Controcorrente - anno XIV - n. 5 - mar.-apr. 1958

una poltrona a braccioli, una sedia impagliata e sfondata, una tavola, un calamaio, una penna, e sulla parete un ritratto del Re con un ramoscello d'ulivo benedetto ficcato fra muro e cornice. Finito l'inventario guardo fuori della porta. Nel parlatorio di faccia un detenuto grigio, cereo e segaligno, sta seduto tra una vecchietta in capelli vestita di nero e un giovanotto liscio e spavaldo che gli dà sulle spalle manate affettuose. La vecchietta piange in silenzio. In piedi davanti al detenuto è una ragazzetta dai caaielli rossi vestita a festa, ed egli ogni tanto interrompe il suo concitato parlare per afferrarle una mano, trarla a sè con uno strattone e baciarla sui capelli. Sul limitare è seduta una guardia carceraria che gioca con un mazzo di chiavi lucide come fossero d'argento. Ma nel parlatorio deve essere altra gente che da qui non vedo, perchè odo un gran chiacchierare e vociare. Dura poco. La conversazione talvolta cade in un silenzio di tomba come se quelli là dentro fuor che guardarsi non sappiano che altro fare, o quel che non si possono dire, li soffochi. Cade, e d'un tratto riprende, alta e stonata. Quando il cicaleccio è troppo vivo, la guardia batte sulle ginocchia il mazzo di chiavi: - Piano, piano. Non fate questo carnevale. - Ma parla bonario, come un maestro a scuola nell'ora della ricreazione. Nella mia stanza entra Gaetano Salvemini, vestito di tela, con la camicia senza il colletto: - Ah, sei tu. Grazie. - Grosso, calvo, ilare, gli occhiali a stanghetta, la barbaccia più curata che d'ordinario. Non lo vedevo da quasi un anno, e lo trovo saldo ed aitante. M'invita a sedermi sul sofà: - Non temere. E' pulito. E' dentro da trentacinque giorni. - Insomma, come ti trovi? - Se t'ho da dire la verità, bene. [I :primi giorni, flnchè è durata l'istruttoria, non mi concedevano nè libri Ida leggere nè carta da scrivere. Dovevo accontentarmi della libreria di qui: la Lettura del 1902. La vita era malinconica allora. Ma dopo sono venuti i miei libri, è venuta la carta. Vengo corAPRILE, 1958 reggendo le bozze che mi manda Le Monnier per la mia Storia della Triplice, e poi studio. - Hai molto caldo nella tua stanza? - Non m'umiliare. Ho due stanze, non una stanza, e a tramontana: in una dormo, nell'altra lavoro. Lussi che non mi sono mai permesso. E due lire in tutto. Ho scritto a mia moglie: "Una cosa è certa, che non mi rovino". L'anno scorso quando di questa stagione ero a Londra, per le letture sulla storia del Risorgimento, avevo una stanza molto più piccola, e costava molto di più. Ti dico: sto bene. Sì, la libertà. Ma, dicono, tutto sta a non pensarci. Certo è che ognuno qui è d'una cortesia esemplare. Confesso che non me l'aspettavo. Già, cose e persone bisogna vederle prima di giudicarle. Ebbene le guardie carcerarie sono benevole, pronte, previdenti e intelligenti, non solo con me ma con tutti. Le tante pene e miserie che vedono, le rendono 'Più umane. Non è vero che ci si abituino e finiscano a considerarle con indifferenza. Già, son cose a cui nessun galantuomo si abitua. Una guardia, secondo il regolamento, è presente al nostro colloquio. S'è seduta al tavolino e per darsi un contegno giocherella con la penna e il calamaio. E' un giovanotto bruno e mingherlino, dal mento aguzzo. Alle lodi di Salvemini s'azita sulla sedia come se le facessero il solletico, e sorride senza guardarci. Poi si ferma, si fa serio d'un colpo, e dice: - Professore, la vita è dura. E' dura pe' tutti a quisto monnu. - E calcatosi la visiera sugli occhi, torna a tracciar ghirigori sul legno della tavola. - Ci sarà un grande andirivieni in questa casa. - Si e no. Qui ci siamo noi in attesa del giudizio e anche quelli condan~ti a non più di sei mesi. Quando arriva un nuovo inquilino è di prammatica che tutti nelle celle pongano la sedia contro la porta, vi salgono su per arrivare a mettere gli occhi nello spioncino e a guardare. L'altro giorno sentii il passo d'una nuova recluta e delle guardie, poi il chiavistello della porta che si richiu19

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