullo scandalo che ha avuto epilogo nelle "dimissioni" di Sherman Adams, braccio destro del Presidente Eisenhower, mi spinge a ripetere quanto scrissi tempo fa nell'articolo Politica e Ricchezza in America: "Anni fa non si conoscevano che tre soli mezzi per arricchire: il lavoro, il giuooo, il furto. Ora ne esilSte un quarto: la politica .. .'' Il giorno in cui l'Assistente Presidenziale Sherman Adams ricevette il calcio finale dai maggiorenti del proprio partito, i quali vedevano in lui un terribile "passivo" per le elezioni politiche, lo non fui scosso dal suo misero tentativo di giustificazione. La cronistoria delle sue relazioni pensonali e di affari con il ricco industriale Goldflne diveniva di secondaria importanza davanti al fatto morale. Il Presidente Eisenhower, l'uomo che apparentemente preferisce farsi guidare che guidare, e che sembra abbia sempre bisogno di esser incoraggiato dai suoi uomini politici e sorretto, e che nelle sue azioni riflette !Spesso la '-'<>lontàdi chi gli sta intorno più che la sua, era stato "tradito" dal suo Primo Assistente, l'ex governatore dello Stato New Hampshire, Sherman Adams, l'uomo che esercitava influenza massima alla Casa Bianca. Mentre Adams ricorreva alla trasmissione televisiva per scolparsi incolpando ... i suoi critici, io pensavo ad altri scandali clamo· rosi, il "Teapot Dome" del periodo corrottiS3imo della presidenza Harding, quello conosciuto sotto il nome di "scandalo dei frigoriferi e delle pellicce" in cui la figura principale per il medagliato Generale Vaughan, aiutante di campo dell'allora presidente Truman, il recente scandalo dei fa· voritismi nella concessione di permessi, "licenze" a stazioni radiofoniche e televi· sive. E senza dar sfogo alla memoria degli scandali nell'Italia fascista, o costring(?r le narici a fiutar il fetore che emana da tante fogne politiche, qui o altrove, ai miei orecchi risonò imp11ovvisamente una voce sincera e potente la cui eoo, purtroppo, si va afflevolando col mutar dei tempi, tanto che sono pochi coloro i quali ne ricordano ancora il timbro vibrante. E' la voce di una coscienza che si man• tenne pura nel torbido schiamazzo di politicanti vanagloriosi e di politicastri senza scrupoli; arrivisti che dovevano il loro meteorico successo materiale alla perizia acquistata nell'arte diabolica del "compromesso"; rigattieri di ogni principio per i quali la notte morale era discesa Innanzi al giorno - (che Dante mi perdoni questa lieve alterazione della sua invettiva poe· tica.) E' la voce di Giovanni Bovlo, il cui nome illustre e intemerato, la cui Integrità che
cì fa pensare a Mazzìnì o a Salvemìnì, non hanno bisogno di presentazione anche in questi giorni di ansimante corsa all'arrembaggio e di fameliche "sbafate" nella grassa mangiatoia della politica. Di figure losche di capi di governo, di nomi politici ed uomini di affari che lasciano la coscienza a piè dell'altare dell'oro o di effimera gloria, di funzionari corrotti e venali se ne trovano nelle storie e sulle cronache di tutti i Paesi, e la famosa e ormai classica letterastaffilata di Bovio ali' Ambasciatore francese a Roma nel 1888 dovrebbe esser tradotta in tutte le lingue ed inclusa nei libri di lettura di tutte le scuole del mondo nella lieve speranza che tale richiamo all'onore e all'integrità LSiadi esempio a tutti gli uo· mini. C'è chi dirà: "Ma chi pensa più a Bovio, è un vecchio tronco •.. " Si, ma tronco venerablle, e ancor pieno di succhi svegli e mussanti, e che ha perduto ben poco nonostante le potature di circa un secolo. Riproduco la lettera ehe Giovanni Bovio scrisse allora. E' un documento che commuove e fa pe111S8re: Napoli, 5 dicembre 1888 "Signore, con la lettera assicurata da Parigi, in data 1. dicembre e in carta intestata al vostro nome, voi scriveste a me: Ho l'onore di avervi conosciuto ed udito .•• Potete voi chiedere al ministro Magliani, se è vero che il governo italiano abbia assolutamente bi· sogno di collocare a breve scadenza cinquanta o sessanta milioni di buoni del Tesoro •.. f Se sì, potete assicurare che, se il tasso è accettabile, fra otto giorni dal dì della risposta verr11111,wrecati a Roma i cinquanta o sessanta miliOni •.. Per incomodi e cure, se l'affare si fa, verrà messa a disposizione vostra la somma di un miliOne e duecentomila franchi" (più di mezzo miliardo, oggi!). La proposizione fattami indica chiaramente che voi mi avete veduto e udito ma no,i mi avete co1wsciuto. Per fare a me siffatta proposta, voi avete dovuto indicare ai banchieri che verranno in Roma il mio nome; permettete che lo difenda io, che 1wn ho altro da c1uitodire e da trasmettere. l,o difenderò spìegandovì in poche parole il fatto e me. Il fattJo, comunque colorito e velato, è di quelli che si chiamano affari, e che i deputati non debbono trattare, nè coi ministri, nè con uffici e co,npagnie dipendenti dal Governo. Non c'è legge che vi si opponga, ma i fatti peggiori mm son quelli che cadono sotto le sanzioni. Quanto a me, nè a voi che siete stato in Napoli, nè ad altri può essere ig1wto che io sostengo me e la famiglia dì per dì, insegnando e scrivendo filosofia, congiunta con un po' di matematica, ma c01i aritmetica che non è arrivata mai al milione. Se il lavoro mi frutta l'indipendenza, il milione mi è soverchio. Voi scrivete che tutto sarebbe fatto di cheto, in Roma, senza che altri ne sappia. E non, lo saprei iof E non porto nella mia coscienza 1m codicet I banchieri possono lasciare la loro coscienza a pie' delle Alpi e ripigliarsela al ritorno: ma io la porto dovunque, perchè là dentro ci s01t-0 gli ultimi ideali che lw potuto salvare dalle delusio,ii. Voi scrivete che è opera di buo-n cittadino questa mediazione, ed io vi dico che è opera di onesto uomo non, far mai ciò che si ha bisogno di tacere e di coprire. Ed ora, credetelo a me, che ,wn ho da chieder nulla e neppure da accettare, voi non inc01itrerete un italiano che non si auguri buone relazioni con la Francia, 1w11 per i buoni affari, ma per la buona ragione. La democrazia italiana non è ricca; ama il decoro e la libertà della Francia e dalZ' oro francese non si lascia abbagliare. lo ed i miei amici non pronwnzieremo il vostro nome, qui noto e stimato; ma voi avete l'obbligo di dire ai vostri compagni che in Italia il sentimento della dignità è vivo, e che, se un giovane italiano, da noi educato, dovesse scegliere tra il canape austriaco e l'oro francese, senza un istante di esitanza 8i darebbe al canape". Ad un Bovio, un Salvemini, il grande intelletto non servi ad esercizi di masochismo cerebrale e la coscienza non divenne un mero quadrante dell'utile personale. Solitario NAPOLEONEE I PRETI Tutte le nostre religioni sono figlie dell'uomo. P>erchè ce ne sarebbero <tante? Perchè la nostra non sarebbe sempre esistita? Perchè è essa esclusiva? Che cosa sarà dei nostri antenati virtuosi? Gli uomini sono sempre uomini ed i preti han sempre seminato dappertutto la frode e la menzogna. 4 CONTROCORRENTE
