I GRANDI DIMENTICATI MARIORAPISARD Mario Rapisardi scrisse una volta: "L'arte è stata per me una battaglia perpetua per l'Ideale. Vissuto al di fuori e se non fosse superbia direi al di sopra cli tutte le scuole, di tutte le chiese, di tutti i partiti. E studiandoli tutti io mi sono man mano trasformato, infliggendo al mio animo non pochi tormenti, rinunziando a molte cose che rendono generalmente cara la vita, ascendendo non so con quale forza di ali ma certo con grande ardimento: dalla fede cattolica alla concezione meccanica dell'universo, dalla fede nella monarchia rappresentativa all'ideale umanitario". E veramente nell'opera di Rapisardi è rispecchiata tutta la sua attività sociale, oltre s'intende la sua vita fantastica. La sua poesia non è soltanto arte ma è vita: pensiero, passione, amore, azione e odio implacabile. La "Palingenesi" è la prima opera pubblicata dal Rapisardi nel 1868. In questo poema il Poeta non solo mostra di pensare da se virilmente ma sopratutto d'essersi formato - come tutti i "Grandiosi" - uno stile suo inimitabile, intangibile. Sono fulmini scagliati contro coloro i quali barattano la fede del rivoluzionario di Nazareth. Sublimi accenti alla purità di Cristo e alla grandezza dei suoi apostoli. Preconizza la liberazione di Roma dal dominio papale e grida: "Non fate empi! mercato delle cose di dio". Victor Hugo - allora all'apogeo della gloria - cosi scriveva al Rapisardi: "l'ai lu monsieur votre noble poème. Vous ètes beaux: le flambeau de la poésie et le flambeau de la verité. Tous deux eclairont l'avenir". Anche in Italia il De Sanctis, il Fanfani, Capuana ed altri ebbero APRILE, 1958 parole di lode e di ammirazione per il giovane autore della "Palingenesi". E senza cullarsi sugli allori nè preoccuparsi della critica ostile dei varii gazzettieri, Mario Rapisardi si accinse a preparare un antidoto contro il fiele dei suoi nemici, invocando non più un dio per redimere l'umanità, ma spronando questa a liberarsi, a riscattarsi da se stessa e C'-Oil se stessa. E scrisse: L'emancipazione morale e intellettuale degli oppressi dev'essere opera di loro stessi. E convinto che dio sia stato il vero e potente ostacolo dell'emancipazione umana, scrisse e pubblicò il "Lucifero", in cui corazzatosi della trinità dei monisti - il vero, il buono, il bello - col cuore acceso, coll'intelletto illuminato, con la sua nuova grande fetle nella liberazione dell'umanità, lancia lo spirito ribelle di "Lucifero" a distruggere quella bistrata e incipriata religione cattolica che ha servito e serve ancora di catena per legare l'umanità al piedistallo della schiavitù. E dopo d'avere spezzato le gambe all'eterno male, spazzando e distruggendo un cumulo di falsità e di bugie, grida: "Il gran tiranno è spento". Il poeta non crede che abbellendo e ritoccando la società si possa svellere ed uccidere il male e vuole tutto distruggere per poi riedificare su altre basi, su più solide basi. Edificare è bello, distruggere è sublime. I critici, come sempre in Ita.lia, abbaiarono, schiamazzarono intorno la nuova opera distruggitrice con più veleno e con più rabbia, i chierici comprarono tutta l'edizione e la bruciarono, lanciando sul capo del demolitore l'anatema. Malgrado tutto però il "Lucifero" è rimasto l'opera grande del poeta. 9
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