Unopaginadi storiaantico di GAETANO SAI.VEMINI NOTA-Discorso tenuto dall'Autore il 16 ottobre 1949 al!' Università di Firenze nel riprendere l'insegnamento di Storia moderna dopo 25 anni di esilio. - Questa è la seconda puntata. Scoprii in terza liceo un altro scrittore, al quale, oltre che alla Bibbia e a Jules Verne, e ad Euclide, e al miJo maestro di storia, dovei quel poco che c'era di buono nella mia formazione intellettuale, prima che venissi a Firenze: Francesco De Sanctis. I suoi Saggi critici e la Storia della letteratura italiana confermarono nel mio spirito l'aspirazione, per quanto confusa, verso le idee generali - e nel lavoro intellettuale e nella pratica morale - mastice necessario per tenere insieme I fatti individuali. Questo era il bagaglio spirituale, che io portai con me a Firenze nell'autunno del 1890. Il bagaglio morale non era, oserei dire, cattivo: i profeti d'Israele, il Vangelo e Jules Verne avevano fatto buon laroro. Il bagaglio intellettuale era sconclusionato, arruffato, pieno di lacune, anzi spelonche, enormi. Per esempio, nessuno mi aveva mai parlato nè di Carducci nè di D'Annunzio. Passi per D'Annunzio: sono persuaso che non avevo perduto molto. Ma venire a Firenze a studiare lettere e non aver mal sentito parlare di Carducci! C'erano, però, in quella Ignoranza disordinata, alcuni germi da non disprezzare: il bisogno di chiarezza e di ordine imparato da Euclide; il bisogno di cercare i legami fra i fatti, imparato dal maestro di storia e dal De Sanctis; e una certa pratica del latino e del greco - pratica brutale, ma preziosa quando avessi trovato buone guide. Questa scu~la si chiamava allora "Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento". A quel tempo la gente non si spaventava del titoli che prendevano una settimana ad essere .pronunciati. E perciò non si usavano le parole formate con Iniziali. Era una facoltà di lettere e filosofia, come tutte le altre, ma in aggiunta consentiva al laureati di "perfezionarsi" con un altro anno di studi ed una tesi '!)lù elaborata delle solite. 12 Mi avevano detto che qui si potevano ottenere borse di studio per concor.w. I più bravi ricevevano novanta lire al mese; alla seconda categoria toccavano settanta lire; e a quella meno brillante, ma sempre buona, sessanta lire. Venni a tentare il palio. Mi toccò l'ultimo posto fra i vincitori. Credo di avere d•ovuto quella fortuna al mio Euclide, al maestro di storia e al De Sanctis. Essi mi aiutarono a mettere insieme un componimento italiano, al quale non dovè mancare un certo buon senso. E dovè anche aiu~armi la facilità nel risolvere gli ind;ovinelli latini e greci. Ma ho l'impressione che me la cavai grazie ad una risposta, non del tutto stupida, data negli orali. Uno del tre esaminatori mi domandò quale fosse "il nocciolo della leggenda di Enea". Rimasi trasecolato. Ohe oosa. poteva mai essere il nocciolo di una leggenda? Con un mezzo singhiozzo nella gola - chè mi sentivo perduto - dissi che non capivo la domanda. "Se vuole che le faccia un sunto dell'Eneide, lo faccio; se vuole che traduca l'Eneide ad apertura di libro, credo che me la caverei. Ma al mio paese nessuno mi ha mai insegnato che le leggende hanno i noccioli". Uno dei tre esaminatori sorrise. Ml congedarono, e mi assegnarono sessanta lire al mese. Senza quelle sessanta lire, avrei dovuto tornarmene al "mio paese", primo maschio fra nove fratelli e sorelle, a diventar prete - chè questo era nell'Italia meridionale di allora Il destino dei ragazzi non analfabeti e non stupidi delle famiglie povere. Questa scu~la salvò me da quel d~stino - e risparmiò anche, credo, al vescovo del "mio ,paese" qualche guaio. Chi in vita sua ha avuto sempre il pane sicuro, fa presto a dire che non di solo pane vive l'uomo. Questo è vet,o, ma senza pane non si vive. Il pane dello stomaco non è niente, se nella testa non c'è nulla che trasformi quella forza motrice. Ma quella forza motrice è indispensabile. Sessanta lire al mese, ridotte a cinquantasei dalla ricchezza mobile, non bastavano a sbarcare il lunario neanche allora. Il solo pasto della sera divorava una lira, o meglio ero lo che divorav:o lui. AndaCONTROCORRENTE
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