COMMENTO ALLELEZIO Le elezioni del novembre scorso possono facilmente segnare un punto critico nella storia politica americana. E' evidente che l'elettorato americano ha espresso uno stato d'animo deh.llSOed inquieto: che ciò sia una sorpresa per molti degli elementi dirigenti è apparso chiuo dalla impaziente reazione del presidente Eisenhower immediatamente dopo !'elezioni. In realtà nè la situazione economica nazionale, In lieve ripresa nell'autunn,o dopo un declino, del resto non tragico per il paese in generale, nè la tensione internazionale, da mesi preoccupante, ma non minacciante una seria crisi immediata, nè la questione di integrazione razziale negli stati meridionali, giunta da mesi ad un punto morto isenza che in nessuno dei due campi si manifestasse una seria volontà di affrontare energicamente la situazione, poteva dare argomento a prevedere una svolta così repentina nell'allinea.mento politico. Eppure, se le elezioni di un mese fa hanno qualche significato, esse possono soltanto dimcxstrare che le ansie ed I timori degli americani non possono più essere calmati nè dalla paternalistica figura di un generale assurto a eroe nazionale, nè dal debole tentativo del partito più conservabore per assumere atteggiamenti di illuminato progressivismo, e meno ancora da un ritorno alla filosofia ,politica Ispirata dal conservatorilsmo più aperto. E' certamente facile enumerare le mancate promesse della amministrazione repubblicana. Esse vanno dal campo della politica estera, che fu incapace di contenere l'espansione russa entro i limiti raggiunti alla fine della guerra in Corea, anzichè di respingerla entro più ristretti confini come promesso, alla politica finanziarla, di fronte ad un bilancio statale isempre iplù gigantesco, minacciato da un deficit nazionale inaudito in tempo di pace, alla dubbia situazione morale di elementi molto in alto nelle sfere amministrative, soggetti a sospetti di faVIOritismle corruzione non diversi da quelli che avevano afflitto precedenti amministrazioni. Eppure ora mi ,pa,:,e che la svolta nella pubblica opinione Indica qualche cosa di più di impazienza per le mancate realizzazLoni della amministrazione: se cosi fosse, DICEMBRE, 1958 molto probabilmente le elezioni avrebbero avuto ii risultato che Il presidente Eisenhower si auguvava. Cioè esse avrebbero mandato al Congresso un maggior numero di elementi impegnati a sostenere la politica dell'amministrazione, in modo che potere legislativo e potere e.;iecutivo potessero veramente agire nell'ambito di un programma organico, per la realizzazione delle promesse elettorali del partito repubblicano di Eisenhower. Invece esse dimostrano la sfiducia completa nel programma della amministrazione, esse sono la 1prova che, se pure vagamente, tuttavia si va facendo strada ii isentimento che occorre sganciarsi da posizioni superate o ambigue. Che per la prima volta ii Vermont abbia mandato a Washington un rappresentante democratico può apparire miracoloso, ma che questo rappresentante abbia vinto la sua campagna, In una sezione del paese per traffici e cultura assai poco toccato dai problemi di politica estera, prospettando la necessità di un rovesciamento della politica americana nell'Asia orientale indica un approccio ai più scottanti problemi da parte di una opinione pubblica che non è intimidita da accuse di tradimento che tennero Il campo pochi anni fa. Che le varie regolamentazioni proposte agli elettori sotto la maschera di proteggere ii diritto al lavoro, collo scopo reale di limitare I diritti di organizzazi,one dei lavoratori, siano state la rovina della grandissima parte dei candidati che l'hanno appoggiate, significano ,pure che Il paese non può aver fiducia in un partito capeggiato da un presidente che, interrogato su questo .specifico argomento, ha semplicemente scansato di rispondere, barricandosi diet110 un finto rispetto delle volontà locali, invece di assumere la posizione di un "leader" conscio del futuro. E nello stesso modo si ,può spiegare la delUISione di importanti masse cittadine settentrionali per l'atteggiamento di una amministrazione che, di fronte ad una crisi morale provocata dalla resistenza alla completa eguaglianza di tutti I cittadini americani organizzata da reazionari del sud, non sa far altro che assumere l'ufficio di malcontento poliziotto, o ritirarsi in una torre d'avorio, rinunciando a guidare il paese sulla via del ragionevole progresso. Ben a ragione 5
