era nel suo periodo di prosperità. Nessuno può smentire che la vita de1l'americano, di qualsiasi classe o ceto, è ipotecata sino alla morte da obbligazioni e per debiti. Il capitalismo ha saputo ben mettere al collo del (libero) cittadino la catena della più orrida schiavitù economica. Cade cosi il suggerimento di Eisenhower di comprare almeno il necessario per aiutare le industrie, dato che le gran'di masse hanno scarso potere d'acquisto. Ciò non solo è dimostrato dalla disoccupazione, ma anche dal fatto che nel paese si ha oggi un "mercato di venditori", il che vuol dire che il commercio trova difficile il piazzare tra i consumatori le sue scorte di magazzino. Molti uomini di affari hanno astutamente gli occhi sui 16bilioni di risparmi giacenti nelle banche, e con ogni mezzo propagandistico fanno pressioni sui risparmiatori per mettere quel danaro in circolazione. Essi pensano che ciò potrebbe creare il miracolo della ripresa. Ma essi non sanno che aJcuni di questi bilioni sono già in circolazione, in forma di prestiti, e poi, anche dato che quella fantastica somma potrebbe essere spesa nel modo che si vuole, l'economia sarebbe in più terribili guai che non ora. Si avrebbe un ciclo inflazionistico che nè gli Dei nè gli uomini potrebbero raffrenare o controllare. E allora? In regime capitalistico poco o niente c'è da fare in queste faccende. Per sua natura il capitalismo è un regime di crisi in permanenza. Certo, esso ha i suoi periodi alti e bassi: i quali non sono basati sui bisogni umani ma sulle possibilità del mercato. La cosidetta prosperità capitalistica è la prosperità della stravaganza e della dissipazione. Il capitalismo è un sistema economico dissipatore per eccellenza, e perciò anti-economico. Ma la prosperità capitalistica è un mito puro e semplice, che nasconde una immane miseria morale e materiaJe. L'intervento dello Stato nella economia, creando fonti artificiali di mezzi e di bisogni, è stato sempre un elemento perturbatore di grave im01 UONO, 1958 porto. Tuttavia vi è molta gente che ciecamente vuole questo intervento - tra la quale figurano quei socialisti di Stato, cioè parlamentari e politici, che hanno sempre fatto, in nome della classe lavoratrice, da lustrascarpe alla borghesia. Un esempio che si può ormai dire classico dell'intervento statale nell'economia è quello avutosi nelle quattro amministrazioni Idi Franklin D. Roosevelt. Tutte le riforme del New Deal non approdarono a nulla, dimostrandosi incapaci di risolvere la crisi del capitalismo, che perdurò fin sotto a1la Seconda Guerra mondiale. Solo la preparazione, e poi lo sforzo bellico, riusci ad eliminare in parte la disoccupazione. Il dispendio guerresco, mettendo in circolazione forti partite monetarie, diede al capitalismo l'apparenza della prosperità. Ben presto però, nel 1948-49 e poi nel '52, l'economia fu di nuovo in crisi. Da nove e dieci mesi siamo nuovamente deliziati !dall'odierno collasso. Il capitalismo vuol risolvere la crisi col falcidio dei salarti dei lavoratori. C'è chi propone una moratoria sui prezzi e sui salarli, e c'è chi vuole decurtare le mercedi, asserendo che gli alti prezzi delle merci, delle derrate, dei manufatti e dei servizi sono i responsabili de1la crisi. Gli alti salarii influiscono sugli alti prezzi come i proverbiali cavoli a merenda. Si sa che il capitale paga agli operai il minimo necessario per riprodurre la forza-lavoro consumata in un dato tempo nella produzione. Il costo di questa forza-lavoro è, in ogni caso, negligibile. LI capitale si piglia per se sempre la parte del leone. In un'economia basata sulle leggi del "mercato libero" i prezzi 'dovrebbero essere determinati dall'offerta e dalla domanda, e nel caso presente dovrebbero calare, iperchè vi è offerta e non domanda. Ma qui noi oggi abbiamo alti prezzi su tutta la linea, il che vuol dire che l'economia è sotto l'influenza, o agisce, secondo i dettami di un "mercato monopolistico". I capitalisti non vogliono ammettere questo, forse per non gettarsi la zappa sui piedi, ed accusano gli alti salarii 15
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