si disse che, di fronte alla questione morale rappresentata dalla insurrezione meridionale, non si può essere cinquantun per cento per la giustizia. In complesso quindi mi pare che le ultime elezioni indichino che l'opinione pubblica sente che il "moderato progressivismo", programma della presente amministrazione e della corrente di filosofia polltica che la ispira, non corrisponde più alla urgenza della situazione. Per altro possiamo scorgere veramente nelle elezioni qualcosa di più che una manifestazione di disapprovazione, di delu• sione, di malcontento lnespretSSO? E' forse ancora troppo presto per giudicare: in effetto l'origine delle debolezze della amministrazione EisenhO<Wer, o per lo meno di gran parte di esse, sta nell'Indirizzo politico delle amministrazioni precedenti. Fi• nora nessun figura capace di concentrare su se stessa l'attenzione nazionale ha espresso Idee capaci di Infiammare l'immagina· zione popolare. Anche Stevenson, che fu la speranza di Intellettuali liberall, non fu capace, In occasione di un viaggio In Russia alla vigllia delle elezioni, di ripor• tarne altro che una raccolta di Impressioni degne di un giornalista principiante. E' vero che Il Comitato direttivo del partito UN DELITTO IMPUNITO democratico ha assunto una pclS!zl.one co• raggiosa contro le mln:accie del politicanti meridionali. Ma la sua azione appare im• personale, le sue deliberazioni sono soste· nute da una maggioranza di decine di voti, ma del tutto anonimi per Il pubblico in generale. E, per di più, ognuno sa che queste bellicose dichiarazioni saranno decisamente annacquate da coloro che hanno potere di legislare, fra cui i senatori e rappresentanti meridionali hanlllO ancora Influenza dominante. Cosi, In totale, mentre Il problema della Integrazione razziale nelle scuole degli stati meridionali sta diventando una piaga purulenta, ogni giorno più Irritata da demagoghi decisi a rischiare Il futuro della gioventù americana per difendere un sistema di privilegi, mentre la Russia sfrutta il desideri.o di pace e di neutralità fra I due grandi contendenti, espressione delle nuove nazioni e di quelle da lungo stabilite, immllserite da due guerre mondiali, l'opinione pubblica americana cerca, finora Inutilmente, il suo rappresentante; un rappresentante che Impersoni le tendenze, ,per ora Informi, ma non meno imponenti, che riconoscono la necessità di nuovi approcci al suoi problemi. Davide Jona LALEGGENDAI CARLOTRESCA 11 gennaio 1943 Ricordate, amici dal capelli bianchi o grigi, l'entusiasmo suscitato nell'Italia d'attorno Il 1900 per le lotte della libertà sociale? Tutti credevano che il socialismo fosse sul punto di trionfare. C'era la teoria là bell'e fatta, proprio per dirci che il sole dell'avvenire un giorno o l'altro doveva diventare il sole dell'oggi. Pochi compresero che la ragion non conta se non è fatta valere; e assai meno sentirono il •bisogno di combattere e di mettere a repentaglio tutto, I ,pochi comodi, la famiglia e gli amici, la propria libertà e infine la vita. Tra questi pochi nessuno ha più di Tresca diritto all'aureola del ribelle. Ribelle, prima, alla <propria famiglia e ai modelli di moralità pubblica e privata che le condizioni pseudo feudali del proprio 6 paese imponevano a tutti. Che lui, il ri• belle, avesse ragione, i suoi seguaci lo capivano perchè anch'essi erano "cattivi soggetti". Ma al di fuori di loro, nessuno o soltanto sua madre, che non sapeva 'bene se lo amava perchè era bello o perchè era cattivo. Eppure Tresca aveva ragione: la sua ribel!lone era contro una morale tradizionale di classe per una moralità univer· sale, contro una ragione codiflcata dall'uso per una ragione creatrice di libertà. Tresca non era certo nè un moralista nè un pensatore, eppure egli ha fatto di più ,per la morale e il pensiero sociali che un battaglione di quei "professori" per i quali aveva molta diffidenza e un poco anche timore, lui il cavaliere senza paura. La sua vita e Il suo mondo consistevano nel ribellarsi e combattere. Gli bastava CONTROCORRENTE
d'intuire, con tutta la freddezza del calcolatore, che la causa era giusta, per essere pronto a combattere contro tutto e tutti. E sapeva che in battaglia non si misurano le botte, che l'unica misura è Il risultato, e il risultato è tanto più grande quanto più ampia è la battaglia, onde uno sciopero finisce bene quando è diventato una insurrezi-0ne. Allora Tresca era in tutta la sua grandezza, impareggiabile, un coraggio senza limiti, una forza della natura. Ribellione, insurrezione, rivoluzione, non avevano per lui soltanto uno scopo sociale, ma anche una bellezza per sè. Onde è stato chiamato il "dilettante" dei movimenti operai. Occorre riflettere tuttavia che l'opposto del dilettante, il professionale, manca per definizione di quell'afflato eroico e disinteressato che il dilettante può avere. Il movimento operalo ha una portata troppo vasta, troppo comprensiva di tutto quello ch'è vita morale, perchè un professio• nale possa esaurirla. E' necessario che l'Immaginazione s'impadronisca del movimento per sè e non lasci la ragione limitarsi a raggiungere lo scopo Immediato che è ,sempre di respiro corto. La vita politica, purtroppo, è spesso priva di poesia, la vita morale mai. E Tresca, a suo modo, nel suol atti, era un poeta. E' la poesia che gli ha permesso di elevare la sua azione al disopra di un livello meramente politico; ed è stallo il suo "dilettantismo" che gli ha permesso di ,sentire la poesia dell'azione. Tutto ciò è puramente italiano e fa onore a tutti gl'Italiani. Questo agitatore di proletari assume l'aspetto d'un condottiero del Rinascimento, anche perchè, malgrado abbia rischiato per quarant'anni ad ogni minuto la vita, ha sempre agito con gioia, e ha sentito come pochi altri la gioia di vivere. Ha molto amato, ha avuto numerosi amici, ha goduto bevendo e mangiando e fumando, non ha nulla rifiutato per una vita piena. La sua gioia di vivere era strettamente connessa con la sua forza di ribelle. Perciò il suo ribellami è stato cosi vitale e ha avuto tanta eco. Questo condottle110 del socialismo non poteva trovare nell'Italia precedente alla prima guerra mondiale un nemico degno di lui. L'ha trovato qui negli Stati Uniti dove le rivolte operaie ebbero una Imponenza eccezionale. E l'ha trovato nel fascismo quando esso ha voluto Imporsi negli Stati Uniti per mezzo di ambasciatori e di propagandisti. Tresca accettò la sfida, e DICEMBRE, 1958 ,molto prima dei liberali d'America capi che alle parole fasciste si poteva rispondere ooltanto con le botte. "Non si discute coi fascisti", disse Tresca. "Si potrà discutere con loro quando non Impediranno agl'Italiani di parlare. Sin-o allora non c'è che da discutere con le rivoltelle. Il Fascismo o CARLO TRESCA vi schiaccia o è schiacciato. E se voi, Americani, non lo schiacciate oon la forza, non potrete aspettare in pace la vostra risurrezione". Parole profetiche, che troppo tardi sono istate ascoltate quando l'America è entrata in guerra, e che hanno segnato da molti anni il tragico destino di Tresca. Il Fascismo è diventato una forza troppo mostruosa, e prima di essere schiacciato, è Tresca che è stato schiacciato. Ma non ha aspettato me>lto la sua risurrezione: egli è entrato nella leggenda degli eroi della libertà. E la sua immagine non si ce>nfonde con quella di nessun altro: è la più sorridente, la più gioiosa, è quella dell'uomo geniale, dell'Italiano del Rinascimento. E' un'immagine di leggenda, ma s'identifica oon la sua storia. Lionello Venturi NOTA-Il prossimo numero pubblicheremo altro materiale su Tresca e di Tresca. Egli fu ucciso 1'11 gennaio 1943 ed è nostro proposito continuare a tener viva la sua memoria. La legge e i politicanti che l'amministrano hanno lasciato i deltnquenti indisturbati. Il meno che possiamo fare è ricordare l'assassinato e la sua opera. 7
UOMINI D'ALTRI TEMPI AMILCARCEIPRIAN di PAOLO VALERA Vtviamo in tempi difftcilt. Tutto quello che et circonda parla un ztnguaggto nuovo. Col pericolo dt essere spazzati vta dalla bomba atomtca la vita ha cambtato scopo. Non c'è posto per l'idealismo. Nessuno pensa agli ucnntni che diedero la loro vita per affrettare un mtgltore domani per tutta l'umanità. Fra t pionieri che seminarono per vedere in atto la giusttzta sociale, ve ne sono alcuni che i nostri lettort conoscono attraverseo quello che si è scritto di loro. Altrt sono poco conosctuti. E' un dovere ricordarli. Uomini della tempra di Amilcare Cipriani devono vivere per i giovant che intendono lavorare per raggtungere la vetta. Rtcordtamo Ctprtani con la prosa di uno che l'ha conosctuto bene. Siamo certt che t lettort, specialmente i giovani, leggeranno volentieri questo studio di Paolo Valera, che mette Ciprtani sul piedistallo che merita. Lo continueremo net prossimi numert. Amilcare Cipriani è nato in Rimini Il 18 ottobre 1844. Tempi sciagurati. I popoli erano della stramaglia umana. L'Italia nella camicia di forza si dibatteva per non morire soffocata. Cinque tiranni le erano sopra con gli arnelSi della coercizione dolorosa e della soppressione violenta. Tempi di congiura. La gente era disperata. La sollevazione tumultuava, era in tutti i cervelli. Si cospirava, si correva al sacrificio, si spasimava nelle attese, si comunicava di bocca in bocca l'ebbrezza patriottica. Era 11 sogno di tutti. Tutti si iscaldavano dello stesso pensiero, tutti si affratellavano e si proponevano di vincere o morire. Le angosce, le disillusioni, le persecuzioni, le afflizioni erano spinte che spingevano classi e masse nell'atmosfera che aspettava la scintilla. Tempi eroici. Il regicidio era coltivato in ogni Paese. Era un principio di difesa, un atto morale di politica collettiva. Il tirannicidio frenava la tirannia. I suddlti torturati, sgozzati, incatenati, calati nei pozzi, nei sepolcri dei vivi non avevano contro la ferocia e la bai,barie che il pugnale, la bomba, l'agguato, e la strage. Il regicidio era santo. Il regicida era l'olocausto, un nome benedetto da tutte le bocche. La sua morte era una pausa fra li potere regio e l'anima nazionale. Era la tregua di un attimo fra l'uno e l'altra. Ma 8 subito dopo ricominciava la furia omicida. Alle condanne capitali, ai massacri di folle, alle deportazioni penali si rispondeva con gli assassinii politici. Il sogno di ogni popolo tribolato era la testa del suo Luigi XVI. I più grandi patriotti dell'epoca sono stati tutti credenti nel giustiziere che puniva il giustiziando con la morte violenta. La sua morte tragica era considerata una espiazione del delitti regi. Il monarca più esecrato e più cercato dal regicida di quei tempi era l'Imperatore d'Austria. Egli era salito al trono in un momento in cui tutti i popoli domandavano a ,grandi grida la costituzione. Le sue riforme sono state le fucilate in massa, le impiccagioni simultanee, le condanne a migliaia d'anni per volta. Borghesi e proletar!I banno confuso Il loro sangue, crune avevano confuso l'ideale della risurrezione. Vienna come Budapest sono stati il teatro di tsommosse. L'Austria e l'Ungheria erano solcate di croci. Francesco Giuseppe aveva soppresso le inquietudini dei sudditi con i carnefici. Egli ha continuato a uccidere e impiccare senza paura del vituperio internazionale. Tempi di sospetti, di calunnie, di delazioni. Il despotismo non poteva vivere nel suo Immenso edificio della politica sanguinaria che circondato di complici ,prezzolati. I sudditi tremavano. Vivevano in un'agitazione continua. Avevano paura delle stesse CONTROCORRENTE
pareti tra cui conversavano a bassa voce. L'orecchio poliziesco era dappertutto, a tutte le tappe. Nessund era sicuro di rincasare, nessuno era tranquillo nel proprio letto. La vita individuale e pubblica era insidiata, denigrata, molestata, pedinata da nugoli di birri camuffati da operai, da po· polani, da gentiluomini. Le polizie erano officine di bassezze e di turpitudini, e di infamie criminose. Tramavano, disfacevano le reputazioni, insudiciavano i nomi, agguantavano di notte e di giorno, giovani e vecchi, uomini e donne. I loro direttori erano figure patibolari con la fantasia del boia. Seviziavano, suppliziavano. Erano belve. Per loro non esistevano che vigilati. Curavano l'italianità con I castighi corporali. Completavano i disastri inviando le vittime ai giudici inquirenti accompagnati da tutti i delitti di opinione. Tempi turbolenti. Tempi infami. La gente non aveva più testa per I lavori. La vita di ciascuno e di tutti era spezzata. Si viveva di crisi, di dolori, di commozioni, di spaventi. Le nocche ali' uscio d'entrata facevano trrusalire, Impallidire, come l'annuncio di una sventura. Erano tempi di lagrlme. Si piangeva. Le donne si alzavano e si coricavano con gli occhi gonfi, umidi, pieni dei loro crepacu•ori. Tempi maledetti, In cui non si aveva diritto all'esistenza che in ginocchio. In piedi! ingiungevano le voci sommesse dei pionieri che preparavano le insurrezioni nei sotterranei. In piedi! Inutile! L'audacia personale fecondava l'audacia, ma lasciava nella impotenza e nella catastrofe. Tempi d'azione. L'infanzia e la giovinezza di Amilcare Cipriani si sono sviluppati in mezzo al terrori regi, agli eroismi di moti immortali e ai tumulti degli uomini d'azione. I martiri di Belfiore, lo strazio di Antonio Scesa, la strage dei fratelli Bandiera, lo spettacolo grandioso di Carlo Pisacane e di Giovanni Nicotera, la morte di Mameli sono tutti episodli che hanno risonanza nella sua vita adulta. Egli è cresciuto in un periodo veramente fantastico. Ha udito della resistenza di Roma, e ha partecipato alla spedizione dei Mille. Spedizione epica, rapida, trionfale, fatta da gente che aveva li coraggio e la passione di morire. Fra gli uomini d'azione il più possente del periodo è stato Giuseppe Mazzini. Predicatore di rivolte, organizzatore cli insorti, incitatore di moti. Nessuno uguale a lui, DICEMBRE, 1958 Tormentato dalla v1s10ne dell'Italia libera e una, egli era riuscito a trasfondere nella gioventù la fede nelle barricate, nelle battaglie di strada, negli assalti ai forti, alle caserme, alle truppe regie, nelle rivoluzioni. Il cercato da tutte le polizie stava a tavolino per due mesi, chiuso In una AMILCARE CIPRIANI stanza ospitale, con i suoi librl e le sue carte geografiche. Scriveva, gridava, In• giuriava, spargeva la sua prosa tempestosa per scuotere gli increduli, gli indifferenti, I neghittosi e non taceva che quando vedeva la gioventù avviata alla morte per la liberazione della patria negli abiti degli insorti. Amilcare Cipriani è stato suo. Egli ha vissuto intorno a lui fino al tentativo di adunare i repubblicani in Palermo per andare a Roma a proclamare la città eterna capitale d'Italia. Giuseppe Mazzini, mi ha detto un giorno Cipriani, è stato un vero fabbricatore di eroi. Con la sua tenacia, con la ISUafede, con la sua visione di un'Italia libera ed una, con il suo genio ha dato alla nazione schia· va I contingenti per redimerla. Nel movimento della risurrezione italiana rimarranno soli Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Paolo Valera <continua> 9
Il MercatCo omunEeuropeo Le nuove discordie tra la Francia e l'Inghilterra sul Mercato Comune Europeo, mettono ancora una v,olta in evidenza la fragilità delle relazioni economiche fra i paesi capitalistici. Per chi non lo sapesse il M. C. E. è un'unione doganale concertata tra sei nazioni continentali per facilitare gli scambi commerciali entro i loro confini. Queste nazioni sono la Francia, la Germania di Adenauer, il Belgio, l'Olanda, il Lussemburgo e l'Italia. Col primo gennaio 1959 andranno in effetto le prime quote per gli scambi tra i paesi componenti la Comunità - scambi che In sulle prime si aggireranno intorno al 10 per cento. Il M. C. E. sarà in forza per 15 anni (salvo accidenti imprevisti), scaduti i quali si valuterà il suo successo o il suo insuccesso. L'antagonismo, o meglio, l'opposizione inglese al M. C. E. deriva dal fatto che esso restringe l'area del cosidetto "libero commercio", sulla quale opera od è basata la vita economica della Gran Bretagna. L'area del "libero commercio" include quella for• mata dal sistema di preferenza Imperiale, costituita dai d,ominii, dalle colonie e dalle dipendenze inglesi; dalle nazioni scandina· ve, e da altri paesi occidentali come l'Au• stria, il Portogallo, alcune repubbliche del Sud-America, ecc. ecc., i cui scambi Inter• nazionali sono basati sulla lira isterlina. Da tutto questo risulta che l'Eur,opa ca· capitalistica è divisa in due b1occhi economici, I quali; benchè parte di un solo sistema, si struggono ed arrovellano, ciascuno per conto suo, per Il primato indUJStriale e commerciale. All'Inizio di questo secolo tale primato, tenuto dall'Inghilterra, ere stato messo in forse e minacciato dallo sviluppo industriale e commerciale della Germania kaiserista, Incominciato dopo della guerra franco• prussiana. Tra l'Inghilterra e quella Germania non ere corso più buon sangue, e gli egoismi e l'avidità dei guadagni, acuendo l'antagonismo e le rivalità, avevano dato luogo alla guerre del 1914. Questa guerra è vero che aveva spaz• zata via la concorrenza tedesca, ma aveva pure fortemente minata la posizione economica inglese. Fin sotto lo scoppio di tale guerra l'Inghiltena era stata la banchiera e la signora del mondo. Alla sua conclu· 10 sione essa si t11ovava in una condizione critica e cioè da nazione creditrice e prestatrice era divenuta nazione debitrice. La sua potenza finanziaria era stata scossa irreparabilmente ed i popoli sotto il suo dominio si agitavano per guadagnare la loro indipendenza. Un altro colosso era entrato in iscena: gli Stati Uniti d'America, che da minore potenza industriale e da paese debitore, usciv,a dal conflitto fortemente sviluppato industrialmente e di più assumendo la parte di banchiere nel mondo borghese. Sullo scacchiere internazionale gli Stati Uniti hanno crul pigliato il posto una volta tenuto dall'Inghilterra. Ma fin sotto la seconda guerra mondiale questa aveva an• cora carte da giuocare, ed era un ostacolo all'egemonia americana. Per tutto Il dopo guerra gli Stati Uniti apertamente o dietro le quinte hanno operato per liquidare i rimasugli della potenza economica inglese, tanto che praticamente quel che ne resta dipende da essi. La Gran Bretagna oggi si trova alla mercè del danaroso zio Sam che, per una di quelle singolari contraddizioni capitalistiche, da una parte demolisce, dall'altra profonde dollari a miliardi per mantenere In piedi, ma sempre ubbidienti, le sue satrapie d'oltre oceano. La Germania federale è stata pure essa fortemente sovvenzionata, e da qui la sua rinascita economica, la quale non può affermarsi senza farsi un comodo e conveniente mercato tra i suoi vicini. I magnati finanzlarii, i baroni industriali di questa Germania, hanno tanto operato sl che sono riusciti ad abbindolare ne Ile .spire del loro grandi affari le altre cinque nazioni. Essi inco• minciarono alcuni anni fa con la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, che presto I tedeschi riuscirono a dominare ed a V'Olgere a loro profitto. Il M. C. E. è il figlio diretto di questa Comunità e certamente ne seguirà la sorte, e in tal caso I francesi e gli altri diverranno dei buoni lustrascarpe dei monopolisti tedeschi. In quel giorno fatale der Alte (Conrad Adenauer), o chi prenderà il suo posto, si stropiccerà le mani per la gioia, sicuro di tenere nel taschino di petto della sua giacca tutti i DeGaulle ed i Fanfani e colleghi minori, perchè avrà fatto buoni CONTROCORRENTE
affari. Verrà ancht! il giorno in cui l'In· ghilterra sarà ridotta economicamente ed industrialmente ad un ruolo Insignificante, e di ciò dovrà ringraziare la sua fenomenale stupidità politica, che ha creato la rivale che l'abbatterà. E' il caso della biscia che morde il ciarlatano! Anche se tra I due blocchi economici rivali si troverà un modus vivendi, ciò sarà una cosa effimera e temporanea. Le contraddizioni politiche ed eoonomlche del caplta!i- :smo precludono automaticamente ogni solu· zione definitiva e sostanziale. Il capitalismo è un sistema eoonomioo Irrazionale - prodotto di una società umana ancora bambina. Nonostante gli oroscopi del suoi migliori augurli e la scienza dei suoi sostenitori, esso è condannato a dissolversi e perire ed in tale ora l'umanità avrà fatto un ,gran passo avanti nel vero progresso e nella vera civiltà. A questo punto vogliamo soffermarci sul ruolo dell'Italia nel M. C. E. A quanto pare essa ci ha rimesso già un bel gruzzolo di danaro. SI sperava almeno che questa Comunità avrebbe assorbito parte dei suoi disoccupati. Niente di ciò si è verificato. L'automazione ed una più efficiente tecnica Industriale hanno spiazzato ancora di più larga parte di lavoratori nel paesi progrediti del M. C. Certe indu:strle Italiane meno atte ad affrontare la concorrenza delle industrie tedesche e francesi, data la lna· deguatezza e l'antichità dei loro impianti, hanno creato una situazione critica licenziando gli operai. L'Italia, In compenso, ha avuto il magro . . . onore di vedere assunti a due posti importanti un uomo politico ed uno scienziato, per fare il lavoro di sterro ai lupi dei monopolli franco-tede• schi. Una rivista politico-economica napoletana: "Cronache Meridionali", nel suo fascicolo di febbraio 1958, osservava {e qui parafrasiamo) che lo Stato italiano trova facilmente I danari per il finanziamento del M. C. e per l'Euratom ed altro, che non promettono niente di ritorno redditizio al• l'Italia, e questo stesso Stato trova comodo di rifiutare qualche soldino di più ai disoccupati ed al pensionati cI'onicamente indl• genti. La rivista nota incisivamente che "i prodotti italianJ affrontano senza difese le imprese degli altri paesi, mentre non accennano a diminuire - anzi aumentano - i gravi problemi della di:.soccupazione anche siderurgica e metallurgica nel nostro paese." E mentre nelle miniere del Belgio - dice anoora la rivista - sono versate ingenti somme in miliardi di lire, con l'Intento di ridurre i costi e pertanto I prezzi del car· bone e di favorire la modernizzazione degli impianti: in Italia gli operai licenziati da aziende metallurgiche hanno strappato parzialmente le previdenze previste per la disoccupazione solo a furia di agitazioni e di aspre battaglie." SI potrà obbiettare: ma in queste faccende si è agli Inizi!. Ma a questi signori noi lavoratori socialisti possiamo già rispondere che non abbiamo fiducia In loro, che non mettiamo fede nel loro plani, nel loro programmi, nel loro disegni. Tutto ciò che fa la borghesia capitalistica non è certo fatto per beneficio della classe lavoratrice. E per questo il M. C. E. è un mezzo come un altro per meglio sfruttare e tenere In obbedienza Il proletariato cosciente; chè di quello Incosciente la borgheisla, a mezzo del suo Stato e delle sue istituzioni private, se ne serve per battere In breccia i lavoratori organizzati che aspirano ad una società nuova equa e giusta. Per i lavoratori Il M. C. è una sconcia frode e cl piace di dirlo al quattro venti. M. De Clampls BRAVO PACCIARDONE! Avevamo molta stmpatia per Randolfo Pacctardi quando fu coraggtoso combattente in Spagna. Ma dopo che provò le gtote (ma è pot vera gioia?) dt essere mtntstro, non è ptù lui. Un orgoglio smisurato lo ha preso, e non sappiamo se in occasione del suo viaggio in Oriente esso si sia già esternato con i pennacchi e gli stivaloni. Fanfani l'ha mandato nei paesi delle Mille e una notte, a stringere la mano di re schiavisti e possessori di harem. Il buon Pacctardi non stava più nella pelle (vedere le fotografie) di essere. fotografato (immortalato, doveva pensare) con simili potenti signori, compreso il traballante sire di Giordanta. E ha risolto, cost, per l'Italta, tz problema arabo. Bravo Pacctardone! - da LA NOSTRA REPUBBLICA (10-58). DICEMBRE, 1958 11
Unapaginadi storiaantica di GAETANO SAJ.VEMINI NOTA-Discorso tenuto dall'Autore il 16 ottobre 1949 all' Università di Firenze nel riprendere l'insegnamento di Storia moderna dopo 25 a,mi di esilio. - Questa è la terza puntata. Titolare di quella che allora si chiamava cattedra di grammatica latina e greca, era Pietro Cavazza. · Mentre il Vitelli nelle lezioni traduceva lui, con Cavazza dovevamo tradurre noi. Era un i,omagnolo, educato nella tradizione umanistica di Vincenzo Monti. E aveva un gusto squisito dello stile italiano. Dopo avere emendato, se era necessario, il testo, ci faceva tradurre in italiano semplice senz'essere sciatto, In periodi brevi alla l.€'opardi, nei quali il complesso periodare latino e greco doveva snodarsi senza perdere nulla della sua dignità, ma evitando il gonfiore dei traduttori acoadem1c1. Da lui imparai, se non a scrivere bene l'italiano, ad invidiare chi lo scrive bene. Ottimo lavoro fece anche l'insegnante di letteratura italiana, Ad10lfo Bartoli, l'esaminatore che aveva sorriso quando avevo detto che "al mio paese" nessuno ml aveva insegnato a cercare i noccioli nelle leggende. Aveva potentemente contribuito a mettere la storia della letteratura su basi, come si diceva allora, "positive". Niente fantasie E.'stetlche: fatti e prove di fatti; testi e interpretazione di testi. Spirito finissimo e ironico, pungeva con una sola parola le più iridescenti bolle di sapone. Chi non av,eva dati seri da mettere sul tappeto, se ne stesse zit1lo. Ma provocava la discu'SSione. Quell'anno parlava di Petrarca. Cominciò col discutere come si fosse chiamata la donna, che senza avere le carte In regola, era stata madre di Petrarca. · Dopo lunga fatica conchiuse non potersi conchiudere se si chiamasse Eletta o Elettra, ma quasi ce,:,tamente il cognome era Canigiani. A me, ammiratore di De Sanctls, e caldo caldo di Malfatti, Trezza e Villari, quel nome ,non !ace.va nè caldo nè freddo. Una madre un uomo non può fare a meno di averla, e Il 'SUO nome è Indifferente. Non poteVIOnon ammirare la rigidità con cui procedeva la dimostrazione, 12 ma mi pareva che tanta industria potesse essere impiegata meglio. Ci dette da interpretare sotto la sua guida una sestina del Petrarca. La sestina è la più artificiosa forma metrica che sia stata mai inventata da versaioli perdlgiorni, una vera aberrazione dello spirito umano. In quell'andirivieni di sei sestine in endecasillabi, che dovevano finire sempre con le stesse sei parole, secondo un ordine rigido prestabilito, l'autore di Chiare fresche e dolci acque e di Fulmin del ciel sulle tue trecce cada non era migliore di qualunque altro sciagurato che non abbia nulla da dire. Che cosa avesse voluto dire non lo sapeva probabilmente neanche lui. Ma dovevamo saperlo noi. Non c'era via di scampo. Ogni parola doveva avere un senscY, e tutte le parole messe insieme dovevano dare un senso. Il professore e noi sudavamo sangue da tre lezioni su quell'abracadabra, quando io non ne potei più, e dissi. "PI'Ofessore, perchè ci fa perdere il tempo su questa scempiaggine, invece di !arei commentare Chiare fresche e dolci acqu,ef"... Lui sorrise, come a~,eva fatto quando avevo parlato del "mio paese", e oontinuò a domandare che cosa Petrarca avesse voluto dire con quelle parole là. Aveva ragione lui, e avevo torto io. Lui voleva darci l'abitudine allo studio ooscenzioso, non <sviantesi in fantasticherie. Quella orribile sestina serviva allo scopo meglio assai che una oanzone bellissima, ma più facile. E la ricerca asfissiante di Eletta o Elettra Canigiani ci faceva toccare con marno quanto difficile fosse, per chi voleva parlare onestamente e non a vanvera, determinare anche un minimo particolare. Troppa gente 'Sputa sentenze estetiche, interstellari, mentre farebbe meglio a intendere i testi prima di sfoggiare la boria del suo obbrobrio o entusiasmo. So di un dipl'Omatico il quale suole farsi beffa di chi sciupa mesi a provare un iplccolo !atto. "La verità - dice - si fabbrica, non si cerca". Anche Hitler insegnò che più grossa è la bugia, più facilmente è creduta. Il guaio per le verità fabbricate è che mentre è facile fabbricarle, prima o poi mostrano la corda, contraddicendosi: CONTROCORRENTE
perciò sono difficili da amministrare. Invece la verità ricercata a fatica rimane sempre la stessa, e perciò è facile ad amministrare. Abraham Lincoln diceva che voi potete ingannare alcuni per qualche tempo, non tutti per sempre. Ma questo, probabilmente, è affare di temperamento, più che di ragionamento. Si nasce mentitori come si nasce poeti; si nasce storici e non diplomatici. I miei maestri erano nati storici, ed allenavano a rimanere tali quelli fra noi che non: erano nati diplomatici. · Nelle esercitazioni, che ci faceva fare il Bartoli, vi era un pericolo: che alunni tardi d'intelligenza portassero nella scuola secondaria uno scrupolo per le minuzie, che non deve uscire dall'università. La scuola secondaria deve essere scuola d'educazione umanistica per le classi colte, e non ,preparazione per gli storici di mestiere. Le antitossine per i pericoli contenuti nell'insegnamento di Bartoli avrebbero dovuto trovarsi nelle lezioni di Villari, Trezza, Malfatti. Ma occorrono stomachi robusti per assimilare e tossine e antiboS'sine. I più inghiottono i veleni e si arrestano li. Per fortuna le antitossine le mettono in azione istintivamente gli alunni, scansando la noia di studiare sotto i profeS90ri pedanti. III Nelle memorie dell'Hannus mirabilis" rimane un punto nero: la filosofia teoretica. La insegnava Augusto Conti. Era agli antipodi di Trezza e sosteneva la conoordanza fra la rivelazione e la ragione. Nella università, mantenuta col pubblico denaro, tutte le dottrine avevano libera entrata, e si misuravano ad armi uguali, in campo aperto. Quando morì Trezza, la Faooltà chiamò a succedergli Felice Ramorino, cattolico fervente, che partecipava senza rispetto umano alle processioni religiose sotto il saio del più umile fra i laici. · E noi rispettavamo in lui, come in tutti gli altri, la libertà e il coragg>o delle opinioni. Augusto Conti ,era uomo di fede sincera e vita dignitosa. Ma io non capii assolutamente nulla nè nella sua rivelazione, nè nella sua ragione, nè nella sua conciliazione. Il primo anno che andai ad insegnare sboria nel liceo, trovai un professore di filO'SOfiache anche lui conciliava la rivelazi,one con la ragione, e ·anche con lui gli alunni non capivano niente. Ma lui diceva DICEMBRE; 1958 che l'insegnamento della filosofia aveva, fra gli altri scopi, anche quello di educare I giovani alla umiltà, mettend'oli dinnanzi a problemi le cui soluzioni essi non potevano capire. Durante le tre ore settimanali di filosofia teoretica, io fui educato continuamente per un anno inte110da Augusto Conti alla umiltà. Ma non ci presi gusto. Dato che non capivo nulla, mentre lui parlava, mi distraevo fantasticando sulla evoluzione di Malfatti, sul Lucrezio di Trezza e col Toequeville di Villari. Per fortuna le lezioni erano stampate. Quell'anno c'erano due volumi: n buono nel vero, o morale e diritto naturale. Io non capii nulla neanche in quelli. · Il guaio fu quando vennero gli esami. Se non avessi ottenuto almeno ventiquattro in tutti gli esami, 1 avrei perduto quelle 56 lire che voi già conoscete. Visto che non ci capivo nulla, decisi di imparare i due volumi a memoria. Alla vigilia del primo appello ero arrivato appena a pappagallarmi quindici capitoli. Non so come in tanta rivelazione e in tanta ragione sia sopravvissuta la mia ragione. Rimanevano ancora quindici capitoli. Avrei potuto rinviare gli esami alla sessione di ottobre. Ma era avvelenarmi tutta l'estate, e, non ero cerbo se mentre imparavo a memoria gli altri quindici capitoli non avrei dimenticato i primi. Decisi di giocare tutto per tutto. Quando ci presentammo all'esame, il professore ci faceva estrarre da una borsa che noi chiamavamo "la forza del destino", due dei trenta capitoli, su cui dovevamo rispondere. Su uno ci era mestieri parlare in lungo e in largo; dell'altro dire in poche parole il contenuto. Avevamo il diritto di 0 ritirarci" senza danno alcuno, qualora fossimo presi da improvviso malore prima di cominciare a parlare. Se i due numeri - dissi a me stesso - cadono nella prima metà, sono a cavallo. Se uno cade nella prima metà e l'altr-0 nella seconda, un ventiquattro lo pesco. Se sono proprio disgraziato, e tutti e due i numeri cadono fra i secondi quindici, mi faccio prendere da un improvviso malore, e ritornerò in ottobre. Mentre un altro martire stava sulla graticola, pensai di ridurre da quindici a quattordici le probabilità che mi erano ostili. Pregai un compagno, che di filosofia se ne intendeva, di dirmi il succo del sedicesimo capitolo, in poche ,parole che avrei tenuto a memoria. Aveva quello appena finito, 13
~ !ui chi-amato. Metto la mano nella forza del destino e ne cavo fuori uno dei primi quindici e px,oprio il sedicesimo; recito il primo come un campanello elettrico; dò un riassunto dell'altro; e prendo trenta e lode. Quel trenta e lode, rubato facendo le vìste di capire quello che dicevo, mi sarà rinfacciabo giustamente nella valle di Giosafatte. Sottentrò a me li compagno filosofo, e prese un diciotto. Non c'è giustizia a questo mondo. La filosofia teoretica si studiava allora solamente al primo anno. Dopo aver superato quel golfo delle tempeste, non dovei temerle più. Debbo aggiungere ad onor del vero, che al quarto anno, quando seguii il corso di storia della filO'sofia con Felice Tocco, e questi passò in rassegna i filosofi del secolo XVIII, da Locke e Kant, io capii - o almeno mi illusi di capire - tutto quanto quei filosofi avevano detto, e questa volta il trenta e lode non lo rubai agli esami.· Molti cervelli sono filtri alla rovescia: le idee entrano chiare ed escono oscure. Attraverso il filtro di Tocco le idee entravano iOSCUre d uscivano chiare. Dicono che Kant è oscuro. Il Kant di Felice Tocco era difficile, ma non era oscuro. Consentitemi di aggiungere, sempre a titolo di verità, che Lucrezio, e Platone nel Convito, nel Protagora, n-ell'ApologJadi Socrate e nel Critone, e Aristotile nella Politica, e San Tommaso d'Aquino, li ho sempre capiti. Invece quando ho cercato di capire certi filosofi del secolo XIX e XX è ricominciata sempre per me la educazione alla umiltà. Ma più volte innanzi a costoro mi sono sentito uguale a un contadìno pugliese per le vie di Napoli; ho SOSpettato che qualcuno mi volesse imbrogliare. Un luminare dell'idealismo, G>ovanni Gentile, - quando la politica che lo capivo e lui non faceva non ci aveva ancora divisi, e la filosofia che lui faceva e io n:on capivo, non ci poteva dividere - voleva convincermi che anche io ero filosofo, perchè ogni uomo ha una sua filosofia per quanto non ne abbia la coscienza, mentre i filosofi veri e propri ne hanno la coscienza esplicita. Se cosi 'Stanno veramente le cose, io sono rimasto sempre alla fase della incoscienza. Dicono anche che la filosofia è il pensiero che ripensa se stesso. A me li semplice pensare un pensiero cO'st'atanta fatica, che dopo averlo pensato non mi resta più lena per costringerlo a ripensare se stesso. 14 Galileo dice: "Oscuratamente possono scrivere tutti, chiaro pochi". Chiarezza nella espressione è probità nel pensiero e nell'azione. Oscurità ,nella espressione produce, se già non na·sconde, obliquità morale. Ho lasciato per ullimo il maestro più buono di tutti, quello al quale non posso pensare senza che gli occhi ml si inumidiscano: l'im.egnante di paleografia, Cesare Paoli. Nel suo mestiere era tenuto uno fra i migliori in Europa. Ma nessuno avrebbe scoperto in quell'uomo semplice lo scienziato che egli era. Cominciava col pascolarci coi tac-simili delle scritture più facili e più belle, le minuscole caroline e quelle del quattrocento, e a poco a poco ci conduceva fino ai più selvaggi corsivi dell'undicesimo secolo. Andavo la sera a casa a leggergli i miei lavorucci al lume della lampada a petrollo, mentre i suoi bambini ruzzavano nella camera vicìna. · Uno dei nostri scrittori migliori, Augusto Monti, ha scritto che tutti possono essere padri, pochi sanno essere il papà; suo padre fu per lui li papà. Cesare Paoli fu per me il papà. Alla fine del primo anno, quando andai a salutarlo per le vacanze, mi mise nelle mani un grosso libro: Imbart de la Tour, Les elections episcopales dans les eglises de France du IX au XII siecle. Ne facessi la recensione per l' Archivw storico che egli dirigeva. Io non sapevo nulla, ,nè delle elezioni episcopali, nè dei secoli IX o XII. Ma il papà mi aveva affidato quel libro; dunque credeva che me la sarei cavata. Toccava ora a me. Lavorai tutta quella estate a leggere e a riassumere il libro, scoprendo una storia ecclesiastica, di cui non avevo mai avuto sentore, e alla quale sono rimasto sempre affezionato come dilettante. Tornato dalle vacanze, mi misi a leggere altri libri di ·storia medievale francese. Alla fine cucinai la recensione, ed ebbi anche la sfrontatezza di fare alcune critiche a quello che era già uno dei migliori storici francesi. Paoli stampò quelle sei pagine, e me le pagò 18 lire. In quegli anni di appetiti formidabili, la moneta di conto fra noi non era la lira; era la bistecca; una lira due bistecche; 18 lire 36 bistecche. Senza contare l'orrore! Per colmo di felicità l'autore del libro mi scrisse una lettera, ringraziandomi per la diligenza della recensione. Fu cosi che cominciai a far gemere i torchi per la "titolografla", guadagna! i primi diritti d'autore, CONTROCORRENTE
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